Che il contributo che l’infradiciottenne può fornire per l’accertamento di responsabilità nel processo per adulti si riveli, il più delle volte, determinante, se non addirittura risolutivo, è enunciato a tal punto self-evident da non richiedere ulteriori commenti. E del pari dicasi per l’assunto giusta cui, stante il principio dell’intime conviction giudiziale (cfr. art. 192, comma 1, c.p.p.), la narrazione di specie non soffre di condizionamento veruno dal profilo valutativo: la testimonianza/deposizione dell’under age “pesa”, da un punto di vista generale ed astratto, esattamente come quella rappresentata dal maggiorenne. Il ripudio del tralatizio modello della prova legale (quanto dichiarato dal “chierico” ha maggiore valore di quanto dichiarato dal laico; quanto dichiarato ha maggiore valore di quanto dichiarato dalla donna; e via a seguire esemplificando fino a giungere al rapporto ultra/infradiciottenne), caposaldo, quel ripudio, dell’ordinamento processuale penale vigente, interdice di gradare fra le varie narrazioni fruibili; purché quelle, beninteso, siano state liberamente e validamente assunte. A contraltare, e nondimeno, proprio la riconosciuta personalità fragile del minorenne consiglia di assicurarne il sapere per il filtro di modalità acquisitive che, da un lato, tutelino da influenze esterne e che, dall’altro, garantiscano l’attendibilità/credibilità della “provvista” rimessa alla valutazione del giudice: una volta rispettate quelle procedure ammissivo/assuntive, in diverse parole, la prova così formatasi entrerà a fare parte, come del resto ogni ulteriore strumento dimostrativo, tipico od atipico che sia, purché assunto comme il fâut, del libero convincimento giudiziale; e ciò con dignità rappresentativa pari a quella accreditata a queste ultime (“Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati”, così il già evocato art. 192, comma 1, del codice di rito penale). Al crocevia delle riscontrate esigenze un’incalzante, e non sempre meditata a sufficienza, successione di atti normativi – di efficacia precettiva, laonde per cui – in una con guidelines interdisciplinari (tra i vari firmatari vanno difatti censiti magistrati, avvocati, psicologi, psichiatri, criminologi, medici legali, etc.) da ritenersi quali suggerimenti – privi di efficacia vincolante, quindi – diretti a garantire l’attendibilità dei risultati degli accertamenti tecnici e la genuinità delle dichiarazioni assicurando nel contempo al minore l’esatta protezione psicologica nel rispetto dei principi costituzionali del giusto processo e degli strumenti del diritto internazionale alla ricerca di un difficile, e faticoso, equilibrio. Su tutte

[ma ve sono di innumeri: tanto per esemplificare si mediti a riguardo delle linee guida in materia di abuso su minorenni stilate, nel 2002 e, poi, aggiornate nel 2007, dalla SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza)] viene ad imporsi la cosiddetta ‘Carta di Noto’, dalla località a margine del cui Convegno, dal titolo “Abuso sessuali di minore: ruoli e responsabilità” e colà svoltosi in data 6 – 9 giugno 1996, quelle (oggetto di successive “rivisitazioni” nel 2002, nel 2011 e, da ultimo, nel 2017) giunsero a primo compimento.

