di Simone Ferrari

L’art. 617 bis c.p. (installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche) punisce con la reclusione da uno a quattro anni chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine di intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone. La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale nell’esercizio o a causa delle sue funzioni ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.

La recentissima Cass. pen., Sez. VI, n. 39279/2018 ha, al riguardo, precisato che tale reato si configura solo se l’installazione è finalizzata ad intercettare o impedire comunicazioni fra persone diverse dall’agente, per cui il delitto non ricorre nell’ipotesi in cui l’apparecchio jammer telefonico, ossia un disturbatore di frequenze (che è strumento utilizzato per impedire ai telefoni cellulari di ricevere o trasmettere onde radio), sia installato per impedire l’intercettazione di comunicazioni, sia fra presenti sia telefoniche, che riguardano anche il soggetto che predispone l’apparecchio.

In particolare, se è vero che il legislatore ha inteso sanzionare la semplice installazione di apparecchiature del tipo sopra descritto, o anche solo di parti di esse, è altrettanto indiscutibile che il dettato normativo prevede che tale condotta, onde rivestire valenza penale, deve essere finalizzata ad “intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche fra altre persone”: dunque, a fare in modo che l’agente, attraverso l’indebita captazione del flusso di notizie fra soggetti terzi, consentita dalle apparecchiature medesime, possa acquisire dati scambiatisi dagli interlocutori, ovvero precludere loro detto scambio. Tanto in linea con la consolidata esegesi del concetto di intercettazione, che si riferisce alla registrazione, ovvero comunque alla presa di cognizione di conversazioni che intercorrono fra soggetti diversi da colui che registra o prende cognizione del contenuto delle conversazioni medesime.

La disposizione in esame – va altresì rilevato – trova collocazione nel novero dei delitti contro l’inviolabilità dei segreti, che sono tali se non coinvolgono l’agente.

Del resto, l’attività di indagine volta a seguire i movimenti di un soggetto e a localizzarlo mediante il montaggio di un’apparecchiatura satellitare al di sotto di un’autovettura, costituisce una forma di pedinamento eseguita con strumenti tecnologici, non assimilabile in alcun modo all’attività di intercettazione. Anche tale condotta, pertanto, non può ritenersi idonea all’integrazione della fattispecie di cui all’art. 617 bis c.p. (Trib. Campobasso, 16 febbraio 2017).