PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
Oggetto di frettolosi sketches nel corso delle lezioni Universitarie ed illustrato ad appendice della Manualistica di settore il procedimento de quo è stato onorato (ed onerato) di uno dei più vigorosi restyling di cui al disegno riformistico. Prima di scendere in medias res, nondimeno, è indispensabile una premessa di carattere sistematico: a mente dell’art. 33-ter c.p.p., letto in combinato con l’art. 33-bis medesimo codice di rito, sono attribuiti al tribunale in composizione monocratica, salvo diverse disposizioni di legge, i reati (sic!) puniti con la reclusione non superiore nel massimo a dieci anni, anche nell’ipotesi del tentativo; in ordine a questi, allorquando si tratti di contravvenzioni o di delitti puniti con la reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, “il pubblico ministero esercita l’azione penale con la citazione diretta a giudizio” (così l’art. 550, comma 1, primo periodo, c.p.p.); laddove la soglia edittale sia invece ricompresa fra quattro e dieci anni di reclusione nel massimo ci si “instraderà”, eventualmente, a giudizio tramite il filtro, usuale, dell’udienza preliminare. Ebbene: il d.lgs. 150/2022 entra a “gamba tesa” sullo spartito della citazione diretta modificandone au fond i tratti disciplinari. In primo luogo, con ciò rispondendo ai criteri fissati dalla legge delega 27 settembre 2021, n. 134, votata, giustappunto, alla “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”, viene ad ampliarsi lo spettro operativo di ricorso a quella “metodica”. A tale proposito la delega faceva riguardo a due criteri, l’uno formale e l’altro sostanziale: giusta il primo veniva rimessa alla citazione diretta la trattazione dei delitti puniti con la pena della reclusione non superiore a sei anni a patto che, ed ecco il secondo parametro, quelli non si caratterizzassero per rilevanti difficoltà di accertamento con ciò irrigidendo il tradizionale cuneo di cui all’udienza preliminare, a torto o a ragione ritenuta in inarrestabile sofferenza (ma su ciò v. infra). Rebus sic stantibus il legislatore delegato, pur tuttavia, non ha optato per estendere, indiscriminatamente, il ricorso alla citazione diretta per i delitti la cui soglia edittale sanzionatoria rientrasse fra quegli estremi sottoscrivendo, piuttosto, una elencazione puntuta di fattispecie (arg. ex art. 550, comma 2, c.p.p.) per le quali vale ciò che viene dettato al primo comma (ovvero l’esercizio dell’azione penale per mezzo della citazione diretta). E ciò, si legge nella Relazione accompagnatrice al decreto legislativo, giacché trattasi di ipotesi di reato che non richiedono indagini complesse vuoi avendo riguardo alle loro modalità di realizzazione (in luogo pubblico, al cospetto di un numero significativo di astanti, “assistiti” da violenza o da minaccia, e via seguitando) oppure perché si tratta di delitti procedibili a querela di parte rispetto ai quali la persona offesa dà impulso all’accertamento giudiziale con produzioni documentali ed apporti probatori dalla portata prima facie dirimente. Attenzione, laonde per cui: la regola rimane quella di cui alla versione originaria dell’art. 550 c.p.p. ovvero l’applicazione della citazione diretta per evenienze il cui quantum sanzionatorio in astratto non oltrepassi i quattro anni di reclusione nel massimo, momento base a cui si aggiungono nominatim gli ulteriori illeciti penali di cui al secondo comma dell’articolo da ultimo evocato. E questa scelta normativa non è indifferente da ciò potendo veicolarsi ‘effetti domino’ in altri contesti: si pensi, tanto per esemplificare, alle “porte di accesso” alla sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato ex art. 168-bis del codice penale condizionata, per inciso, al verificarsi di uno fra i delitti indicati dal comma 2 dell’art. 550 c.p.p. Venendone che, stante il rinvio operato, l’estensione dei reati procedibili a citazione diretta garantita in sede di riforma ha ampliato finanche il novero dei reati per cui può essere proposta istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova.
Il novum più dirompente, pur tuttavia, va segnalato con riguardo alla, di neo conio, udienza di comparizione predibattimentale a seguito di citazione diretta (per la cui capillarissima disciplina v. gli artt. 554-bis, 554-ter, 554-quater e 554-quinquies c.p.p.), modulata, nei suoi tratti identitari, sulla falsariga dell’udienza preliminare (e ciò in apparente controtendenza con quella linea riformistica che mostra di accedere al de profundis intonato per quel filtro as we know it). Anche qui, dunque, un interstizio spazio-temporale fra indagini e giudizio le cui funzioni principali possono, per sommi capi, nondimeno così compendiarsi: a) funzione preparatoria. In quello scenario dovranno concentrarsi tutte le incombenze preliminari al dibattimento: di tal che ivi il giudice procede agli accertamenti relativi alla costituzione delle parti; effettua le rinnovazioni delle citazioni, degli avvisi, delle comunicazioni e delle notificazioni di cui dichiara la nullità; emette eventuali ordinanze di rinvio; applica, se del caso, quanto dettato in tema di procedimento in absentia ex art. 420-bis ss. c.p.p.; inoltre, nel contesto delle attività prodromiche da svolgersi prima del giudizio, subito dopo compiuto, per la prima volta, l’accertamento della costituzione delle parti, devono essere proposte, a pena di decadenza, le questioni preliminari di cui all’art. 491 c.p.p., questioni, fra l’altro, non riproponibili in dibattimento (art. 554-bis, commi 2 e 3, c.p.p.); b) funzione precisante l’oggetto del giudizio. Nell’evenienza di ambigua o generica enunciazione del capo di accusa nel decreto di citazione il giudice, anche ex officio, sentite le parti, invita il pubblico ministero a riformularne il contenuto; idem dicasi per il mancato rispetto del principio di