Nella recente pronunzia di cui al titolo del presente contributo la massima compagine dell’organo di nomofilachia ha affrontato, e risolto per l’affermativa, il quesito se fosse suscettibile di ricorso per cassazione, giacché viziata di abnormità, l’ordinanza reiettiva di istanza di incidente probatorio, cosiddetto speciale, ex art. 392, comma 1 bis, primo periodo, del codice di rito penale (“Nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 572, 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 609-undecies e 612-bis del codice penale il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1”). L’interrogativo, più nel dettaglio, verteva sulla sussistenza, o meno, di una presunzione juris et de jure in ordine all’indifferibilità/non rinviabilità a giudizio della prova acquisenda (nell’evenienza di specie, il contributo dichiarativo o dell’under age o del maggiorenne persona offesa da uno dei reati di cui al previo elenco) e, inoltre, alla condizione di vulnerabilità dell’escutendo. A tale riguardo era dato evidenziare un accesso contrasto giurisprudenziale: ad un orientamento maggioritario, che deponeva per la negativa con dovizia di argomenti (immediatamente a seguire una loro lectio brevis), si contrapponeva un indirizzo significativamente minoritario, poi fatto proprio dalle Sezioni Unite, che, invece, accedeva all’impostazione di cui sopra (anche qui, a stretto giro di posta, le rationes fondative). A monte, nondimeno, “campeggiava” un’ulteriore, e pregiudicante, ottica di impegno ovverossia verificare se, in merito alle due pre-condizioni segnalate (id est, l’indifferibilità/non rinviabilità a giudizio del formando elemento di prova; lo status di peculiare vulnerabilità dell’esternante debole) residuasse, ed in caso di risposta affermativa entro quali limiti e giusta quali margini operativi, discrezionalità in capo al giudice chiamato a saggiarne l’effettività – come del resto accade, senza dubbio veruno, stante altri profili (tanto per esemplificare se la richiesta di incidente probatorio è stata avanzata da soggetto a ciò legittimato oppure se questa è stata addotta con riguardo alle evenienze, ex lege, prestabilite).
Di già, benché solo incidentalmente, si è fatto cenno alle due fronti in antitesi: la linea dominante, per vero, rappresentava come il giudice non fosse “obbligato ad ammettere la richiesta di assunzione della prova dichiarativa formulata ai sensi dell’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., in quanto la relativa disposizione non prevede alcuna forma di “automatismo” decisionale. Non è sufficiente, per l’ammissione dell’incidente probatorio nel caso considerato, … che sia stata presentata una istanza di una delle parti legittimate, dovendo il giudice sempre effettuare una verifica tanto dei requisiti processuali di ammissibilità quanto della fondatezza della richiesta: controllo che offre sempre al decidente margini di discrezionalità nel contemperamento delle ragioni di tutela della dignità e della personalità della vittima con quelle connesse al diritto di difesa dell’imputato. L’ordinanza con la quale il giudice rigetta la richiesta di incidente probatorio per l’esame della persona offesa di uno dei reati sopra considerati non può mai essere considerata viziata da abnormità, perché tale provvedimento non si pone al di fuori del sistema processuale e non determina una irrisolvibile stasi del procedimento, potendo la prova dichiarativa essere assunta anche nel prosieguo del giudizio: con la conseguenza che, per il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, va dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso una siffatta ordinanza di rigetto …” . Si era fra l’altro “sottolineato come una diversa opzione interpretativa non trovi conferma né “nel testo degli artt. 392 e 398 cod. proc. pen., che non pongono alcun limite all’apprezzamento del giudice per il caso che la richiesta di incidente probatorio venga proposta ai sensi del comma 1-bis del primo degli articoli richiamati”; e neppure nel complesso normativo convenzionale, volto esclusivamente a richiedere al legislatore dei singoli Stati una operazione di predisposizione, nei casi in cui deve procedersi all’audizione di un soggetto vulnerabile, di particolari forme di assunzione “tese a salvaguardare la sua integrità fisica psicologica e anche a contenere il rischio di vittimizzazione secondaria legato alla reiterazione dell’atto istruttorio”. È, perciò, “una forzatura far discendere dallo stesso sistema normativo l’imposizione di un vero e proprio obbligo, in capo al giudice, di disporre l’assunzione delle dichiarazioni del minore o della persona offesa vulnerabile a seguito della mera presentazione di una richiesta di incidente probatorio e a prescindere da qualsiasi apprezzamento sulla rilevanza della prova” … “[L’]esegesi letterale della disposizione in argomento accredita l’opinione di chi ha negato che, nei casi indicati, vi sia una ineludibile necessità dell’assunzione anticipata della testimonianza della persona offesa vulnerabile, “poiché l’iniziativa stessa non è attribuita in termini di cogenza, ma è rimessa alla facoltà discrezionale” delle parti legittimate a richiederla: “… già nell’atto propulsivo si evidenzia una valutazione ponderata rimessa alle parti del procedimento, alla quale deve