di Simone Ferrari
Tatuaggio è un termine di origine oceanica, introdotto in Europa dal navigatore Cook, che si rifà alla parola polinesiana “ta-tau”. È costituito da ornamenti e disegni permanenti della cute ottenuti mediante l’introduzione di sostanze colorate nello strato profondo della pelle; i pigmenti si depositano nel derma che sta sotto l’epidermide. Il tatuaggio correttamente eseguito è indelebile; con il trascorrere del tempo, il colore può diffondersi e il tratto farsi meno preciso, ma sono descritti tatuaggi in buone condizioni effettuati anche cinquant’anni avanti. Nel cadavere possono ritrovarsi particole di materiali colorati di antichi tatuaggi nei linfonodi regionali. Il più antico tatuaggio sino ad oggi noto è costituito da alcuni punti e linee disegnati sul corpo di una sacerdotessa di Hator della XI dinastia dell’antico Egitto databile intorno al 2200 a.C.
L’antropologia e l’etnologia moderne distinguono il tatuaggio a fine semplicemente ornamentale (che può essere eseguito soltanto nelle pelli non molto scure) da quello detto di identità. Questa seconda forma serve ad indicare l’appartenenza del tatuato ad una tribù, clan, gruppo o casta. In alcuni casi fa riconoscere la persona, l’attività e il grado gerarchico di questa nella struttura sociale oppure anche la sua abilità nella guerra, nella caccia o nella pesca. Esiste inoltre il tatuaggio magico, inteso quale amuleto; c’è infine il tatuaggio erotico, per esaltare i caratteri sessuali.
Lombroso (Verona 1835 – Torino 1909) osserva che nella civiltà moderna il tatuaggio è frequente in certe categorie e in particolare nei reclusi. Stabilisce che il maggior numero di tatuati si osserva fra i recidivi e i delinquenti nati. Osserva anche che nei normali i tatuaggi sono per lo più sulle braccia o sul petto, mentre nei delinquenti appaiono distribuiti su tutta la superficie cutanea: lo ritiene perciò un importante riscontro della teoria dell’atavismo, secondo cui la spinta a delinquere è costituita dal riaffiorare di caratteri ancestrali.
In particolare, secondo Lombroso nelle popolazioni preistoriche il tatuaggio è soprattutto un segno di casta e di prestigio, ciò che si verifica ancora nei selvaggi. Con il trascorrere delle generazioni è sopravvissuto negli strati inferiori della società, nei delinquenti e nelle prostitute. La persistenza del tatuaggio in questi gruppi è dovuta alla vanità, all’imitazione, ma soprattutto è espressione di atavismo, anzi di quella particolare forma di atavismo storico che è la tradizione: l’uso di tatuarsi, tanto frequente tra i primitivi e i selvaggi, si manifesta molto spesso nei delinquenti che hanno la stessa vanità e la stessa emulazione delle genti primordiali.
Apriamo una breve parentesi. Il merito di Lombroso nello sviluppo delle scienze del crimine è indiscutibile: egli ha contribuito a spostare gli interessi della scienza e della cultura da una concezione del delitto che lo considerava esclusivamente come violazione della legge morale e delle norme giuridiche, per focalizzarli sulla personalità del reo e sull’analisi della natura e delle cause concomitanti del delitto. Ha aperto la strada ad un orientamento che vuole comprendere prima di punire, con la finalità umanitaria di sottrarre ai rigori della sanzione gli irresponsabili e i malati: questi devono essere piuttosto avviati negli istituti appositamente creati per il loro trattamento.
Per la criminologia il tatuaggio è stato considerato sintomo di immaturità, di caratteropatia, di psicopatia sessuale, spesso in relazione a sadismo, masochismo e alienazione; indizio di predisposizione criminale ovvero di contatti con il mondo criminale; conseguenza della deprivazione della libertà; sfida al potere, espressione di ribellione o almeno desiderio di mostrarsi in contrasto con l’ordinamento, la società o la gerarchia; tentativo di identificarsi in un gruppo; espressione di disadattamento sociale; tentativo di compensazione di sentimenti o di una situazione di inferiorità. In casi di soggetti degli strati sociali più alti della società, nella genesi del tatuaggio possono avere significato la moda, l’amore per l’inconsueto e l’esotico, l’emulazione e la bizzarria.
Alcuni dati statistici risalenti agli anni Ottanta del Novecento. Le motivazioni al tatuaggio accertate in una popolazione di carcerati sono risultate le seguenti: imitazione 32%; noia o gioco 29%; ricordo 8%; fascino del tatuaggio 7%; insistenza del tatuatore 3%; lascivia 6%; immaturità 12%; ignoranza 4%; intossicazione alcolica 2%; assenza di motivo particolare 2% (poiché in alcuni casi sono state accertate più motivazioni, la somma delle singole percentuali supera il 100%). La predisposizione al tatuaggio non risulta carattere ereditario: solo nel 19% dei tatuati vi è un genitore tatuato. Nei tatuaggi ornamentali la scelta del disegno viene fatta nel 28% dei casi dal tatuando, nel 31% dal tatuatore e viene concordata nel 41%. Appena lo 0,23% delle donne delinquenti è tatuato, ma il 6% delle prostitute è portatore di tatuaggi. Quanto all’età in cui ci si tatua: prima dei tredici anni 12%; fra i quattordici e i ventuno anni 23%; fra i ventuno e i venticinque anni 57%; dopo i venticinque anni 8%. Questa la localizzazione anatomica: 95% agli arti superiori; 3% al petto; 0,7% in altre parti del tronco; 0,9% agli arti inferiori e 0,4% al viso. Per quanto concerne, infine, l’atteggiamento dei tatuati nei confronti dei loro tatuaggi: 75% di rimpianto; 10% di soddisfazione; 15% di indifferenza.