Ebbene: che quanto precede non sia un mero esercizio di stile è testimoniato da un recente “arresto” del giudice di legittimità (Cass. pen, sez. III, 43225/2023) in cui, inserendosi in un solco giurisprudenziale, si dice che “il rispetto dei protocolli operativi previsti dalla Carta di Noto nelle ipotesi in cui si debba procedere all’audizione di un minore vittima di abusi non costituisce un vincolo metodologico che debba essere rispettato dal giudice a pena di inutilizzabilità della prova in tale modo acquisita …, posto che tali metodiche si limitano a fornire suggerimenti volti a garantire in realtà non solo l’attendibilità delle dichiarazioni del minore, ma anche, se non soprattutto, a tutelare, attraverso l’utilizzo anche di strumenti tecnici e di competenze, anche specialistiche, la protezione psicologica dello stesso in occasione dell’esperimento della prova onde evitare il verificarsi di fenomeni di vittimizzazione secondaria della persona offesa … lo scarto fra le metodiche effettivamente applicate e quelle suggerite dalla Carta di Noto, laddove le stesse non siano state trasfuse in disposizioni legislative di fonte statuale” – il che, come avremo agio di osservare a breve, non è intervenuto, quantomeno in assoluta compiutezza – “, ha quale effetto –esclusa come detto la illegittimità o la inutilizzabilità della prova in questione – l’insorgenza in capo al giudicante di un dovere di illustrare le ragioni per le quali, secondo il suo libero, ma non arbitrario convincimento, la prova dichiarativa assunta senza l’osservanza di dette metodiche debba ritenersi comunque attendibile, assolvendo ad un onere motivazionale tanto più stringente quanto più grave e patente sia stato, anche alla luce delle eccezioni difensive, lo scostamento dalle menzionate linee guida”. In sintesi: libertà di discostarsi dalle guidelines di specie a patto che l’organo di jus dicere dia conto, nel contesto argomentativo della pronunzia, delle ragioni per cui ha inteso motivarsi in quel verso. Come segnalato trattasi di orientamento conclamato {benché non manchino pronunzie diversamente strutturate. “[I]n un procedimento di abuso sessuale a danno di minore in età prescolare (nel caso di specie trattasi di minore di tre anni, affetto da “mutacismo elettivo”), con particolare riferimento alla genuinità della testimonianza del medesimo, non può essere considerata sufficiente la consulenza della psicologa incaricata dell’analisi delle dichiarazioni del minore, quando tale consulenza non rispetti quelli che notoriamente sono i criteri di audizione dei minori abusati secondo la cd. “Carta di Noto”, ormai generalmente adottata, non essendo stati registrati, volta per volta, gli incontri con il bambino allo scopo di poter verificare le modalità ed il contenuto degli stessi. Il mancato rispetto della tecnica di documentazione rappresenta un vizio metodologico dell’assunzione della prova, che non può essere controllata”: così Cass. pen, sez. IV, 3228/2006} se già nel 2013 (Cass. pen., sez. I, 15930/2013) si assumeva che “non determina nullità o inutilizzabilità l’inosservanza dei criteri dettati dalla cosiddetta “Carta di Noto” nella conduzione dell’esame dei minori persone offese di reati di natura sessuale, e non è neanche, di per sé, ragione di inattendibilità delle dichiarazioni raccolte, pur quando l’esame sia condotto dal consulente o dal perito in sede di consulenza o perizia. I principi posti, in tema di esame testimoniale dei minorenni parti offese nei reati di natura sessuale, dalla cosiddetta “Carta di Noto”, lungi dall’avere valore normativo, si risolvono in meri suggerimenti diretti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologica dello stesso, come illustrato nelle premesse della Carta medesima”. Tanto più osservando che tre anni prima (Cass. pen., sez. III, 9157/2010)  lo stesso organo di nomofilachia registrava come l’eventuale inottemperanza ai dettami di cui alla Carta di Noto non comportasse “la nullità dell’esame, sia perché, in virtù del principio di tassatività delle nullità vigente nel codice di rito, l’inosservanza di tali prescrizioni non è riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall’art. 178 c.p.p. , sia perché ai principi posti dalla “Carta di Noto” non può riconoscersi alcun valore normativo, trattandosi di “suggerimenti diretti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni” del minore e la “protezione psicologica” dello stesso” [e che non si trattasse di “minutaglie” è dimostrato dal fatto che il ricorrente lamentava che la psicologa esperta, la quale aveva “intervistato” la supposta vittima di violenza sessuale, avesse rivolto a quest’ultima domande suggestive – incredibile, a tale proposito, la risposta della “terza istanza”: “il motivo è comunque destituito di fondamento, in quanto già oggetto di specifica e puntuale valutazione da parte della Corte di merito, che ha diffusamente elencato le ragioni che militavano per la genuinità ed attendibilità della minore, al di là del metodo di ascolto, non sempre appropriato e corretto” (le sottolineature sono nostre)]. Scendendo in medias della vicenda che ci interessa la Corte territoriale, assicura il giudice di legittimità, ha puntualmente dato atto della genesi spontanea delle propalazioni