corrispondere un altrettanto discrezionale spazio valutativo del Gip in ordine all’esistenza dei presupposti e condizioni del richiesto istituto“. Da ultimo veniva posto in luce come “la deroga introdotta dall’art. 392, comma 1 –bis, cod. proc. pen. alla regola generale att[enesse]… esclusivamente all’irrilevanza del presupposto della non rinviabilità della prova a dibattimento e non già agli ulteriori profili della deliberazione richiesta al giudice”, al quale spetta, comunque, “vagliare, in un primo momento, i requisiti di ammissibilità della richiesta e, successivamente, la fondatezza dello stesso; valutazione, quest’ultima, che egli compie, nella prospettiva della rilevanza della prova ai fini della decisione dibattimentale, sulla base sia delle argomentazioni addotte dalla parte istante (ex art. 393, comma 1, cod. proc. pen.), sia delle eventuali deduzioni presentate dalla parte avversa, in ragione del contraddittorio cartolare sviluppatosi sulla richiesta, quale diritto egualmente riconosciuto alle parti dall’art. 396, comma 1, cod. proc. pen.”. Del resto, “l’indefettibile assunzione dell’incidente probatorio potrebbe… risultare sproporzionata rispetto allo scopo di tutelare la personalità e la dignità del soggetto vulnerabile, ad esempio nei casi in cui la sua escussione si riveli irrilevante o superflua, perché la prova sia stata raggiunta aliunde o perché le condizioni della vittima, per effetto della condotta delittuosa o di altre cause, sconsiglino l’immediata assunzione della testimonianza nella fase delle indagini“. Ad addenda finale veniva, con caparbietà, puntualizzato che “la condizione di vulnerabilità non può essere automaticamente presunta per i soggetti passivi dei reati contro la libertà sessuale o la personalità individuale, tassativamente elencati dal legislatore nel comma 1-bis dell’art. 392 cod. proc. pen., occorrendo invece verificare in concreto, specie per i soggetti maggiorenni, l’impatto traumatico subito per effetto della condotta delittuosa posta in essere nei loro confronti che, ove ritenuto tale, potrebbe riflettersi sulla genuinità della stessa dichiarazione testimoniale in ragione del clamore mediatico che di norma è connesso al processo, così come del tempo inevitabilmente maggiore per la sua istaurazione e al conseguente maggior pericolo di inquinamento della fonte dichiarativa“. A questa messe di riferimenti, anticipando sin da ora il Nostro giudizio finale, si oppone un insieme di argomenti “vuoti” o, addirittura, inconferenti. Nondimeno, valga l’onore delle armi (non fosse altro perché trattasi di temi sottoscritti dal Collegio esteso dell’organo di legittimità): “dalla disposizione de qua si evince l’esistenza di un obbligo del giudice di ammettere la prova dichiarativa della persona offesa: in presenza di una richiesta formulata ai sensi dell’art. 392, comma 1 –bis, primo periodo, cod. proc. pen., è, dunque, abnorme il provvedimento con cui il giudice rigetti l’istanza, perché espressione di un potere astrattamente previsto dal codice di rito, ma in concreto estraneo al sistema processuale, in quanto manifestazione dell’esercizio arbitrario di un sindacato non consentito. A tale conclusione si è pervenuti constatando come l’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. abbia introdotto una eccezione alle regole generali di assunzione della prova dichiarativa penale. Per l’assunzione della testimonianza della vittima di violenza sessuale, gli obblighi dello Stato italiano derivanti dalla adesione a varie convenzioni internazionali impongono di evitare la vittimizzazione secondaria delle persone offese di tali reati: sono, infatti, gli impegni assunti con la sottoscrizione di tali convenzioni che inducono a ritenere che l’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen. vada letto alla luce della ratio delle modifiche normative introdotte, nel tempo, nel codice di rito penale, con le quali si è inteso garantire una più marcata protezione della vittima di reati di violenza domestica e di genere, di condotte persecutorie, di gravi forme di aggressione della personalità e della libertà che coinvolgono la sfera sessuale. La previsione della “obbligatorietà”, in siffatte ipotesi, dell’incidente probatorio, derogando al criterio della rigida distinzione tra la fase delle indagini preliminari e la fase di giudizio, è finalizzata ad evitare alla vittima di “rivivere i sentimenti di paura, di ansia e di dolore provati al momento della commissione del fatto”: ne consegue che il comma 1-bis, primo periodo, dell’art. 392 cod. proc. pen., secondo cui le parti possono richiedere al giudice per le indagini preliminari di procedere con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza del minorenne o della persona offesa maggiorenne “anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1”, esclude “qualsiasi potere discrezionale da parte del giudice circa l’opportunità di accogliere la richiesta”. La disposizione in argomento … riflette la chiara intenzione del legislatore di evitare fenomeni di “vittimizzazione secondaria” derivanti dall’applicazione del principio di formazione della prova in dibattimento, in quanto “non sarebbe ragionevole invocare quest’ultimo valore, di carattere squisitamente processuale, per sacrificare il primo, di carattere sostanziale e giudicato