È indubbio che nel disegno ordinatore rappresentato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, recante “Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari” (cosiddetta riforma Cartabia dalle generalità dell’allora facente funzioni di Ministro della Giustizia), la giustizia riparativa identifica, già dal profilo lessicale, il novum effettivo. Gli ulteriori, “cardinali”, rivolgimenti apportati al sistema penale, sostanziale e processuale, insistono, difatti, sulla giustizia punitiva, od afflittiva che dir si voglia, in cui una persona viene imputata (ritenuta autrice …) di un fatto un’altra (o un funzionario pubblico o la persona offesa dal reato) “preme” per la retribuzione del male commesso un’altra ancora, terza ed imparziale, id est equi-distante fra gli antagonisti (e gli antagonismi) de quibus, rende giustizia. Qui, invece, si ipotizza un modello diverso, alternativo e complementare alla, e non mera propaggine della, giustizia tradizionale (non sono comunque esclusi “intrecci”, beninteso), con ‘nuovi’ protagonisti ‘nuovi’ contenuti e ‘nuovi’ obiettivi (simbolicamente la giustizia riparativa è, non per nulla, indicata giusta l’ago ed il filo del tessitore e non stante i piatti della bilancia di cui all’iconografia “classica”).

Un modello, fra l’altro, che non soffre limitazioni avendosi riguardo alla fattispecie astratta di reato o alla realizzazione, in concreto, del factum sceleris – la sua gravità, detto in altri termini

[poi di ciò è legittimo discutere. A livello normativo, a mero titolo di esempio, la Convenzione di Istanbul, ad oggetto la prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, colà firmata addì 11 maggio 2011, ratificata dallo Stato italiano con l. 27 giugno 2013, n. 77 ed ulteriormente implementata con l. 19 luglio 2019, n. 69, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” – il cosiddetto ‘Codice Rosso’ – non vede di buon occhio le procedure “conciliativo/mediativo/riparative” (anche se, a bene vedere, l’interdictio parrebbe circoscriversi solo alle procedure mandatory); a livello di opinione pubblica, invece, le associazioni femministe sono decisamente restie a sottoscrivere esiti riparativi a margine del compimento di violenze sessuali; e, forse, non si ha ancora avvertita, ed interiorizzata, piena consapevolezza che si può ricorrere al quid di specie finanche a fronte del perfezionarsi di reati di mafia]. Né, d’altra parte, la normativa distingue in ragione dei soggetti che di quella appaiono “consegnatari” – il che desta perplessità con riguardo precipuo ai minorenni (il subsettore processuale per gli under age ha costituito un fecondo laboratorio di sperimentazione in tema di giustizia riparativa, certo su base volontaristica ed a “macchia di leopardo” sul territorio nazionale, ma non per questo meno rilevante ai fini dell’individuazione delle coordinate di sistema della riforma). Il legislatore del 2022, invece, nel titolo IV del provvedimento di riforma, ad oggetto la “disciplina organica della giustizia riparativa”, dedica un solo articolo, per explicans, al comparto minorile avendo riguardo alla manifestazione del consenso (che deve sempre essere personale, libero, consapevole, informato ed espresso in forma: art. 48, comma 1) onde partecipare ai programmi de quibus (con specifico focus sull’infradiciottenne v. l’articolato “incedere” dei commi 3 e 4 dell’articolo testé menzionato diversificante i profili a seconda che l’interessato abbia raggiunto, o meno, il quattordicesimo anno di età). Oltre a ciò l’usuale clausola di “compatibilità” giusta cui le disposizioni che ci occupano “sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze del minorenne” venendone che ad essi “sono assegnati mediatori dotati di specifiche attitudini, avuto riguardo alla formazione e alle competenze acquisite” (cfr. art. 46, comma 1 e 2). Uno scenario alquanto desolante ulteriormente esasperato una volta letto il combinato disposto degli artt. 1, comma 2, ed 1-bis d. lgs. 2 ottobre 2018, n. 121, recante “Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in attuazione della delega di cui all’art. 1, commi 82, 83 e 85, lettera p), della legge 23 giugno 2017, n. 103” – l’ordinamento penitenziario minorile -, a cui dire “L’esecuzione della pena detentiva e delle misure penali di comunità deve favorire i programmi di giustizia riparativa …” laddove, “in qualsiasi fase dell’esecuzione, l’autorità giudiziaria può disporre il rinvio dei minorenni condannati, previa adeguata informazione e su base volontaria, ai programmi di giustizia riparativa”, di tal che avvalorandosi le preoccupazioni di settori qualificati della dottrina secondo cui, con buona dose di fondatezza, nel contesto minorile la giustizia riparativa identificherebbe in esclusiva un’appendice ad una funzionale esecuzione della pena.

