revisore Dott.ssa Luna Carpinelli
La profonda mutazione dell’organizzazione e gestione dell’assistenza sanitaria nei confronti di persone con problemi psichici autrici di reato e interessate da un provvedimento di restrizione (misura cautelare, misura di sicurezza detentiva e non detentiva) ha avuto inizio dalla forte dedizione di Franco Basaglia, riformatore della disciplina psichiatrica in Italia e ispiratore della L. n. 180/1978 (che ne prende il nome).
Lo psichiatra veneto dedicò i suoi studi e la sua vita al superamento degli ospedali psichiatrici civili, intesi all’epoca come strutture chiuse dove confinare i soggetti c.d. pazzi, e trasformare questi luoghi in case di osservazione e cura delle malattie mentali.
Attraverso la legge Basaglia si dà il via ad una riforma organica del trattamento del malato di mente e, nel rispetto dell’art. 32 della Costituzione, viene avviato un percorso di consapevolezza nella relazione terapeutica fra il diritto del malato di essere curato e il dovere del medico di intervenire adeguatamente nel modo più personalizzato possibile.
Parte da questa consapevolezza il lungo iter legislativo, burocratico e finanziario che porterà alla L. n. 81/2014 e al superamento definitivo degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari – OPG, ma resta ancora intatto nell’ordinamento penale il sistema del c.d. “doppio binario”, anche se è stato messo in dubbio da più parti.
Sul cosa fare dopo la chiusura degli OPG e con l’attivazione, nelle singole Regioni, delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), si apre, periodicamente, il dibattito, in quanto non esistono degli standard nazionali a cui far riferimento e, solo da poco tempo, è stato attivato dall’associazione Antigone un monitoraggio sull’andamento delle REMS.
La gestione delle nuove residenze è diventata di esclusiva competenza delle aziende sanitarie locali (ASL), mentre l’area perimetrale esterna è affidata alla vigilanza e sicurezza organizzata dalle singole Regioni in accordo con le Prefetture, che sorvegliano anche lo spazio verde obbligatorio dedicato agli ospiti.
La Regione Friuli Venezia Giulia, nella sua autonomia statutaria e nella lunga tradizione di cure sperimentali delle malattie mentali, ha provveduto alla gestione delle REMS in maniera avanguardista, tenuto anche conto della prospettiva di una possibile abrogazione degli artt. 88 e 89 c.p.
A tal proposito, nel febbraio 2018 Roberto Mezzina, direttore del DSM e del Centro Collaboratore OMS per la Ricerca e la Formazione / ASUI di Trieste, ha tenuto un corso sulla possibilità di tale abrogazione con una relazione finale particolarmente esaustiva su quello che la Regione Friuli Venezia Giulia ha concordato e sul programma che sta attuando in materia di REMS.
L’esperienza triestina muove dal principio fondamentale di abolizione di percorsi e strutture speciali per i rei con disturbi psichiatrici: essi vanno curati e responsabilizzati, quindi hanno diritto al processo. Per fare ciò, è necessario che i servizi di salute mentale vengano rafforzati e divengano specialisti nel percorso di cura anche nella pena, sia in condizione di normale detenzione, sia attraverso alternative che prevedano un’eventuale modulazione della sanzione.
È chiaro che tutto ciò ha portato ad una visione della REMS e della vita al suo interno molto diversa dal resto dell’Italia, sicuramente più difficoltosa da gestire ed anche economicamente più onerosa.
Il Dott. Mezzina riscontra una contraddizione nell’attuale previsione legislativa di applicazione dell’ordinamento penitenziario in una struttura (REMS) a gestione interna esclusivamente sanitaria, tant’è che nella bozza di Accordo Stato-Regione, fra i vari punti previsti, riemergono la necessità di considerare la residenza quale soluzione residuale, l’abolizione della precisazione sui suoi livelli di sicurezza e la puntuale definizione della funzione terapeutica della nuova istituzione.
Gli enti territoriali coinvolti hanno optato per una REMS “diffusa”, fisicamente ubicata presso i servizi dipartimentali di salute mentale (DSM). Il sistema opera in rete con tutti i servizi, senza usufruire di luoghi e prestazioni dedicati, evitando in questo modo di duplicare una struttura carceraria o comunque di detenzione e permettendo agli operatori di lavorare a porta aperta. È un’organizzazione che funziona quale sistema unico di sinergie e movimenti fra persone, REMS, DSM e magistratura.
Avendo optato per REMS a posti contenuti si è potuto, inoltre, inserire già all’inizio una persona alla volta, seguendola da vicino, ricostruendo e condividendo con i familiari, dove possibile, la sua storia di vita. Si è cercato un modo gentile di entrata in REMS, realizzando attività culturali, mercatini, concerti, presenza di scolaresche locali e cucinando assieme le pietanze. Sono stati concessi permessi per l’inserimento al lavoro e per continuare a partecipare alle attività già iniziate nel DSM di provenienza.
In generale, la collaborazione tra Regione, DSM e magistratura dovrebbe portare alla fondamentale prevenzione rispetto all’entrata in REMS; l’alternativa di più semplice realizzazione è accogliere la persona nel DSM 24 ore, ovvero nelle strutture dove il personale sanitario è presente sulle 24 ore.