ex lege preminente”. Né conduce a una differente analisi la circostanza che la formulazione letterale della norma non stabilisca espressamente un obbligo del giudice di disporre l’incidente probatorio nei casi indicati dal comma 1-bisdell’art. 392 cod. proc. pen., limitandosi a prevedere una semplice facoltà di richiesta da parte dei soggetti legittimati: si tratta di disposizione che “disciplina una particolare ipotesi di richiesta di ammissione di prove e, dunque, si conforma al lessico di regola seguito da altre consimili disposizioni”, quali gli artt. 190,190-bis, 438, comma 5, 493, 603 cod. proc. pen., che evidenziano il diritto potestativo delle parti processuali e delineano espressamente i poteri di valutazione attribuiti al giudice …” Ne deriva che, in assenza di diversa statuizione normativa, vale il principio generale, sul quale è fondato l’ordinamento processuale, secondo cui, “fatta salva l’assenza delle condizioni previste dalla disciplina che consente il ricorso allo strumento anticipato di assunzione”, il potere di valutazione del giudice è “limitato” con riferimento all’accertamento della vulnerabilità della vittima e della non rinviabilità della prova, essendo obbligato ad ammettere la prova richiesta purché essa non sia vietata dalla legge, manifestamente superflua o irrilevante. Da tanto si è dedotto che è ricorribile per cassazione l’ordinanza di rigetto della richiesta di incidente probatorio ex art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., perché si tratta di provvedimento contrario alla “disciplina processuale attuativa degli obblighi assunti dallo Stato in sede internazionale” e che disapplica la regola di assunzione di quella specifica prova: “provvedimento reso al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite, e quindi, affetto da abnormità strutturale”, vizio configurabile nelle situazioni per le quali l’ordinamento non appresta alcun rimedio volto a rimuovere provvedimenti che siano frutto di sviamento di potere e che abbiano causato un pregiudizio insanabile alle parti interessate … Seguendo la medesima impostazione si è sottolineata la necessità di garantire la tutela delle vittime vulnerabili, che rappresenta la ratio ispiratrice delle modifiche introdotte nel sistema dalla legge 19 luglio 2019, n. 69, … . Sono le disposizioni di fonte sovranazionale, che a più riprese si sono occupate del “rafforzamento degli strumenti processuali” previsti a protezione della vittima vulnerabile, chiamata a rilasciare dichiarazioni nel procedimento penale, a imporre, in presenza delle altre prescritte condizioni di accesso all’istituto, il ricorso, in via “automatica” e in base alla sola richiesta di parte, all’incidente probatorio per la raccolta della testimonianza di soggetti fragili, vittime di uno dei gravi reati appositamente indicati: persone offese il cui contributo dichiarativo va acquisito con l’unico “strumento processuale” che permette di garantire la genuinità della prova e, allo stesso tempo, di salvaguardare i dichiaranti “deboli” da fenomeni di vittimizzazione “secondaria” … Il provvedimento di rigetto della richiesta di incidente probatorio finalizzato all’assunzione delle dichiarazioni della parte lesa vulnerabile è affetto da abnormità funzionale per carenza di potere in concreto, nel caso in cui non esponga le cogenti ragioni che, nello specifico, prevalgono sulla esigenza di tutela della stessa vittima e della genuinità della prova. È indubbio che, da un punto di vista funzionale, il rigetto di un’istanza di incidente probatorio in siffatte ipotesi non determina una stasi del processo, potendo la testimonianza essere raccolta nella successiva fase del dibattimento. È, altresì, incontestato che, da un punto di vista strutturale, il potere di rigettare l’incidente probatorio c.d. [speciale: n.d.a.] è espressamente conferito al giudice tanto nel caso di incidente probatorio di cui all’art. 392, comma 1, cod. proc. pen., quanto nell’ipotesi di cui al successivo comma 1 –bis. È incontroverso, però, che un’abnormità per “carenza di potere “in concreto” è, comunque, riconoscibile nel caso dell’esercizio della discrezionalità “oltre ogni ragionevole limite”, mediante l’adozione di un provvedimento “arbitrario, perché espressione di una discrezionalità concessa ed esistente, ma utilizzata senza il doveroso confronto con la ratio dell’istituto” …”.
Quali, di tal che, le giustificazioni “accampate” dalla massima espressione dello jus dicere onde suffragare queste linee portanti? Analizziamole partitamente, su tutto all’obiettivo di riscontrarne eventuali insostenibilità. 