Del resto che così ci si intendesse disporre, in chiave generale, è testimoniato da un libro scritto da Marta Cartabia, in una con Adolfo Ceretti, nel 2020, quando la prima non era ancora titolare del Ministero di via Arenula ed aveva appena “cessato” dal mandato prestigioso di Presidente della Corte Costituzionale, dall’emblematico titolo ‘Un’altra storia inizia qui. La giustizia come ricomposizione’: un habitus identitario, quindi, de lege ferenda che si traduce de jure condito una volta mutato il quadro istituzionale, e personale, della professoressa Cartabia.

Al di là di questi epidermici riscontri il d. lgs. 150/2022 sottende un nuovo paradigma culturale spie lessicali del quale già si ravvisano a prima lettura della Rubrica normativa. Colà si declinano eminentemente propositi (‘l’efficienza del processo penale’ e ‘la celere definizione dei procedimenti giudiziari’, ciò che, con stridente termine, potrebbe qualificarsi come “efficientamento” della macchina della giustizia) e, solo in misura residuale, macro-aree di intervento: nella specie la giustizia riparativa, per l’appunto, leitmotiv, se non compulsivo, di certo ossessivo della grammatica riformistica (salvo errori ed/od omissioni quella locuzione viene difatti reiterata per ben 167 volte nel testo che ci occupa). A scandaglio della centralità di quest’ultima nel disegno Cartabia, ad ulteriore riprova, il fatto che si tratti dell’unico momento assistito da un’erogazione finanziaria ad hoc – anche se garantita mediante trasferimento di somme di denaro di cui ad un altro fondo (l’art. 67 d.lgs. cit. significativamente dispone che “1. Nello stato di previsione del Ministero della giustizia è istituito un Fondo per il finanziamento di interventi in materia di giustizia riparativa, con una dotazione di euro 4.438.524 annui a decorrere dall’anno 2022. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è stabilita ogni anno la quota da trasferire agli enti di cui all’articolo 63, comma 5, per il funzionamento dei Centri per la giustizia riparativa e per la prestazione dei relativi servizi, nel limite delle disponibilità del fondo istituito ai sensi del presente comma. 2. Le Regioni e le Province autonome, le Città metropolitane, le Province, i Comuni e la Cassa delle Ammende, nel quadro delle rispettive politiche e competenze, possono concorrere, nei limiti delle risorse disponibili nell’ambito dei propri bilanci, al finanziamento dei programmi di giustizia riparativa.
3. Nel limite delle disponibilità del fondo di cui al comma 1, fermo restando il finanziamento degli interventi necessari a garantire i livelli essenziali delle prestazioni di giustizia riparativa, la determinazione degli importi da assegnare agli enti di cui all’articolo 63, comma 5, tiene conto, sulla base di criteri di proporzionalità, dell’ammontare delle risorse proprie annualmente impiegate dagli stessi enti per il finanziamento dei programmi di giustizia riparativa, opportunamente documentati e rendicontati alla Conferenza nazionale di cui all’articolo 61. 4. Agli oneri di cui al comma 1, pari a euro 4.438.524 annui a decorrere dall’anno 2022, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per l’attuazione della delega per l’efficienza del processo penale di cui all’articolo 1, comma 19, della legge 27 settembre 2021, n. 134.
5. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio”) sul restante gravando, inesorabile, la ormai “scontata” clausola di invarianza finanziaria, qui esplicitata ex art. 99 d. lgs. summenzionato (“1. Salvo quanto previsto all’articolo 67, le amministrazioni interessate nell’ambito delle rispettive competenze, danno attuazione alle disposizioni del presente decreto, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”). Poi, certo, la giustizia riparativa non è un elemento transuranico riscontrandosene traccia “in natura” in documenti internazionali (su tutto la Risoluzione n. 15/2002 sui Basic Principles on the Use of Restorative Justice programmes in Criminal Mattersadottata dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite il 24 luglio 2002), a livello macro-regionale (cfr. la Direttiva 2012/29/UE, recepita dallo Stato italiano con d. lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, recante, giustappunto, “Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, adottata il 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime del reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI ”, il cosiddetto “statuto europeo” delle vittime del reato, emblematica giacché fornisce la prima definizione “euro-unitaria” di giustizia riparativa, a cui attingerà, a seguire, il legislatore del 2022, oltre che la recentissima “Dichiarazione dei Ministri della Giustizia degli Stati membri del Consiglio d’Europa sul ruolo della giustizia riparativa” resa in occasione della conferenza, tenutasi a Venezia il 13 ed il 14 dicembre 2021, ad oggetto “Criminalità e Giustizia penale – il ruolo della giustizia riparativa in Europa”, dei Ministri omonimi) e, last but not least, in esperienze locali [a mero titolo esemplificativo si mediti sul Criminal Justice (Victims of Crime) del 2017 la cui “benemerenza” è tale da venire persino sottolineata dalla cosiddetta Commissione Lattanzi (dalle generalità del suo Presidente) ovvero dalla Commissione istituita, in data 16 marzo 2021, onde “elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato, attraverso la formulazione di emendamenti al Disegno di legge A.C. 2435, recante Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello” sulla Täter-Opfer- Ausleich tedesca e sulla concentration restauratrice en group belga].

Che cosa sia la giustizia riparativa è esplicitato all’art. 42, comma 1, lett. a), d.lgs. 150/2022: “ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore” le lettere successive – nel dettaglio la b) la c) e la d) – proponendosi di definire ‘vittima del reato’ ‘persona indicata come autore dell’offesa’ ‘familiare’ di uno dei predetti. Ex professo con vittima del reato si intende allora “la persona fisica che ha subito direttamente dal reato qualunque danno   patrimoniale o non patrimoniale, nonché il familiare della persona fisica la cui  morte è stata causata dal reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona”; con persona indicata come autore dell’offesa “1) la persona indicata come tale dalla vittima, anche prima della proposizione della querela; 2) la persona sottoposta alle indagini; 3) l’imputato; 4) la persona sottoposta a misura di sicurezza personale; 5) la persona condannata con pronuncia irrevocabile; 6) la persona nei cui confronti è stata emessa una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere, per difetto della condizione di procedibilità, anche ai sensi dell’articolo 344-bis del codice di procedura penale, o per intervenuta causa estintiva del reato”; infine, con familiare, “il coniuge, la parte di un’unione civile ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 20 maggio 2016, n.  76, il convivente di fatto di cui all’articolo 1, comma 36, della stessa legge, la persona che è legata alla vittima o alla persona indicata come autore dell’offesa da un vincolo affettivo stabile, nonché i parenti in linea retta, i fratelli, le sorelle e le persone fiscalmente a carico della vittima o della persona