di Simone Ferrari

Questo articolo riprende alcune riflessioni del Dr. Siro De Flammineis, Impresa mafiosa ed impresa vittima: segmenti di intersecazione e la figura del concorrente esterno estorto, in Dir. Pen. Contem., 2/2018, 145.

Impresa mafiosa ed impresa vittima possono nella realtà giuridica affiancarsi fino ad intersecarsi. Occorre comprendere, in primo luogo, come poter correttamente differenziare il comportamento dell’imprenditore colluso con le associazioni mafiose da quello dell’imprenditore mero succube del medesimo sodalizio; in secondo luogo, accertare se vi siano segmenti di intersecazione fra le due figure.

Le numerose indagini, operazioni di polizia e condanne subite negli ultimi decenni dalle associazioni criminali di tipo mafioso (in uno con la crisi economica generalizzata) hanno inciso sulle modalità con cui i sodalizi continuano a manifestare il loro metodo e ad imporsi sul territorio.

Se, infatti, le intimidazioni, l’esercizio della violenza e i danneggiamenti sono ancora utilizzati per affermare e rafforzare il proprio controllo, mantenere lo stato di soggezione collettivo ed ottenere i profitti illeciti, i sodalizi hanno anche portato avanti diverse strategie di raggiungimento dei medesimi risultati.

Più nello specifico, è stato accertato come le richieste estorsive e l’avvicinamento degli imprenditori vengono condotti mediante forme più attenuate: cercando l’intermediazione di persone vicine all’imprenditore stesso; ovvero richiedendo all’impresa estorta prestazioni di ridotto rilievo economico (manodopera, piccole forniture), più facilmente “accettabili” anche in termini di costi dall’impresa.

Le indagini hanno riconosciuto una correlazione fra le illecite richieste di denaro o lavoro (necessari per la sopravvivenza del sodalizio) e la corresponsione di un reciproco vantaggio: la pratica dell’estorsione come mezzo non solo di mera raccolta di denaro per affermare un potere, ma come controprestazione dell’offerta di garanzie di protezione.

Detto altrimenti, le nuove strategie delle associazioni criminali di tipo mafioso prevedono che le richieste di denaro siano più direttamente collegate ad un’offerta di servizi, nella specie quello storico di protezione dell’impresa; tale correlazione riduce nella prassi anche i rischi di denuncia.

In effetti, le denunce delle vittime delle estorsioni e, quindi, il timore degli associati mafiosi di incappare nelle maglie della giustizia, hanno indotto le organizzazioni criminali a modulare diversamente il proprio approccio all’obiettivo da estorcere; accontentarsi di un profitto minore consente di mantenere in vita il sodalizio stesso. L’approccio arrogante o violento, se è valso in passato per affermare con più decisione la presenza dell’organizzazione criminale nel territorio, può comportare eccessivi rischi, non previene la reazione della persona offesa e potrebbe non rendere in positivo nel rapporto costi-benefici.

Nella vicenda di “mafia capitale”, la connotazione di mafiosità del sodalizio era stata riconosciuta, in sede cautelare, sulla base dell’accertamento delle tecniche di avvicinamento verso la classe imprenditoriale, che avevano consentito l’instaurazione di rapporti di scambio fra imprenditori e associati con reciproci vantaggi (il rafforzamento della posizione sul mercato per gli uni e risorse ed utilità per estendere il proprio controllo per il sodalizio).

Nei territori non tradizionali nei quali le organizzazioni mafiose si sono infiltrate, si è optato sovente per una strategia di aggancio dell’obiettivo-impresa apparentemente più moderata, in modo da mascherarsi da società di servizi.

Questa realtà segnala il rafforzamento delle “zone grigie”, ovvero degli spazi in cui si intersecano interessi mafiosi e interessi imprenditoriali con la logica della reciprocità dei vantaggi.

L’accostamento più morbido dei mafiosi agli imprenditori rischia di generare delle forme di complicità, dei rapporti, delle frequentazioni più difficilmente inquadrabili nell’alveo delle categorie criminologiche di vittima e di carnefice, e di conseguenza nelle fattispecie penalistiche.