1) La Corte muove da un inequivoco, a Suo dire, marcatore semantico giusta l’esegesi letterale del disposto ex art. 392, comma 1 bis, primo periodo, del codice di rito penale. Alla luce del fatto che, in quei frangenti, l’incidente probatorio è legittimato “anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1” si è voluto “escludere che il giudice, chiamato a decidere su una siffatta richiesta di incidente probatorio, sia tenuto ad effettuare verifiche in ordine alla indifferibilità della prova ovvero alla non rinviabilità della sua assunzione. La stretta connessione tra lo status di persona offesa in relazione ad uno dei reati ivi elencati, tutti attinenti alle più gravi forme di violenza sessuale, domestica e di genere, nonché la piena parificazione, ai fini che qui interessano, operata dal legislatore, del maggiorenne persona offesa di uno di quei delitti alla figura del minorenne (tanto persona offesa quanto mero teste), che l’ordinamento giuridico considera “per antonomasia” soggetto “fragile”, sono elementi che inducono ragionevolmente a ritenere che quell’inciso (“anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1”) abbia il ben preciso significato di aver voluto indefettibilmente collegare il carattere della non rinviabilità della prova alla specifica qualifica posseduta da uno di quei soggetti vulnerabili. In altri termini, la formula lessicale impiegata dal legislatore autorizza fondatamente a sostenere che il riconoscimento dello status di vittima vulnerabile, connesso alla tipologia del reato per il quale si procede, preclude al giudice la verifica concreta della indifferibilità dell’atto ovvero della non rinviabilità della assunzione della prova. Si tratta di un presupposto di ammissione dell’incidente probatorio che deve considerarsi oggetto di una presunzione iuris et de iure, sicché, in presenza della acclarata appartenenza del teste da ascoltare ad una di quelle “categorie protette”, l’accertamento in concreto della esistenza del requisito della non rinviabilità deve considerarsi escluso per legge, non rientrando nello spettro del sindacato discrezionale spettante, in tali ipotesi, al giudice.” Argomento come i dichiaranti che si intende tutelare ovvero “fragile”. Come si possa, dal riscontrato inciso, desumere un “giardino proibito” per la valutazione giudiziale manet in alta mente retentum. Dall’utilizzo della clausola “anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1” è dato evincere, in esclusiva, che, con precipuo riguardo ai soggetti indicati (minorenni, finanche meri participi di un fatto criminoso e non, di necessità, soggetti passivi del medesimo, e maggiorenni persone offese), stante il focus su di un dettaglio puntuale di reati (sessuali e para-sessuali; di “cosificazione” dell’essere umano; espressione di violenza domestica e/o di genere), che l’assunzione anticipata della prova si emancipa da pre-condizioni di non rinviabilità al dibattimento [od in quanto soggetta a perdita di genuinità (lett. da a) ad e) art. 392, comma 1, c.p.p.); od in quanto il suo oggetto è inevitabilmente esposto a modificazione (lett. f) art. e co. ult. cit.); o perché ricorrono particolati ragioni di urgenza (lett. g) art. e co. ult. cit.); o, last but not least, giacché il loro rinvio ne (scil.: del dibattimento) pregiudicherebbe la concentrazione (art. 392, comma 2, c.p.p.)]. Fra l’altro l’art. 392, comma 1 bis, primo periodo, c.p.p. non fa richiamo veruno né allo status di particolare vulnerabilità dell’io narrante né, tantomeno, al giudice chiamato a vagliare la fattibilità di quella richiesta – le cose muterebbero se quell’enunciato dicesse, putacaso, “Il giudice, una volta conclamata la particolare vulnerabilità dei soggetti vittime dei seguenti reati …, dispone l’incidente probatorio protetto avvalendosi delle forme, dei modi e dei luoghi come disciplinati ex articolo 398, comma 5 bis, del codice di procedura penale”: ma così non è e tanto basti (nel senso che, da quella formula, si può desumere la non necessità dell’indifferibilità dell’assunzione probatoria onde azionare l’incidente de quo ma null’altro); 2) a seguire l’organo di legittimità, ad ulteriore potenziamento del proprio impianto motivo, si adopera a raffrontare il primo ed il secondo periodo del più volte citato art. 392, comma 1 bis, c.p.p.; il che porterebbe “legittimamente a ritenere che, solo nel caso regolato da tale secondo periodo, il giudice conservi un più ampio potere valutativo. Ed infatti, solamente in tale seconda situazione, quella riguardante l’incidente probatorio c.d. “atipico”, il legislatore ha espressamente affidato al giudice il compito di accertare, seguendo i criteri dettati dall’art. 90-quater cod. proc. pen., se la persona offesa, di cui sia stato domandato l’esame in sede di incidente probatorio, si trovi in “condizioni di particolare vulnerabilità”. In tale ipotesi, che evidentemente non può che riguardare i procedimenti penali aventi ad oggetto reati diversi da quelli elencati nel primo periodo del comma 1-bis, spetta al giudice appurare in concreto se sussista la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa (anche se minorenne), desumendola, “oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede”, tenendo conto “se il fatto risulta commesso con violenza alla persona con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato” (art. 90-quater cit.). In buona sostanza, è la lettura dell’intero comma 1-bis dell’art. 392 cod. proc. pen., nella sua “composizione binaria”, ad “illuminare” le ragioni della distinzione tra i casi in cui si procede per specifici gravi reati a sfondo sessuale ovvero espressione di violenza domestica o di genere, nei quali è prevista l’assunzione anticipata della testimonianza del minore o della persona offesa tout court, perché lo status di soggetto vulnerabile è presunto per legge; e tutti gli altri casi, relativi ad altri reati (“In ogni caso”, si legge nell’incipitdel secondo periodo), nei quali la decisione sulla richiesta di anticipazione della