È stato previsto che, nel caso in cui la REMS venga temporaneamente chiusa per mancanza di utenti, gli operatori verrebbero comunque impiegati nell’assegnazione a progetti terapeutici riabilitativi individuali (PTRI), seguiti dai DSM in situazioni a rischio, sia sociali (uso e abuso di sostanze in presenza di gravi disturbi psichici) che di reiterazione di delitti (presenza di misure alternative, prevenzione al rischio di entrata in REMS).
Il Dott. Mezzina, in qualità di direttore del DSM di Trieste, si dice soddisfatto dei risultati ottenuti, in particolare del lavoro che viene continuamente svolto fra i diversi servizi coinvolti in questi progetti, non ultimo la disponibilità dimostrata dalla magistratura, che antepone la cura dei malati psichiatrici rispetto alla pena inflitta: si parla, infatti, di cura nella pena e non della pena nella cura.
L’apertura delle REMS al territorio e la fattiva partecipazione alle diverse iniziative offerte, sia culturali che formative e pratiche, si è dimostrata vincente anche nei confronti della popolazione attigua al comprensorio di queste sedi: non timore della persona in quanto rea, non paura del diverso ma comprensione, offerta di aiuto (anche di lavoro) e socializzazione sono determinanti nella cura e trattamento del paziente, come pure nella psicologia dei “normali”.
L’associazione Antigone, da sempre dalla parte del detenuto, ha correttamente affermato che la scelta del Friuli Venezia Giulia, terra di Basaglia e di manicomi liberati, è stata una scelta coraggiosa nell’evitare di costruire nuove strutture, per privilegiare invece la destinazione dei fondi ai servizi di salute mentale per il trattamento-cura dei propri pazienti.
Ancora una volta ci si è chiesti se esiste la possibilità che il bisogno dei ricoveri in REMS sfugga di mano e si sovrautilizzino queste strutture per coloro che devono scontare una misura di sicurezza provvisoria. La risposta che si auspica è che la REMS sia effettivamente l’extrema ratio e che si ricorra più spesso a misure alternative non detentive quali i DSM. Ciò premesso, è necessario che vengano adottati criteri rigorosi nel diagnosticare il vizio di mente al fine di evitare fenomeni di attribuzione psichiatrica al comportamento criminale.
Al di là della teoria o delle aspettative, il direttore della REMS triestina ha fugato alcune perplessità su queste nuove strutture. Riferisce che quando una persona è ammalata deve essere curata e, rispetto ad un eccesso di comportamento, deve anche scontare la pena inflittale; contemporaneamente, però, è necessario che sia seguita in maniera professionalmente adeguata presso la REMS che, essendo principalmente un luogo di cura, dipende dal Ministero della Sanità e non da quello di Giustizia. Quest’ultimo attualmente ha il compito di destinare il reo ed approvare il suo programma terapeutico.
La REMS resta, comunque, un luogo di espiazione di tipo detentivo, dove la vita all’interno è scandita da orari e compiti precisi, similmente agli ex OPG ma, controsenso, la REMS è una struttura sanitaria ed è corretto che lo sia, il responsabile è uno specialista sanitario e non un giudice. Questa è la criticità della previsione normativa che porta ad avere strutture organizzate in maniera rigida, con programmi prefissati, recinzioni e telecamere: gli ospiti risultano essere degli internati pari a quelli degli ex OPG, anche se il tempo di permanenza non è più sine die.
Tutto ciò accade perché, nell’ideare queste nuove residenze, si è mantenuta la loro dipendenza dall’ordinamento penitenziario ma con un regolamento sanitario. Ne consegue che gli operatori sanitari lavorano in termini di cura della persona e, contemporaneamente, hanno l’obbligo di rapportarsi con la magistratura: risulta pertanto che la REMS è un compromesso perfettibile.
L’organizzazione nel territorio triestino prevede che per la persona, processata e condannata o in attesa di processo, dopo l’accertamento peritale della sua pericolosità sociale, sia il DAP ad avviare la richiesta di ospitarla nella REMS più vicina alla sua residenza.
In particolare, la struttura triestina è un luogo medico dove porte e cancelli sono sempre aperti, dove la sola restrizione imposta è l’installazione di un sistema di allarme nel perimetro esterno della REMS.
Perché il modus operandi in tutte le residenze del territorio regionale sia univoco, è necessario un coordinamento fra i responsabili, anche se l’organizzazione triestina ha un’apertura maggiore rispetto alle altre realtà territoriali, che seguono comunque la falsariga giuliana: qui si adotta la settimana del benessere (massaggi e ginnastica), il laboratorio di cucina nella formazione, la partecipazione, su invito del Comune di Aurisina (sede della REMS tergestina), alle feste di paese.
Ma la vera svolta ci sarà solo quando si riuscirà a considerare la “malattia mentale” quale patologia al pari di qualunque altro disturbo fisico. Ciò è quanto ci si propone di ottenere in un futuro non lontano, anche con l’ausilio di un intervento legislativo attento alla realtà e alle valutazioni psichiatriche in essere.