accusatorie della minorenne nonché “della loro identità narrativa nelle diverse sedi in cui le stesse sono state riportate, sia della esistenza di taluni fattori, costituiti dalle condizioni di stress emotivo nelle quali la bambina si era trovata una volta data la stura al suo racconto, costituenti un riscontro indiziario della veridicità di quanto da lei riferito”. Proseguendo nella verifica della tenuta dell’apparato motivazionale di cui alla sentenza impugnata è dato evincere “come fosse da escludere che il narrato della persona offesa potesse essere il frutto di una manipolazione calunniatoria ordita dai suoi genitori in danno dell’imputato, posto che di un tale intento non era emerso alcun elemento sintomatico; anzi la Corte ha rimarcato come la madre … la quale ha pur riferito quanto la figlioletta le aveva detto in ordine alle condotte del nonno” (il supposto abusante)“(racconto poi replicato anche al padre della persona offesa da quest’ultima), non ha mostrato in tale occasione nessun intento ritorsivo, né alcun particolare astio verso il ricorrente, né, tantomeno, volontà di carattere economicamente speculativo, come testimoniato dalla circostanza che, allo stato e quanto meno in sede di giudizio penale, non risulta essere stata avanzata alcuna istanza risarcitoria in danno dell’imputato”. Tralasciando ulteriori profili, ai nostri fini di minore rilievo, giusta un versante più propriamente di expertise, la Cassazione certifica come il giudice di seconde cure “abbia tenuto conto, ad ulteriore conferma della genuinità delle accuse della minore, della valutazione specialistica operata dalla dott.ssa … la quale ha evidenziato – come dalla Corte di appello è stato sapientemente messo in luce – la piena coerenza delle risultanze delle prove psicodiagnostiche messa in atto riguardo alla minore con il contenuto del suo racconto. I risultati di tali prove hanno delineato l’esistenza di una serie di elementi comportamentali della [minore] puntualmente elencati dalla Corte partenopea, che la letteratura scientifica di riferimento (come riportato nelle conclusioni del predetto professionista, cui, in sede di motivazione, la citata Corte ha mostrato di aderire pienamente) considera ricorrenti nelle piccole vittime di abuso sessuale”. Motivazione a “tutto tondo” ma che, di certo, non appare funzionale a “sciogliere” quanto resta inespresso fra normazione primaria (l’articolato di interesse del codice di rito penale) ed integrazione di soft law (a specimen la cosiddetta ‘Carta di Noto’).

Giova dunque evidenziare in che cosa quest’ultima venga a tradursi, almeno nei suoi punti, a Nostro modo di vedere, più qualificanti nella versione, più recente, del 2017 (d’ora in innanzi, per convenzione linguistica, Carta di Noto IV). Dopo avere rimarcato la necessità di una elevata professionalizzazione in capo a coloro che interagiscono con l’under age (punti 1 e 5) ivi si esplicita che il minorenne “va sentito in contraddittorio il prima possibile” (punto 2) e che “[è] opportuno che l’attività di assistenza psicologica o psicoterapeutica del minore … avvenga dopo che questi ha reso testimonianza in sede di incidente probatorio” (punto 3) ma soprattutto che “[l]e procedure d’intervista devono adeguarsi allo sviluppo cognitivo ed emotivo del minore … avvalendosi di un esperto ausiliario con funzioni di facilitazione comunicativa” (punto 6). Occorre ridurre il numero delle audizioni assicurando che l’incontro avvenga in orari, tempi, modi e luoghi tali da garantire, per quanto possibile, la serenità del minore evitando ogni contatto con l’accusato; le interviste vanno opportunamente audio-videoregistrate avendo cura che vengano documentate anche le modalità dell’interazione dell’esperto con il minore [tutto il materiale di specie ottenuto finanche “in contesti quotidiani e domestici, relativo all’ascolto di minori da parte di figure adulte significative, deve essere acquisito agli atti al fine di valutare l’eventuale presenza di elementi suggestivi” (punto 21)]; occorre evitare che le domande lascino trapelare le aspettative dell’interrogante: last but not least si deve appurare se il minore ha raccontato in precedenza i presunti fatti ad altre persone e con quali modalità (così il “cardinale” punto 8). “All’esperto non può essere demandato il compito di accertare la veridicità e la validità del racconto o dei racconti resi; i metodi scientifici che sono stati sviluppati non possono essere applicati all’accertamento della verità fattuale della produzione narrativa del minore. La idoneità a testimoniare non implica la veridicità e la credibilità della narrazione” (cfr. punto 15). Il minore può essere sottoposto a test psicologici “di comprovata validità e fedeltà scientifica” venendone, ad esempio, che l’impiego delle bambole anatomiche è altamente sconsigliato (punto 22). Da ultimo, a clausola finale, il punto 23 stante il quale, “[n]ei casi di abusi e/o maltrattamenti collettivi cioè di eventi in cui si presume che una o più persone abbiano abusato e/o maltrattato più minori, occorre acquisire elementi per ricostruire, per quanto possibile, la genesi e le modalità di diffusione delle notizie anche al fine di evidenziare o escludere una eventuale ipotesi di contagio dichiarativo”.