assunzione della testimonianza della persona offesa impone una verifica in concreto, da parte del giudice, della sussistenza delle condizioni di particolare vulnerabilità del testimone. La voluntas legis risulta, così, molto chiara: si è voluta introdurre, con quel secondo periodo, un’ulteriore ipotesi di incidente probatorio, nella quale al giudice è demandato un più ampio potere di controllo, da esercitare volta per volta, a differenza di quanto accade nell’ipotesi disciplinata dal primo periodo del comma 1-bisdell’art. 392 cod. proc. pen., nella quale anche l’esistenza della condizione di vulnerabilità della persona offesa è considerata in re ipsa, cioè presunta per legge in ragione del titolo del reato per il quale si procede”. Un paralogismo, già at face value. Al di là delle qualificazioni sottoscritte dalla “terza istanza” (sarebbe ‘speciale’ il prodotto di cui al primo periodo dell’art. 392, comma 1 bis, c.p.p. laddove, invece, si contrassegnerebbe ‘atipico’ quanto riscontrato al secondo periodo) ‘In ogni caso”, ben lungi dal potersi intendere come ‘in tutti gli altri casi, relativi ad altri reati’ (ed è spiacevole che la Corte di Cassazione così si disponga …), non può che leggersi come ‘sempre’. Venendone, allora, che, finanche per i reati di cui al primo periodo, opera l’emancipazione dall’indifferibilità/rinviabilità ex art. 392, comma 1, c.p.p.: qui il legislatore, a differenza di ciò che accade giusta il primo periodo del comma 1 bis, “guida”, vincola, la discrezionalità del giudice al rispetto di determinate istruzioni onde evidenziare il soggetto vulnerabile [presupposti di una “liquidità” clamorosa, beninteso, stante il testo dell’art. 90 quater c.p.p.: “Agli effetti delle disposizioni del presente codice” (quindi altresì per mandare ad effetto l’art. 392, comma 1 bis, c.p.p.: n.d.a.) “, la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato”]. Esattamente il contrario di quanto ci dicono le Sezioni Unite: è il secondo periodo ad “incanalare” la libertà valutativa dell’organo di jus dicere mentre il primo tace (e, qui, così facendo, non si può che avvalorare la regola generale – l’intime conviction – condizionabile solo per espressa previsione normativa). Ribadiamolo ancora, quand’anche ridondando: i disposti di nostro interesse giammai evocano la figura del giudice; 3) breve confutazione meritano poi gli argomenti a contrario significati dal giudice di legittimità. “Non è condivisibile il tentativo di chi ha inteso valorizzare il testo dell’art. 398, comma 1, cod. proc. pen., che, nell’indicare gli epiloghi decisori del procedimento incidentale instaurato con la richiesta di incidente probatorio, stabilisce che “il giudice pronuncia ordinanza con la quale accoglie, dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di incidente probatorio”, senza distinguere tra le istanze formulate ai sensi del comma 1 e quelle presentate a mente del comma 1-bis, primo periodo, dell’art. 392 dello stesso codice. E ciò perché, anche nel caso di richiesta di incidente probatorio finalizzata all’assunzione della testimonianza della persona offesa nei procedimenti elencati nel primo periodo del considerato comma 1-bis, il giudice conserva un potere di sindacato in ordine alla presenza di ulteriori requisiti di ammissibilità o di fondatezza della istanza, diversi da quelli oggetto delle due presunzioni legislative, dovendo, comunque, accertare che: la domanda sia stata formulata da una delle parti legittimate; sia stata proposta in una delle fasi in cui l’incidente è consentito; il procedimento abbia ad oggetto uno dei reati contenuti nell’elenco del predetto primo periodo del comma 1-bis; la persona di cui è stato chiesto l’esame testimoniale sia effettivamente un minorenne o la persona offesa maggiorenne; l’istanza sia stata avanzata nel rispetto delle ulteriori forme e dei termini regolati dal codice di rito. Né conduce a differenti conclusioni il tenore della disposizione dell’art. 393, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui prescrive, in generale, quale dev’essere il contenuto della richiesta di incidente probatorio. Se risponde ad un’esigenza di coerenza sistematica l’avere prescritto che l’istanza debba indicare “la prova da assumere, i fatti che ne costituiscono l’oggetto e le ragioni della sua rilevanza per la decisione dibattimentale” (lett. a), nonché “le persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova” (lett. b), va considerato, invece, frutto di un difetto di coordinamento legislativo l’aver lasciato, nel tempo, immutato il dettato originario della lett. c) (secondo cui nella istanza vanno pure precisate “le circostanze che, a norma dell’articolo 392, rendono la prova non rinviabile al dibattimento”), trattandosi all’evidenza di una prescrizione di cui – per le ragioni sopra tratteggiate – non è necessaria l’osservanza se la richiesta sia stata presentata ai sensi del comma 1-bis, primo periodo, dell’art. 392 cod. proc. pen.” D’altro canto, “[n]on è affatto irragionevole ritenere che ad una facoltà discrezionale delle parti processuali interessate corrisponda un potere discrezionale “limitato” del giudice nel sindacare l’esistenza dei presupposti per l’accoglimento di una istanza. Nel codice di procedura penale il “meccanismo” di formazione della prova penale presuppone