indicata come autore dell’offesa”. Trattasi di enunciazioni ad ampio respiro (eufemisticamente parlando …) che, al di là di tutto, comunicano un mutamento di prospettiva: non si discorre più, infatti, di indagato/imputato/condannato (progressione superata giusta il nuovo concetto di ‘persona indicata come autore dell’offesa’) né si rinvia al “magma” definitorio di cui al codice di rito penale come espresso dalle formule ‘persona offesa dal reato’ ‘danneggiato dal reato’ ‘costituito parte civile’ (qui tutto si stempera, ed al contempo, si diffonde nella nozione di ‘vittima’, a sua volta diretta – “la persona fisica che ha subito direttamente dal reato qualunque danno patrimoniale o non patrimoniale” – ed indiretta – “il familiare della persona fisica la cui  morte è stata causata dal reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona”). Ma, soprattutto, il giudice resta estraneo (egli, come i difensori ed il pubblico ministero, si arresta sulla soglia dei Centri per la giustizia riparativa) alle dinamiche de quibus; qui il deus ex machina è il mediatore (tanto per precisare debbono essere “almeno due”: così l’art. 53, comma 1, d. lgs. 150/2022), soggetto professionalmente qualificato, in costante formazione (l’art. 59, a ciò votato, a tale riguardo, prevede che “La formazione dei mediatori esperti assicura l’acquisizione delle conoscenze, competenze, abilità e dei principi deontologici necessari a svolgere, con imparzialità, indipendenza, sensibilità ed equiprossimità, i programmi di giustizia riparativa. 2. I mediatori esperti ricevono una formazione iniziale e continua. 3. La formazione iniziale consiste in almeno duecentoquaranta ore, di cui un terzo dedicato alla formazione teorica e due terzi a quella pratica, seguite da almeno cento ore di tirocinio presso uno dei Centri per la giustizia riparativa di cui all’articolo 63. 4. La formazione continua consiste in non meno di trenta ore annuali, dedicate all’aggiornamento teorico e pratico, nonché allo scambio di prassi nazionali, europee e internazionali. 5. La formazione teorica fornisce conoscenze su principi, teorie e metodi della giustizia riparativa, nonché nozioni basilari di diritto penale, diritto processuale penale, diritto penitenziario, diritto minorile, criminologia, vittimologia e ulteriori materie correlate. 6. La formazione pratica mira a sviluppare capacità di ascolto e di relazione e a fornire competenze e abilità necessarie alla gestione degli effetti negativi dei conflitti, con specifica attenzione alle vittime, ai minorenni e alle altre persone vulnerabili. 7. La formazione pratica e quella teorica sono assicurate dai Centri per la giustizia riparativa e dalle Università che operano in collaborazione, secondo le rispettive competenze. Ai Centri per la giustizia riparativa é affidata in particolare la formazione pratica, che viene impartita attraverso mediatori esperti iscritti nell’elenco di cui all’articolo 60 i quali abbiano un’esperienza almeno quinquennale nei servizi per la giustizia riparativa e siano in possesso di comprovate competenze come formatori. 8. L’accesso ai corsi é subordinato al possesso di un titolo di studio non inferiore alla laurea e al superamento di una prova di ammissione culturale e attitudinale. 9. I partecipanti al corso di formazione acquisiscono la qualifica di mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa in seguito al superamento della prova finale teorico-pratica. 