Come di già anticipato i contenuti di questo protocollo di azione non hanno valore normativo: ciononostante la non “giustiziabilità” delle inosservanze di cui alla Carta può essere bilanciato nella misura in cui si ponga mente al fatto che “tale regola” (l’insindacabilità del discostarsi dai punti supra, benché solo in quota-parte, rappresentati: n.d.a.) vale, naturalmente, per quei principi che non trovano una corrispondente ed analoga disciplina nel codice di rito perché invece in quest’ultimo caso la loro violazione troverà automaticamente ivi la sua regolamentazione” (in detto verso Cass. pen., sez. III, 46170/2014) –  è poi la medesima Suprema Corte di legittimità a fornire “precisa esemplificazione riferendosi all’incidente probatorio, quale sede privilegiata di acquisizione delle dichiarazioni del minore: art. 15 della Carta e art. 392 c.p.p., comma 1-bis; oppure all’assistenza affettiva e psicologica assicurata alla persona offesa vittima di abusi sessuali in ogni stato e grado del processo, prevista dall’art. 18 della Carta, ma anche dall’art. 609 decies c.p.p., comma 3; oppure ancora al divieto di compiere accertamenti peritali sulla veridicità e credibilità del testimone, regolamentato, oltre che dagli artt. 4 e 5 della Carta, anche dall’art. 196 c.p.p., comma 2 che limita l’accertamento alla sola idoneità fisica e mentale”. Consequenziale, allora, indicare i formanti normativi precipuamente votati all’ascolto del minore nel processo ordinario per adulti premurando nondimeno di cautelare che qualsivoglia evenienza di novum normativo rincorre, trafelatamente, vieppiù “moduli disciplinari” (per quel che qui ci attiene ‘deontologici’) che leggi non sono (perlomeno alle Nostre latitudini ove la fonte del diritto siffatta deve mostrarsi generale ed astratta nonché approvata dai due rami del Parlamento giacché, quest’ultimo, espressione della sovranità popolare; a livello convenzionale – Convenzione Europea di Salvaguardia dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali – il discorso è ben altro).

“A volo di uccello”, di tal che. 1) Stante una disposizione a carattere generale, quando si procede per alcuni reati sessuali (art. 609-bis e ss. c.p.p.) e para-sessuali (art. 600-bis e ss. c.p.p.), se X, potenziale testimone, abbia reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio oppure “in dibattimento nel contraddittorio con le persone nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate” o qualora si tratti di dichiarazioni i cui verbali sono “trasmigrati” da diverso procedimento ex art. 238 c.p.p., e se X, fra l’altro, sia minore degli anni diciotto, X potrà essere nuovamente escusso solo se l’esame “riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze” (così l’art. 190-bis, comma 2, come da ultimo modificato dall’art. 14, comma 3, l. 19 luglio 2019, n. 69, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”); 2) nella fase delle indagini, se a condurre le indagini è la polizia giudiziaria e se si procede per un nucleo eterogeneo di reati [fra questi, oltre a quelli riassunti sub 1), vanno menzionati, a mero titolo esemplificativo, le fattispecie di cui agli artt. 572 – “Maltrattamenti contro familiari e conviventi” – e 612-bis – “Atti persecutori” c.p.], gli operativi de quibus, laddove debbano assumere sommarie informazioni da persone minori, si avvalgono “dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, nominato dal pubblico ministero”. Ogni persona offesa particolarmente vulnerabile (“contenitore” in cui, a pieno titolo, è sussumibile l’infradiciottenne) non deve avere contatti con la persona sottoposta ad indagini né deve essere chiamata “più volte a rendere sommarie informazioni, salva l’assoluta necessità per le indagini” [cfr. l’art. 351, comma 1-ter, c.p.p., come da ultimo interpolato dall’art. 1, comma 1, lett. f), d. lgs. 15 dicembre 2015., n. 212, recante “Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI”]; idem dicasi laddove a dominus delle indagini