sempre, salvo casi eccezionali, l’esercizio di un diritto potestativo spettante alle parti” [perché, nondimeno, il pubblico ministero non soffra limite veruno giusta l’opzione di attivarsi o meno per l’incidente probatorio – egli è totalmente libero al riguardo – laddove l’organo a cui presiede l’assunzione (o il giudice per le indagini preliminari od il giudice dell’udienza preliminare, d’ora in innanzi, per acronimi, G.I.P. e G.U.P.) sia vincolato a disporlo ci risulta alquanto misterioso …) “; inoltre, la disciplina codicistica conosce numerose situazioni nelle quali, ad una facoltà di iniziativa esercitabile discrezionalmente dalle parti, corrisponde un potere decisorio del giudice penale caratterizzato da una discrezionalità “limitata” ovvero “indirizzata” da specifiche prescrizioni legislative”. Sono conseguenze, che si danno per certe, di qualcosa che, però, assolutamente certo non è: un entimema aristotelico, al postutto, che non ha valore dimostrativo bensì in esclusiva persuasivo (rafforzativo, meglio ancora opinando). 4) Ciò che maggiormente suscita perplessità è, pur tuttavia, la giustificazione clou di cui al supremo consesso. Il giudice di cassazione, infatti, una volta ri-editate le rationes che fondano il ricorso all’incidente probatorio cosiddetto speciale – evitare la perniciosa vittimizzazione secondaria (ovvero la sofferenza ulteriore, ed inaccettabile, derivante non dal factum sceleris in sé e per sé ritenuto bensì dal contatto della vittima del reato con gli organi preposti ad amministrare giustizia; si pensi, tanto per esemplificare, alla colpevolizzazione di quell’ultima, alla poca sensibilità nelle procedure legali o al rivivere del trauma consequenziale al danno subìto a fronte delle modalità giusta la quali essa viene trattata dalle istituzioni, su tutto durante le indagini preliminari) e preservare la genuinità della prova dall’usura del tempo -, assicura la conformità dell’esito sottoscritto – ripetiamolo: l’abnormità, con successivo ricorso per cassazione, dell’ordinanza reiettiva della proposta ex art. 392, comma 1 bis, primo periodo, c.p.p. – con la normativa sovranazionale in quanto orientato al rispetto delle disposizioni rese in subiecta materia. Invero, la legislazione processuale penale interna si è gradualmente arricchita “per effetto di una serie di interventi normativi, con i quali si è “tenuto conto, tra l’altro, anche della necessità di uniformare l’ordinamento interno alle previsioni di norme sovranazionali attinenti, in modo specifico, alle modalità di assunzione della testimonianza del minore vittima di reati o, amplius, alla tutela del testimone “vulnerabile”… Previsioni di tal fatta si rinvengono, in specie, oltre che in talune Raccomandazioni, nella Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, ratificata e resa esecutiva con legge 1 ottobre 2012, n. 172 (artt. 30, 31 e 35), nonché, quanto al diritto dell’Unione europea, nella decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (artt. 2, paragrafo 2; 3, paragrafo 3; 8, paragrafi 3 e 4), e indi nella Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (artt. 19, paragrafo 1; 22, paragrafo 4; 23)” … “La risposta al quesito posto all’odierna attenzione delle Sezioni Unite non può prescindere, dunque, dalle “linee di indirizzo” riconoscibili nelle disposizioni di fonte sovranazionale che il legislatore nazionale ha, in più occasioni, dichiaratamente inteso “prendere a modello”. Al riguardo va ricordato come l’art. 35 della citata Convenzione di Lanzarote del 2007 stabilisce che “ogni Parte adotterà le misure legislative o di altra natura necessarie per garantire che: a) le audizioni del minore si svolgano senza ritardi ingiustificati dopo che i fatti sono stati segnalati alle autorità competenti;… e) il numero di tali audizioni sia il più possibile limitato a quanto è strettamente necessario ai fini del procedimento penale”; e come l’art. 18 della richiamata Convenzione di Istanbul del 2011 preveda che “le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie, conformemente al loro diritto interno, per garantire che esistano adeguati meccanismi di cooperazione efficace tra tutti gli organismi statali competenti, comprese le autorità giudiziarie… al fine di proteggere e sostenere le vittime e i testimoni di ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della presente Convenzione… (mirando)…ad evitare la vittimizzazione secondaria”. Inoltre, gli artt. 18 e 20 della menzionata Direttiva 2012/29/UE prescrivono che “gli Stati membri assicurano che sussistano misure per proteggere la vittima e i suoi familiari da vittimizzazione secondaria e ripetuta, intimidazione e ritorsioni, compreso il rischio di danni emotivi o psicologici, e per salvaguardare la dignità della vittima durante gli interrogatori o le testimonianze (tra l’altro provvedendo) a che durante le indagini penali: a) l’audizione della vittima si svolga senza indebito ritardo dopo la presentazione della denuncia relativa a un reato presso l’autorità competente; b) il numero delle audizioni della vittima sia limitato al minimo e le audizioni abbiano luogo solo se strettamente necessarie ai fini dell’indagine penale”. Va detto, con estrema franchezza, che quanto precede non corrisponde al vero o, se si vuole mostrarsi più edulcorati, è incompleto o, rectius, non soddisfa il quesito rimesso all’autorevolezza delle Sezioni Unite: “[s]e e a quali condizioni sia abnorme il provvedimento di rigetto della richiesta di incidente probatorio avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen.”