di Simone Ferrari
Un imputato ricorreva per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, che aveva confermato la condanna inflittagli dal Tribunale per i delitti di maltrattamenti e lesioni personali dolose in danno della sua convivente, costituitasi parte civile nel processo.
Ad avviso di Cass. pen., Sez. VI, n. 19776/2019, è manifestamente infondato il motivo di ricorso attraverso il quale si contesta la ritenuta configurabilità del delitto di maltrattamenti, ex art. 572 c.p. (“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni”), sul presupposto della episodicità delle manifestazioni violente e, per l’effetto, dell’assenza dell’imprescindibile connotato di abitualità delle condotte.
Infatti, integra tale delitto il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, e non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo.
È del tutto irrilevante, allora, nell’accertata esistenza di plurimi episodi di prevaricazione, nel corso di una relazione sentimentale protrattasi per otto anni, che la persona offesa avesse una sua vita di relazione autonoma o potesse disporre di risorse economiche: circostanze, entrambe, perfettamente compatibili con un più generale clima di umiliante sopraffazione, che è necessario e sufficiente per configurare il reato.
Del resto, la violenza fisica non costituisce componente necessaria del delitto di maltrattamenti in famiglia, che può essere realizzato anche con atti di disprezzo e offesa della dignità della persona offesa, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali e anche con condotte che, in sé, non costituiscano reato (Trib. Cagliari, 6 marzo 2019).