venga ad eleggersi il pubblico ministero [cfr. l’art. 362, comma 1-bis, c.p.p., come “inciso”, da ultimo, dall’art. 1, comma 1, lett. g), d. lgs. 212/2015, cit.]; del pari sovviene in tema di investigazioni difensive [art. 391-bis, comma 5-bis, c.p.p., come normato dall’art. 5, comma 1, lett. f), l. 7 dicembre 2000, n. 397, recante “Disposizioni in materia di indagini difensive” – ça va sans dire che l’esperto di cui al “polo difensivo” non viene nominato dal pubblico ministero, beninteso]. Qui, vuoi per un difetto di coordinamento vuoi perché, almeno at face value, sembrerebbe che il lawyer non possa assumere informazioni se non da minorenni, e non anche, in un’ottica più generale, da offesi particolarmente vulnerabili, non si riproduce la clausola stante cui l’“escutendo” non deve avere contatti con la persona sottoposta ad indagini né essere chiamato “più volte a rendere sommarie informazioni, salva l’assoluta necessità per le indagini” – sull’opportunità di garantire al difensore la possibilità di sentire a più riprese l’informato sui fatti – al di là dell’innegabile utile dei vari bis per le investigazioni difensive – sia consentito manifestare perplessità, a tacer d’altro. Ciò che più “destabilizza”, nondimeno, attiene al fatto che, expressis verbis, solo per l’audizione, intervenuta in mancanza dell’esperto, condotta all by himself/herself viene a prevedersi una invalidità dettandosi, al comma 6 dell’art. 391-bis, c.p.p., che “Le dichiarazioni ricevute e le informazioni assunte in violazione di una delle disposizioni di cui ai commi precedenti” (altresì del comma 5-bis, di modo che) “non possono essere utilizzate”), Inverosimile ma tant’è: venendone, di conseguenza, tutto un “sommerso” attorno al significato da riconoscere alla locuzione “si avvale dell’ausilioex artt. 351, comma 1-ter, e 362, comma 1-bis, c.p.p. (il ricorso alla voce verbale all’indicativo sembrerebbe convalidare la doverosità dell’apporto del perito settore ma, “imprimendosi” ‘ausilio’, a contraltare limitandosi ciò ad un ruolo marginale) in ordine alla necessità di quell’apporto nonché in merito a tempi ed a modalità dell’indicato sussidio tecnico. Basta scorrere qualsivoglia repertorio giurisprudenziale per verificare come l’insipienza del “nomoteta” alimenti esegesi restrittive: “l’esame testimoniale del minore, vittima di abusi sessuali, non richiede obbligatoriamente l’assistenza di un esperto di psicologia infantile, non essendo quest’ultima imposta dalla legge, né prevista, per il caso di inosservanza, a pena di inutilizzabilità. La presenza dell’esperto è piuttosto cautela, rimessa alla valutazione del pubblico ministero, ai fini del giudizio di attendibilità e genuinità della deposizione del minore” tanto più notando come “alla individuazione della nomina dell’esperto in psicologia o psichiatria infantile, per consentire una duttilità nell’agire della polizia giudiziaria e dello stesso pubblico ministero, si potrà procedere solo nei casi in cui tale nomina risultasse, a seguito di apprezzamento congiunto della polizia giudiziaria e del pubblico ministero, realmente necessaria, rappresentando un quid pluris in punto di attendibilità” (Cass. pen., Sez. IV, 16981/2013) – e certo non rassicura, come ulteriore giurisprudenza si dispone a suggerire, paventare una sanzione disciplinare per il magistrato, o per l’operativo di polizia giudiziaria, per così dire “auto-sufficienti”. Un approccio a maglie larghe e dai labili confini, al postutto; 3) più dettagliate le notazioni in tema di incidente probatorio, forse per l’indeclinabilità, nei contesti de quibus, della presenza dell’organo di jus dicere. Premesso che è consentito ricorrere a quell’anticipazione probatoria, indipendentemente dal fatto che sussista un’incapacità, naturale o provocata che sia, a ripetere quanto ivi narrato in sede di giudizio, laddove si debba assumere la testimonianza di una persona minorenne – sempre per un “nucleo” significativamente circoscritto di