. Beninteso, il fine convenzionale è didatticamente individuato (sono i due obiettivi di cui sopra) ma, nondimeno, il giudice di legittimità oblitera, non è dato sapere quanto consapevolmente, di evidenziare l’art. 22 della direttiva 2012/29/UE a mente del quale “1. Gli Stati membri provvedono affinché le vittime siano tempestivamente oggetto di una valutazione individuale, conformemente alle procedure nazionali, per individuare le specifiche esigenze di protezione e determinare se e in quale misura trarrebbero beneficio da misure speciali nel corso del procedimento penale, come previsto a norma degli articoli 23 e 24, essendo particolarmente esposte al rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni. 2. La valutazione individuale tiene conto, in particolare, degli elementi seguenti: a) le caratteristiche personali della vittima; b) il tipo o la natura del reato; e c) le circostanze del reato. 3. Nell’ambito della valutazione individuale è rivolta particolare attenzione alle vittime che hanno subito un notevole danno a motivo della gravità del reato, alle vittime di reati motivati da pregiudizio o discriminazione che potrebbero essere correlati in particolare alle loro caratteristiche personali, alle vittime che si trovano particolarmente esposte per la loro relazione e dipendenza nei confronti dell’autore del reato. In tal senso, sono oggetto di debita considerazione le vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, della tratta di esseri umani, della violenza di genere, della violenza nelle relazioni strette, della violenza o dello sfruttamento sessuale o dei reati basati sull’odio e le vittime con disabilità. 4. Ai fini della presente direttiva si presume che i minori vittime di reato abbiano specifiche esigenze di protezione essendo particolarmente esposti al rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni. Per determinare se e in quale misura debbano avvalersi delle misure speciali di cui agli articoli 23 e 24, i minori vittime di reato sono oggetto di una valutazione individuale come previsto nel paragrafo 1 del presente articolo. 5. La portata della valutazione individuale può essere adattata secondo la gravità del reato e il grado di danno apparente subito dalla vittima. 6. La valutazione individuale è effettuata con la stretta partecipazione della vittima e tiene conto dei suoi desideri, compresa la sua eventuale volontà di non avvalersi delle misure speciali secondo il disposto degli articoli 23 e 24. 7. Qualora gli elementi alla base della valutazione individuale siano mutati in modo sostanziale, gli Stati membri provvedono affinché questa sia aggiornata durante l’intero corso del procedimento penale”. Già l’iconica Rubrica dell’articolo – “Valutazione individuale delle vittime per individuarne le specifiche esigenze protezione” – disvela l’intendimento del legislatore europeo: è doverosa una valutazione case by case delle specifiche esigenze di protezione del destinatario di fattispecie criminose onde individualizzare il corredo tutelare da rimettere a garanzia di costui – l’art. 22, si badi bene, non evoca, neppure in via indiretta, una condizione di particolare vulnerabilità bensì esige, giustappunto, un vaglio “atomistico” delle posizioni soggettive de quibus. Ora come il riscontrato individual risk assessment possa conciliarsi con una presumptio, voluta ex lege, di vulnerabilità appare di opaca decifrazione a meno che non si postuli, come fa avveduta dottrina, un rinvio alla “viscerale” tendenza del legislatore nostrano a categorizzare le vittime particolarmente vulnerabili: il che, ad ogni buon conto, risulta non più sottoscrivibile, tanto più alla luce degli impegni euro-unitari assunti dallo Stato italiano. Stando così le cose simul stabunt simul cadent: non v’è nessuna presumpio juris et de jure; non v’è nessuna abnormità da denunziare (e da sanare).
Le linee portanti dell’intervento dell’organo di nomofilachia si inscrivono comunque in un ordito di più ampio respiro cioè in quel disegno, ormai conclamatosi in realtà, volto a contrassegnare una “nuova” struttura triadica del processo penale – imputato vs vittima (e non più solo pubblico ministero) in contesa dinnanzi ad un giudice terzo ed imparziale. Vittimocentrismo quo reocentrismo, laonde per cui: prospettiva implementata, fra l’altro, dalla normativa sovranazionale (come, sul punto, correttamente evidenziato dal giudice di legittimità) ma ciò, al di là di ulteriori punti dolenti (uno su tutti: perché, a fronte di un indagato che non può che essere considerato come tale, id est indagato e non presunto colpevole, il soggetto passivo del reato deve qualificarsi, già ex ante, come vittima e non, piuttosto, come presunta vittima del reato o, meglio ancora, dell’accusato?), genera scenari controversi. Il processo penale, è quasi banale dirlo, votato all’accertamento della/e responsabilità dell’attinto dal capo di imputazione e, una volta eventualmente riscontratane la consistenza, ad adeguare, alle vicende del caso, l’opportuno quadro sanzionatorio (poi, certo, si può fare aggio a