In tema di rilevanza dei risultati di indagini storico-sociologiche, ai fini della valutazione in sede giudiziaria dei fatti di criminalità di stampo mafioso, il giudice deve tenere conto, con la dovuta cautela, anche di tali dati come utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori, dopo averne vagliato, caso per caso, l’effettiva idoneità ad essere assunti ad attendibili massime di esperienza e, principalmente, dopo averne ricostruito, sulla base dei mezzi di prova a sua disposizione, gli specifici e concreti fatti che formano oggetto del processo.

In una scala immaginaria di rapporti fra imprenditori e gruppi criminali mafiosi, si può ipotizzare al vertice inferiore “bianco” una situazione di mera soggezione dell’impresa vittima e al vertice maggiore “nero” una piena condivisione e compartecipazione nelle condotte illecite; nella gradazione di “grigi” fra i due poli opposti si annidano le reali difficoltà interpretative.

Non è ammissibile sostenere che versare una percentuale da parte dell’imprenditore al mafioso sia un atto innocente: implica, nella migliore delle ipotesi, il riconoscimento dell’autorità mafiosa. Tuttavia, se il pagamento del pizzo può ritenersi una deprecabile accettazione del potere mafioso, giuridicamente resta di per sé una forma di soggezione non punibile, una condotta che racchiude l’esigenza della vittima di non entrare in conflitto con l’organizzazione mafiosa.

La realtà criminale, però, risulta più variegata: al versamento del denaro illecitamente estorto, invero, possono accompagnarsi molteplici condotte dell’imprenditore che spostano lo sguardo un poco più oltre – e via via sempre più lontano nella scala immaginaria – rispetto alla categoria della vittima di reato.

L’imprenditore vittima non può definirsi solo in positivo come colui che paga il pizzo, ma è necessario definirlo in negativo come colui che non compie atti di favoreggiamento personale, ovvero non pone in essere condotte di contributo esterno all’associazione, ovvero ancora non prende parte all’associazione stessa.

Venendo così alla differenziazione tra imprenditore mera vittima e imprenditore concorrente esterno, deve ritenersi “imprenditore colluso” ovvero concorrente esterno colui che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale e privo della affectio societatis, è entrato in rapporto sinallagmatico con l’associazione, tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti, consistenti per l’imprenditore nell’imporsi nel territorio in posizione dominante e per il sodalizio criminoso nell’ottenere risorse, servizi o utilità; “imprenditore vittima” è, invece, quello che, soggiogato dall’intimidazione, non tenta di venire a patti con il sodalizio, ma cede all’imposizione e subisce il relativo danno ingiusto, limitandosi a perseguire un’intesa volta a limitare tale danno.

L’imprenditore colluso con la mafia (nel senso di concorrente esterno) entra in un rapporto sinallagmatico con la cosca tale da produrre vantaggi per entrambi: in questo caso, il vantaggio per l’imprenditore non è meramente negativo (limitare i danni), ma positivo, nel senso di poter favorire con l’apparato strumentale mafioso l’espansione dei suoi affari in cambio di disponibilità a fornire risorse, servizi o comunque utilità al sodalizio medesimo.

Il “sistema mafia”, nell’ipotesi in discorso, non assume la veste di corpo estraneo all’attività imprenditoriale che ne è costretta passivamente a subire il peso per proseguire onestamente nei propri affari, ma, al contrario, viene accettato e attivamente assunto a strumento per la risoluzione di problemi connessi all’attività, la rimozione di ostacoli o in generale per ricevere protezione.

Gli esiti di indagini storico-sociologiche, in definitiva, possono far entrare nel processo penale, come strumento interpretativo, elementi probatori circa la possibile vischiosità nei rapporti fra imprenditoria e associazioni criminali mafiose. Questo dato potrebbe consentire al giudice di convalidare l’ipotesi investigativa della presenza in capo al medesimo soggetto imprenditore del ruolo di concorrente esterno del sodalizio e di vittima di estorsione. In quest’operazione interpretativa, occorre una descrizione precisa dell’intesa “contrattuale” raggiunta fra le parti, dei termini dell’una e dell’altra prestazione concordata e di come alla pretesa estorsiva si sia agganciata una pretesa di concreti servigi per l’azienda da parte dell’imprenditore.