di Simone Ferrari
In questa vicenda la Corte d’Appello condivideva le valutazioni del giudice di primo grado circa la responsabilità degli imputati per avere il M., insieme alla propria compagna G., partecipato all’accordo con cui il medico ginecologo, Co., dietro corrispettivo di una somma di denaro, aveva loro promesso l’affidamento di un nascituro, che sarebbe stato successivamente partorito da E., con l’ulteriore intesa di alterare lo stato di nascita del neonato in modo che risultasse figlio naturale di G., e che effettivamente dal giorno della sua nascita veniva affidato, in accordo con i genitori naturali, alla coppia M.-G., ai quali era stato consentito di fare ingresso all’interno della stessa camera della struttura sanitaria ove è avvenuto il parto.
L’accordo si concretizzava con la consegna, nel giorno stesso della nascita, del neonato alla coppia M.-G., con il pagamento della somma al medico ginecologo, senza che venisse invece portata a compimento la concordata alterazione dello stato di nascita con la falsificazione del nome della madre naturale, che non si realizzava per un imprevisto sopravvenuto al momento della trasmissione dell’atto di nascita da parte della direzione amministrativa della clinica all’Ufficio di Stato Civile del Comune, per non essere il Co. riuscito “a cambiare le carte” prima di tale trasmissione, dopo aver concordato il versamento di un’ulteriore somma, che veniva versata pochi giorni dopo il parto personalmente da M.
E. veniva riconosciuta responsabile, a titolo di concorso, del delitto previsto dall’art. 71 L. n. 184/1983 – legge sulle adozioni – per essersi prestata consapevolmente alla consegna del proprio figlio alla coppia M.-G., pur senza partecipare all’accordo economico intercorso esclusivamente fra la citata coppia ed il medico, oltre che del delitto di simulazione di reato, per avere denunciato, circa tre mesi dopo il parto, l’avvenuta illecita operazione di consegna del proprio bambino, ma falsamente attribuendo la propria gravidanza ad una violenza sessuale, una volta appreso che nel proprio stato di famiglia era stato inserito il rapporto di filiazione con il piccolo.
Proponeva ricorso per cassazione.
Orbene, la Corte Suprema ha ricordato che il predetto delitto non richiede affatto che l’affidamento illegale del minore sia avvenuto nell’ambito di una procedura formale di adozione, né è richiesto per colui che affida il minore la previsione di un compenso economico come corrispettivo della consegna del minore stesso, essendo tale compenso previsto solo come condizione di punibilità per colui che “riceve” il minore in illecito affidamento.
Infatti, l’art. 71 co. 1 L. n. 184/1983 punisce (con la reclusione da uno a tre anni) chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere definitivo un minore, ovvero lo avvia all’estero perché sia definitivamente affidato. La stessa pena si applica anche a coloro che, consegnando o promettendo denaro od altra utilità a terzi, accolgono minori in illecito affidamento con carattere di definitività (co. 5).
Pertanto, solo per chi riceve il minore in illecito affidamento, con il carattere della tendenziale stabilità, la norma richiede che vi sia stato il pagamento di un corrispettivo economico o di altra utilità, non essendo tale elemento, invece, necessario per colui che ceda il minore o comunque si ingerisca nella sua consegna, essendo previsto anche un aggravamento della pena nel caso in cui il fatto sia commesso dal genitore.
La ratio è evidente: chi affida illegittimamente il minore viola sempre l’interesse del minore ad un affidamento nel rispetto di tutte le condizioni poste a sua tutela (stabilità della coppia affidataria, maturità e capacità educativa della stessa, ecc.); chi lo riceve è punito, invece, solo se ha pagato, evidentemente perché non si è ritenuto meritevole di pena colui che lo riceva per appagare un desiderio naturale di genitorialità, senza ricorso a strumenti latamente corruttivi.
Del resto, ricorre il reato di alterazione di stato (art. 567 c.p.) e non quello di cui all’art. 71 cit. nella condotta di chi riceve un minore uti filius attraverso il falso riconoscimento della paternità; l’art. 71 cit. si riferisce, invece, a chi riceve il minore in illecito affidamento nel caso di un’attività di fatto preordinata ad una futura adozione, quindi con riferimento al caso di un affidamento posto in essere senza alterare lo stato civile del neonato.
In sostanza, nel caso di alterazione della filiazione naturale si è al di fuori dell’ambito di operatività del reato previsto dall’art. 71 cit., perché l’inserimento nella nuova famiglia si realizza per effetto della falsa certificazione di stato senza ricorso all’istituto dell’adozione, mentre nel caso in cui non vi sia alterazione dello stato civile del neonato si configura il reato di cui all’art. 71 cit., perché l’inserimento nella famiglia affidataria avviene in violazione dell’istituto dell’adozione.
In conclusione, la Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato al pagamento delle spese processuali.