definizioni stipulative ovvero a definizioni che assegnano ad un significante – il processo penale – un significato diverso da quello di cui agli usi linguistici effettivamente praticati; ma ciò a patto che quanto ri-stipulato non venga salvaguardato altrimenti; il rito penale, comunque sia, non può affatto assolvere la funzione politico-assiologica di tutela di tutti i valori e gli interessi in gioco, quand’anche si confermino preminenti i diritti fondamentali dell’imputato: la pedagogia gli è estranea, suvvia); le legittime istanze riparativo/risarcitorie, e finanche “punitive”, della vittima, al di là delle sue necessità informativo/partecipative al rito penale che possono, rectius, debbono trovare accoglienza in quest’ultimo (cfr., in merito, la letter of rights, più declamata che altro, invero, di cui all’art. 90 bis c.p.p.), debbono, a nostro modo di vedere, venire soddisfatte altrove. E di ciò si è mostrato avvertito, finanche qui non è dato sapere se intenzionalmente o per “riflesso pavloviano”, il legislatore allorquando, all’art. 42 d. legisl. 10 ottobre 2022, n. 150, a Rubrica normativa “Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari” (comunemente noto come riforma penale Cartabia, dalle generalità dell’allora facente funzioni di Ministro della Giustizia), identifica nella restorative justice, alla luce del dettato normativo “ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore”, dunque valorizzando un quid addirittura estraneo alle tradizionali coordinate della giustizia afflittivo/punitiva, la chiave di volta della auspicabile reductio ad unum. Fra l’altro, sempre in quel contesto, si fornisce una prima definizione di vittima, intendendosi per tale chi “ha subito direttamente dal reato qualunque danno patrimoniale o non patrimoniale, nonché il familiare della persona fisica la cui morte è stata causata dal reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona” – definizione che, ad addenda, vale in esclusiva per quel comparto [nel giudizio penale la vittima, come ora descritta, ha diritto ad essere informata, sin dal primo contatto con l’autorità procedente, in una lingua ad ella comprensibile, della facoltà di accedere ad un programma di giustizia riparativa (e solo di quello): cfr. art. 90 bis.1 c.p.p., anch’esso interpolato, nel tessuto codicistico, dal d.lgs. 150/2022. È lo stesso legislatore, a bene vedere, a tracciare il percorso da intraprendere]. Quanto proposto, si badi bene, non equivale ad estromettere la vittima del reato dal circuito penale (del quale è informata al quale partecipa e nel quale è sentita, a differenza dell’imputato, giusta veste testimoniale) tanto piuttosto a ricondurne istanze diversificate a loca, reali o figurati che siano, anch’essi a loro volta diversificati. Il tempo di innesto dell’incidente probatorio – indagini preliminari od udienza omonima – tra l’altro anticipa, e di gran lunga, lo svolgersi di un effettivo contraddittorio nella (e sulla) formazione della prova: in quei frangenti l’indagato/imputato sa poco o nulla delle dinamiche dell’accertamento – solo con l’avviso di conclusione delle indagini (v. art. 415 bis c.p.p.), nevvero, si realizza una piena discovery di quanto fino ad allora compiutosi. Non dimenticando, poi, che la componente topica essenziale di quel “modulo”, di già garantito a livello costituzionale (cfr. art. 111, comma 4, Cost.), e derogabile in esclusiva giusta gli angusti limiti di cui al seguire comma 5, dell’immediatezza qui non trova riscontro: il giudice che sovrintende alla formazione anticipata della prova, difatti, non corrisponde a colui che dovrà asseverarne, o falsificarne, le risultanze (queste ultime, non filtrate dalla maieutica dei contradditori, rischierebbero di generare una pantagruelica, illacrimata, istruzione formale). Il contraddittorio, emblema del cosiddetto giusto processo e proiezione del diritto di difendersi provando riconosciuto all’indagato/imputato, verrebbe dunque a soffrire ultra necessitate sull’altare della enfatizzazione delle istanze di tutela della vittima: è una linea di displuvio che siamo pronti ad accettare? Tanto più considerando che la legge fondamentale, allo stato dell’arte, sulla vittima tace: non per nulla alcuni disegni di legge (A.C. 286, primo firmatario Cirielli, A.C. 1312, primo firmatario Zanella, A.C. 2197, Iannone), attualmente pendenti presso la 1a Commissione (Affari Costituzionali) della Camera dei Deputati, vorrebbero provvedere in ordine a ciò o modificando l’art. 111 Cost. od intervenendo in corpore articuli 24. “La vittima del reato e la persona danneggiata dal reato sono tutelate dallo Stato nei modi e nelle forme previsti dalla legge”; “La legge garantisce i diritti e le facoltà delle vittime del reato”; “La Repubblica tutela le vittime di reato”: queste le modifiche a cui, rispettivamente, si intenderebbe fare accesso.
Ad una tale, incondizionata, “apertura di credito” non siamo disposti a sottostare. Non vorremmo, al tirar delle somme e sulla scia di quanto paventato da illuminata dottrina, che il contraddittorio, profilo da eminentemente garantire in un’ottica di ‘reale’ bilanciamento fra valori parimenti fededegni, nel contesto di specie, da già attutito e poi impedito, si riduca ad un urlo di Munch, malessere esistenziale che denota i tradimenti di un Codice.