10. Con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell’università e della ricerca, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono disciplinati le forme e i tempi della formazione pratica e teorica di cui al comma 7, nonché le modalità delle prove di cui ai commi 8 e 9. Gli oneri per la partecipazione alle attività di formazione ed alla prova finale teorico-pratica sono posti a carico dei partecipanti”), che si caratterizza, fra l’altro, per la sua equi-prossimità fra i deuteroagonisti [o pluri-agonisti giacché il percorso mediativo può fondarsi sull’“adesione” di ulteriori partecipanti del genere di “persone di supporto segnalate dalla vittima del reato e dalla persona indicata come autore dell’offesa” (i cosiddetti supporters), “enti ed associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato, rappresentanti o delegati di Stato, Regioni o enti locali o di altri enti pubblici, autorità di pubblica sicurezza, servizi sociali” o, a catch-all clause  finale, di “chiunque altro vi abbia interesse” (v., in merito, l’art. 45, comma 1, lett. c) e d) d. lgs. cit.)] nel senso che egli, a differenza del giudice, equi-distante dalle parti e percepito “lontano” da loro, e dalle loro istanze, deve empatizzare per ambedue i contendenti “stando nel mezzo” senza prediligerne veruno. (è “secondo” di entrambi, altrimenti detto, e non terzo). L’importanza del ruolo è inoltre stimolata dal fatto che il mediatore è investito del segreto professionale ex art. 200 c.p.p., privilege che può rivendicarsi stante l’esaustiva “lista” di tutele di cui all’art. 52 d.lgs. 150/2022 stante cui “Il mediatore non può essere obbligato a deporre davanti all’autorità giudiziaria né a rendere dichiarazioni davanti ad altra autorità sugli atti compiuti, sui contenuti dell’attività svolta, nonché sulle dichiarazioni rese dai partecipanti e sulle informazioni apprese per ragione o nel corso del programma di giustizia riparativa, salvo che vi sia il consenso dei partecipanti alla rivelazione o il mediatore ritenga questa assolutamente necessaria per evitare la commissione di imminenti o gravi reati e quando le dichiarazioni integrino di per se’ reato. Al mediatore si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 200 del codice di procedura penale. 2. Presso i mediatori e nei luoghi in cui si svolge il programma di giustizia riparativa non si può procedere a sequestro di carte o documenti relativi all’oggetto del programma, salvo che costituiscano corpo del reato. 3. Non è consentita l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni nei luoghi in cui si svolge il programma di giustizia riparativa, né di conversazioni o comunicazioni dei mediatori che abbiano ad oggetto fatti conosciuti per ragione o nel corso del medesimo programma. 4. I risultati dei sequestri e delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni eseguiti in violazione delle disposizioni di cui al presente articolo non possono essere utilizzati, salvo che costituiscano corpo di reato o, nel caso di intercettazioni, abbiano ad oggetto fatti sui quali i mediatori abbiano deposto o che gli stessi abbiano in altro modo divulgato. 5. Il mediatore non ha obblighi di denuncia in relazione ai reati dei quali abbia avuto notizia per ragione o nel corso del programma di giustizia riparativa, salvo che vi sia il consenso dei partecipanti alla rivelazione, che il mediatore ritenga la rivelazione assolutamente necessaria per evitare la commissione di imminenti o gravi reati ovvero che le dichiarazioni integrino di per sé reato” – curioso, nondimeno, che questa letter of rights, modulata sulle coordinate di cui all’art. 103 c.p.p., in tema di garanzie del difensore, non faccia accenno ad ispezioni ed a perquisizioni (di tal che sembrerebbe, prima facie, che questi mezzi di ricerca della prova siano esperibili liberamente nei riguardi del mediatore). Ad ulteriore conforto il fatto che “le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del programma non possono essere utilizzate nel procedimento penale e nella fase dell’esecuzione della pena” (così l’art. 51 del testo normativo più volte evocato) al mediatore deputandosi in esclusiva di relazionare il giudice sulle attività svolte e sull’esito riparativo conseguito (v. art. 57, comma 1, d.lgs. cit.). Del resto ça va sans dire che riparare non sta per contribuire all’accertamento di un fatto tanto più che riconoscere quanto essenziale onde accreditare l’imputazione non equivale ad ammettere le proprie responsabilità.