reati (l’elenco di cui all’art. 351, comma 1-ter, c.p.p.: qui, però, a differenza di quel che accade per gli artt. 362 e 391-bis del codice di rito penale, si compie un rinvio statico agli illeciti penali colà declinati e non un rinvio mobile alla disposizione di volta in volta in vigore) e non per la generalità delle fattispecie di rilievo penale – [cfr. art. 392, comma 1-bis, c.p.p., per quanto di Nostro interesse da ultimo sostituito dall’art. 5, comma 1, lett. g), l. 1° ottobre 2012, n. 172, recante “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno”] di peculiare impatto si mostra il contenuto dell’art. 398, comma 5-bis, anch’esso frutto di numerose interpolazioni e stratificazioni normative. Sempre, beninteso, in esclusiva per il “manipolo” dei reati supra caratterizzati è dato assistere ad una robusta de-formalizzazione de-modulazione e de-localizzazione dell’incidente. Per vero, “ove fra le persone interessate all’assunzione della prova” (quindi non solo più laddove se ne debba assumere testimonianza) vi siano minorenni, il giudice per le indagini preliminari, o il giudice per l’udienza preliminare, a seconda del luogo di “attecchimento” dell’incidente, “stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere …”, quando le esigenze della persona ciò rendano necessario od opportuno. “A tal fine l’udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l’abitazione della persona interessata all’assunzione della prova” – con il che viene a legittimarsi un incidente “dinamico”, da rendersi in luoghi meno asettici dell’aula di udienza (una prospettiva friendly, di tal che, la quale dovrebbe stimolare linearità e precisione delle narrazioni richieste). Ad ulteriore tutela dell’under age, che sia teste od interessato all’assunzione della prova non rileva, infine il fatto che le dichiarazioni de quibus debbono essere documentate integralmente con mezzi di riproduzione fotografica o audiovisiva”; 4) da ultimo le norme preposte per il giudizio ordinario dibattimentale in cui, fisiologicamente, viene a formarsi la prova nel contraddittorio delle parti. Ferma restando la possibilità di azionare le opportunità ex art. 398, comma 5-bis, c.p.p. –sembrerebbe senza limite veruno di fattispecie per cui si procede – (art. 498, comma 4-bis, c.p.p., comma aggiunto dall’art. 13, comma 6, l. 3 agosto 1998, n. 269, recante “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”) a fronte dell’accertamento delle responsabilità per i reati più volte elencati si prevede, ad ulteriore salvaguardia, il fatto che l’esame dell’infradiciottenne vittima del reato venga effettuato, “su richiesta sua o del suo difensore, mediante l’uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico” [art. 498, comma 4-ter, c.p.p., giusta le più prossime modifiche di cui all’art. 2, comma 1, lett. i), n. 1), d.l. 14 agosto 2013, n. 93, recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”, convertito, con modificazioni, in l. 15 ottobre 2013, n. 119]  laddove, con disposizione eccessivamente generica, il comma 4-quater rinvia, per l’esame “di una persona offesa che vers[i] in condizione di particolare vulnerabilità” (anche minorenne, laonde per cui), a non meglio precisate modalità protette (dal “cordone sanitario” alla video-conferenza, verrebbe da ipotizzare). A monte cautele, se ci si può permettere, ordinarie: l’esame è condotto dal presidente del collegio giudicante su domande e su contestazioni avanzate dalle parti (con l’avvertenza che queste ultime potranno a loro volta “governarne” la conduzione se il presidente ritiene “che l’esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste”); a tale riguardo ci si può avvalere (qui è lampante che non sussista obbligo veruno) “dell’ausilio di … un esperto in psicologia infantile” (e lo psichiatra?) oltre che (il dibattimento è un luogo estremamente affollato …) di “un familiare del minore” (v. art. 498, comma 4, c.p.p., anch’esso aggiunto dall’art. 13, comma 6, l. 269/1998, cit.).