Che cosa ci si proponga di ottenere è illustrato dalla lett. e) dell’art. 45 stante cui con, ‘esito riparativo’, facciamo riguardo a “qualunque accordo, risultante dal programma di giustizia riparativa, volto alla riparazione dell’offesa e idoneo a rappresentare l’avvenuto riconoscimento reciproco e la possibilità di ricostruire la relazione tra i partecipanti” (con uno sguardo dinamico al futuro, ergo su quel che potrà essere, e non immobilmente statico volto a recriminare su ciò che è stato). Quegli esiti, poi, potranno mostrarsi o a valenza simbolica giusta un ampio campionario che va dalla presentazione di scuse formali sino ad accordi relativi alla frequentazione di persone o di luoghi (senza obliterare impegni anche pubblici o rivolti alla comunità) o a valenza materiale nel qual caso essi comprenderanno “il risarcimento del danno, le restituzioni, l’adoperarsi per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato o evitare che lo stesso sia portato a conseguenze ulteriori”: così l’art. 56, commi 1 e 2, d. lgs. cit. (qui, nondimeno, è doveroso fare attenzione a non sovrapporre, indebitamente, esiti in toto ‘riparativi’ da esiti, per così dire, ‘riparatori’: i secondi, ispirati da una logica patrimoniale, del tutto “eccentrici” rispetto alla giustizia riparativa, dovrebbero essere banditi dal fondale di quell’ultima – ciò, fra l’altro, esemplifica la ratio per cui il legislatore, a fronte del successo di un percorso riparativo, abbia optato per taluni epiloghi endo-processuali in luogo di altri; ma di ciò a breve). Al di là dell’ufficialità del linguaggio tecnico-giuridico chi meglio ha colto l’essenza della giustizia riparativa è stato Fabrizio De André. In Khorakané (A forza di essere vento) Faber, nel descrivere le peregrinazioni del popolo rom versus l’oppressore nazista, ad un certo punto così recita:

Finché un uomo ti incontra e non si riconosce

Ed ogni terra si accende e si arrende la pace”.

È un tentativo “abortito”, purtroppo … del resto nulla si arresta dinnanzi alla “Topografia del Terrore”. Ma proprio in ciò, specularmente riflettendo, sta racchiuso il clou della giustizia riparativa: il riconoscimento dell’altro, e del dolore che porta con sé, e prima ancora, lo svelamento di se stessi e della propria “finitudine”; una pacificazione lenta sofferta ed ondeggiante che, nondimeno, può defluire, giusta l’anodino linguaggio del diritto, nella promozione del “riconoscimento della vittima del reato” nella “responsabilizzazione della persona indicata come autore dell’offesa” nella “ricostituzione dei legami con la comunità” (v. art. 43, comma 2, d. lgs. 150/2022).

Come accennato en passant, pur se la giustizia riparativa non appare consustanziale rispetto alla giustizia punitiva, gli “intrecci” fra i due modelli sono ineluttabili; tutto sta a vedere come li si voglia regolare, piuttosto. Non per nulla il mediatore, vero “incentro” del percorso de quo, deve notiziare l’autorità giudiziaria procedente degli esiti conclamati dell’attività resa quand’anche si traduca nella “mancata effettuazione del programma”, nell’“interruzione dello stesso”, nel “mancato raggiungimento di un esito riparativo” (così l’art. 57, comma 2). Ciò che muta, invece, attiene agli effetti che quelle risultanze determinano sul giudizio, ipoteticamente, in corso: nell’evenienza di esito negativo – sub specie di mancata effettuazione del programma, di interruzione del medesimo, di mancato conseguimento dell’obiettivo – tamquam non esset giacché esso non incide sulla “sorte” della persona indicata come autore dell’offesa (così dispone l’art. 58, comma 2, d. lgs. 150/2022); diverso il quadro laddove l’esito risulti affermativo. In merito, con opzione alquanto timida, il riformatore distingue a seconda che la fattispecie per cui si sia addivenuti ad un programma riparativo sia procedibile, o meno, a querela di parte soggetta a remissione. A tale riguardo la persona offesa che sia finanche querelante deve essere informata, oltre che su di un nugolo di altre cose, del fatto che “la partecipazione … a un programma di giustizia riparativa, concluso con un esito riparativo e con il rispetto degli eventuali impegni comportamentali assunti da parte dell’imputato, comporta la remissione tacita della querela” [cfr. l’art. 90, comma 1, lett. p-ter), c.p.p.]