Il parallelo “mandato ad effetto” fra hard law (le disposizioni del codice di procedura penale) e soft law (i protocolli d’azione impostati dagli operatori del settore, nella fattispecie la cosiddetta ‘Carta di Noto’) offre uno scenario “distonico” quantunque forse complementare: ai primi è rimessa la cornice ai secondi il dettaglio – o. almeno, così sembrerebbe. L’occasione per dire di più, a livello normativo, era propizia stante la capillarità di cui alla legge delega 27 settembre 2021, n. 134, recante, giustappunto, “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”, da cui poi è scaturita la “tirannica” riforma Cartabia (dalle generalità dell’allora facente funzioni di Ministro della Giustizia, professoressa Marta Cartabia) – cfr. d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Ed in effetti l’atto normativo di specie ha agito incidendo su di uno dei punti reclamati dalla Carta di Noto ovverossia sul fatto che le interviste vadano opportunamente audio-videoregistrate avendo cura che vengano documentate finanche le modalità dell’interazione dell’esperto con il minore (nello specifico il punto 8 dell’articolato di Nostro interesse). Nel dettaglio il nuovo comma 3-ter dell’art. 357 c.p.p., votato alla documentazione dell’attività di polizia giudiziaria, prescrive che “Le dichiarazioni della persona minorenne, inferma di mente o in condizione di particolare vulnerabilità,” (qualche escutendo sembrerebbe venirsi a prescindere, ciononostante) “sono documentate integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione audiovisiva o fonografica, salvo che si verifichi una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico e sussistano particolari ragioni di urgenza che non consentano di rinviare l’atto” (il successivo comma 3-quater, a sua volta, assume che “[l]a trascrizione della riproduzione audiovisiva o fonografica … è disposta solo se assolutamente necessaria”); idem dicasi per la documentazione dell’attività del pubblico ministero (cfr. art. 373, comma 2-quater, c.p.p.: qui, nondimeno, e con buona plausibilità a fronte di un infortunio legislativo, il successivo comma 2-quinquies non fa riguardo alle modalità, ed ai limiti, della connessa, eventuale, attività di trascrizione); idem ancora dicasi in ordine alla documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni raccolte dal difensore (v. art. 391-ter, comma 3-ter, c.p.p. – e qui la clausola in merito alla trascrizione del documento audio-video ricompare all’immediatamente successivo comma 3-quater). Per il dibattimento soccorre una disposizione a carattere generale, alquanto deludente, a dire il vero, ovvero l’art. 510 c.p.p. all’interpolato comma 2-bis, stante cui l’esame fra l’altro dei testimoni (nulla osta che, in detto comparto, siano altresì deducibili i minori di anni diciotto) è documentato “anche con mezzi di riproduzione audiovisiva, salva la contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico” – comunque sia il precetto in questione è stato annesso alla disciplina in tema di giudizio abbreviato (v. l’ultimo periodo dell’art. 441, comma 6, c.p.p.) e, mediante l’interpolazione del participio passato ‘documentate’, soggiunto con riguardo all’incidente probatorio (v. art. 401, comma 5, del codice di rito penale).