. Altrimenti detto: raggiungere un accordo con l’offensore, e sottoscriverlo formalmente, manifesta il venir meno della volontà punitiva con ciò “ripudiandosi” la via della giustizia, tradizionale, contenziosa (ecco qui, sottotraccia, un ulteriore quid proprium della giustizia riparativa – non v’è oggetto del contendere); trattandosi di fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela quest’ultima viene a rimettersi tacitamente di riflesso “provocandosi” l’estinzione del reato (così l’attuale comma 3 dell’art. 152 c.p.). A contrario, allorquando la fattispecie di interesse è procedibile ex officio, o se la querela, una volta avanzata, sia irrevocabile (ad esempio per i reati di violenza sessuale, base od aggravata, ex artt. 609-bis e ter c.p., per il reato di atti sessuali con minorenne di cui all’art. 609-quater c.p. o, ancora, per l’ipotesi di atti persecutori – il cosiddetto stalking – aggravati stante l’art. 612-bis, comma 2, del codice penale), si interviene o sulla dosimetria della pena irrogabile in concreto (arg. ex art. 58, comma 1, d. lgs. cit.) oppure in sede di circostanze attenuanti la responsabilità [v. il nuovo art. 62, comma 1, n. 6), c.p. il cui “innesto” garantisce una diminuzione di pena per, fra l’altro, “avere partecipato a un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato, concluso con un esito riparativo. Qualora l’esito riparativo comporti l’assunzione da parte dell’imputato di impegni comportamentali, la circostanza è valutata solo quando gli impegni sono stati rispettati”) o di sospensione condizionale della pena (il modificato comma 4 dell’art. 163 c.p. ora inoltre assume che, a fronte di una pena, in concreto, non superiore, il giudice possa ordinarne la sospensione per un tempo equivalente se il colpevole, “prima che sia stata pronunciata la sentenza di primo grado”, “abbia partecipato a un programma di giustizia riparativa, concluso con un esito riparativo”. Nell’un caso – esito negativo del percorso – viene a “marcarsi” l’autonomia della giustizia riparativa rispetto a quella afflittiva; nell’altro – esito affermativo del percorso – viene ad esaltarsene la natura complementare: del resto il profilo ancipite ne costituisce tratto distintivo.

Stante l’art. 5-novies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, recante “Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di termini di applicazione delle disposizioni del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, e di disposizioni relative a controversie della giustizia sportiva, nonché di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2, di attuazione del Piano nazionale contro una pandemia influenzale e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali”, convertito, con modificazioni, in l. 30 dicembre 2022, è stato interpolato un comma 2-bis nel testo dell’art. 92 d. lgs. 150/2022: ora, quindi, l’insieme normativo di cui sopra si applicherà “nei procedimenti penali e nella fase dell’esecuzione della pena decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto” ovvero a muovere dall’ormai imminente 30 giugno 2023 [sommessamente ricordiamo che il momento strutturale della riforma, id est l’istituzione dei Centri per la giustizia riparativa e della Conferenza locale per la giustizia riparativa, è illico et immediate operativo; fra l’altro, e ciò va decisamente censurato, alle attività di specie “le amministrazioni provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. La partecipazione alle attività della Conferenza locale per la giustizia riparativa non dà diritto a compensi, gettoni, emolumenti, indennità o rimborsi di spese di qualunque natura o comunque denominati” (cfr. art. 63, comma 6, d. lgs. cit.; idem dicasi, in ordine alla Conferenza nazionale per la giustizia riparativa, scorrendo il testo dell’art. 61, comma 6, del medesimo provvedimento).

Al postutto nulla, a nostro modo di vedere, pare meglio rappresentare il core della giustizia riparativa che il meraviglioso dipinto, consegnatoci negli ultimi anni della Sua vita terrena dal Maestro olandese Rembrandt, “Il ritorno del figliol prodigo”. Da un lato la ferita ricomposta con la comunità lesa – il Padre con le mani dissimili (molto probabilmente volte ad indicare la componente maschile e femminile di quella) ed il reprobo inginocchiato, con il capo rasato, in posizione (ed in atteggiamento) neo-fetale; da un altro il figlio fedele, che già nella parabola evangelica, nega la propria consanguineità con il fratello (lo chiama “questo Tuo figlio” nel dialogo col Padre) – i due né si guardano né si toccano né si parlano (una ferita che brucia …). Qui vi è ancora molto da lavorare e da faticare; ma è proprio ciò quello a cui la giustizia riparativa ambisce.