Il riformatore del 2022 ha quindi deciso di investire, prioritariamente, sul fronte della riproduzione audio-video (altresì, se non soprattutto, in un’ottica di “efficientamento” delle performances giudiziarie: si rifletta, a mero titolo didascalico, sull’art. 495, comma 4-ter, c.p.p., in tema di mutamento del giudice – monocratico o collegiale – e ri-esame delle persone che abbiano reso previe dichiarazioni innanzi al giudice sostituito. Ebbene: ciò interviene “salvo che il precedente esame sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva”); nondimeno l’esito conclamato è frutto evidente di una politica al “ribasso”. Ora è ben vero che il punto 8 della Carta di Noto IV ammoniva sulla necessità di audio-videoregistrazione di ogni “intervista” “avendo cura che vengano documentate anche le modalità dell’interazione dell’esperto con il minore (comunicazione non verbale, feedback, ecc.)” ma nulla di tutto ciò sembra essere stato fatto oggetto di attenzione legislativa (gli artt. 357, comma 3-ter, 373, comma 2-quater, e 391-ter, comma 3-ter, c.p.p. difatti si limitano a segnalare l’indisponibilità dei verbali delle attività espletate da polizia giudiziaria o dal pubblico ministero – o degli equivalenti funzionali rimessi alle cure del difensore – a forme documentative diverse dalla riproduzione audio-video dei contenuti de quibus). Né, d’altro canto, si fa cenno alle modalità giusta cui procedere a tale riguardo (incombenza, forse, da assegnarsi alla normazione secondaria); a tacere, poi, del fatto che nulla si dice su se come e quando il collegio giudicante (ipoteticamente altresì in una alle parti interessate) possa rivedere il video (è ben noto che la video-ripresa non è nient’altro che “simulacro” mimetico dell’osservazione in presa diretta del formarsi della prova) e che né, tampoco, ci si soffermi sull’utilizzo processuale di quelle risultanze – e, in ordine a quest’ultimo profilo, con buona pace del punto 21 della Carta di Noto IV ove, con limpidezza, si afferma che “[t]utto il materiale audio-videoregistrato, anche in contesti quotidiani e domestici, relativo all’ascolto di minori da parte di figure adulte significative, deve essere acquisito agli atti al fine di valutare l’eventuale presenza di elementi suggestivi”. Inoltre appare disturbante verificare come la “garanzia” della riproduzione audio visiva, elevata a salvaguardia della trasparenza dell’atto e dell’attendibilità di una prova che potrebbe risultare decisiva ai fini della risoluzione del binomio innocenza/colpevolezza, possa mostrarsi recessiva rispetto all’incapacità del sistema di fornire le amministrazioni interessate della dotazione  necessaria onde provvedere in quel verso (il supporto audio-video è “disattivato”, infatti, a fronte della contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico” e della sussistenza di “particolari ragioni di urgenza che non consentano di rinviare l’atto” ad un momento successivo). Limiti ‘interni’ sottesi all’opzione normativa ma ve ne sono finanche di ‘esterni’ alla luce del fatto che il riformatore, nonostante le “provocazioni” di cui alla Carta di Noto IV, ha deciso di … attendere [tanto per esemplificare: la formazione degli esperti (punto 1) e la loro differenziazione dai colleghi del sostegno e del trattamento (punto 4); l’indispensabilità della perizia, in ordine a soggetti infradodicenni, “al fine di verificarne la idoneità a testimoniare sui fatti oggetto d’indagine” (punto 10); le capacità, generiche e specifiche, del minore del quale è dato vagliare l’idoneità a rendere testimonianza (punto 13); l’attenzione particolare a talune situazioni specifiche che potrebbero influire sulle dichiarazioni degli under ages come esemplificate al punto 20 … e ben altro si potrebbe ancora soggiungere)].

È una costante che si ripete implacabile: ricorrendo ad un consolidato paradosso Achille (nella specie, il dettato normativo) non raggiunge mai la tartaruga (nella specie, o gli indirizzi giurisprudenziali o le indicazioni di cui alla soft law) mentre invece il Nostro “piè veloce”, se non oltrepassare, dovrebbe quantomeno affiancare il carapace. Trattasi di discorso ben più ampio, che condurrebbe fuori tema, e che approda alla crisi esistenziale di ruolo del Parlamento sovrano; basti riflettere sul fatto che, nel corso dell’attuale legislatura (la XIX), delle circa 50 leggi mandate ad effetto ben i due terzi (33, fatti salvi errori od omissioni) riconducono a conversioni di decreti-legge dal che il palese depotenziamento delle Assemblee legislative. Trattasi di un chiaro segnale, parrebbe irreversibile, di una linea tendenziale tanto più osservando come la bozza di riforma costituzionale recentemente illustrata in Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni (ciò che, con terribile scempio lessicale, è già venuto a qualificarsi come Italierato) “stabilizzi” i poteri dell’Esecutivo, recte, quelli del Premier, a discapito di quanto mantenuto per Camera e per Senato. Rebus sic stantibus è poi facile, e prima ancora sconsiderato, dolersi per la giurisprudenza creativa di cui all’organo di legittimità (che, beninteso, nelle evenienze che ci occupano di ascolto del minorenne è tutt’affatto che rarefatta) se, a monte, sta un legislatore neghittoso che abdica dall’essere fondamentale baluardo per la tenuta delle istituzioni democratiche.