correlazione fra accusa e sentenza (cfr. l’art. 521 c.p.p.) nel qual caso il giudice, se il fatto, la sua definizione giuridica o le altre circostanze rilevanti ai fini della decisione siano state indicate in difformità dalle risultanze di cui agli atti, si dispone come sopra – l’inottemperanza ai così edulcoratamente qualificati “inviti” determina la nullità dell’imputazione e la consequenziale restituzione degli atti al pubblico ministero (artt. 554-bis, commi 5, 6 e 7 c.p.p.). Palese la ratio della modifica normativa: non sovraccaricare il futuro, eventuale, giudizio di quaestiones che, oltre a sancirne l’inutilità, determinerebbero la regressione del processo ad una fase antecedente; c) funzione deflativa. L’udienza predibattimentale configura la sede per eccellenza onde innestare i reati alternativi oltre che per procedere a verificare gli intendimenti delle parti con riguardo ad una ipotetica remissione della querela e ad un successivo ciò accettare (cfr. rispettivamente, gli artt. 554-ter, comma 2, e 554-bis, comma 4, c.p.p.); d) funzione filtro. Trattasi, a bene vedere, del principale tratto distintivo di cui alla nuova udienza ovvero concentrare in un momento anteriore alla successiva udienza dibattimentale l’eventuale definizione del processo addivenendo ad una pronunzia di non luogo a procedere stante le canoniche formule di cui all’art. 425, comma 1, c.p.p. nonché finanche avvalendosi della innovativa regola, di condotta per il pubblico ministero e di giudizio per l’organo di jus dicere, di cui alla ragionevole previsione di condanna (cfr. art. 554-ter, comma 1, c.p.p.). Solo nella misura in cui le dette verifiche preliminari e/o alternative non determinino la constatazione della disutilità del successivo giudizio verrà a fissarsi, in un termine non inferiore a venti giorni a muovere dalla data del provvedimento con cui il giudice pre-dibattimentale così si motiva, la successiva udienza dibattimentale, ça va sans dire innanzi ad un giudice persona fisica “altro” rispetto all’organo individuato ex art. 554-bis ss. c.p.p. (onde evitare profili di incompatibilità e, così fosse, prevedibili quaestiones de legitimitate ex art. 34 c.p.p.) – il termine or ora significato si giustifica una volta considerato l’obiettivo di assicurare il pieno esplicarsi delle potestà difensive. Disciplina nella sua interezza “contorta” sui cui frutti sperati non resta che attendere la prova dei fatti (certo che il cronico deficit di organico patologicamente riscontrabile in più di un ufficio giudiziario può scoraggiare … ma honi soit qui mal y pense!).
Da ultimo va rimarcata la possibilità, ex art. 558-bis c.p.p., di accedere al giudizio immediato, eventualità alla quale, nel testo pre-riforma, non si faceva cenno esplicito. Al di là della facile “cinghia di trasmissione” di cui all’art. 549 c.p.p. IMPUGNAZIONI ‘Alleggerire’ e ‘contrarre’ o, con neologismo orrendo, ‘efficientare’. Il “grido di battaglia” della riforma, già impresso nella Rubrica normativa di cui al d. lgs. 150/2022 – “celere definizione dei procedimenti giudiziari”; “efficienza del processo penale” -, trova una delle sue più limpide espressioni (e delle più stordenti impressioni) nel comparto delle impugnazioni, primum avendo riguardo al giudizio di seconde cure forse, se non soprattutto, giusta l’indifferenza del testo costituzionale in ordine alla disciplina dell’appello. Innumeri i riscontri a livello di nuovo ordito normativo: senza pretesa veruna di esaustività ecco alcuni indici a conferma dell’assunto. I) Il rinvio, per altri versi apprezzabile (ma di derivato ingolfamento per quella giurisdizione), “quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili”, ad opera del giudice di appello e della Corte di cassazione, “per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile” (art. 573, comma 1-bis, c.p.p.; v. anche l’interpolato art. 578 c.p.p. ad oggetto la decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione e nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizi di impugnazione); II) il proliferare ingovernato di cause di inammissibilità. Nello specifico il comma 1-bis dell’art. 581 c.p.p. assume che l’appello si qualifica tale “per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione” (curiosa la sedes materiae dacché, pur trattandosi, l’art. 581 c.p.p., di norma a carattere generale, omnicomprensiva di qualsivoglia impugnazione ordinaria, quanto procede è circoscritto all’appello). L’art. 581 c.p.p. era già stato fatto oggetto di modifica stante la l. 23 giugno 2017, n. 103, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario” (cosiddetta legge Orlando, dalle generalità dell’allora facente funzioni di Ministro guardasigilli); e ciò per dare attuazione al principio di diritto di cui alle Sezioni Unite Galtelli (Cass. pen. S.U. n. 8825/2017) le quali, in quel contesto, enunciavano che “L’appello (al pari del ricorso per cassazione) è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata” (step non dichiarato verso un appello a forma vincolata e non più a forma libera come, sinora, rappresentatosi?). Con buona plausibilità insoddisfatto della come allora strutturata traduzione del diritto vivente in diritto vigente il riformatore, quid unicum, in una sorta di interpretazione autentica dello jus praetorium, ha riformulato il testo di legge de quo nondimeno autocensurandosi in esclusiva “eleggendo” a referente il giudizio di secondo grado. Sempre nell’ottica di rendere maggiormente difficoltoso l’accesso alle impugnazioni (vedremo che cosa avrà da dire, eventualmente, la Corte dei diritti umani al proposito …), questa volta con riguardo ad ogni tipologia di impugnazione ordinaria, si prevede che, con l’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori, “è depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”; inoltre, nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, “con l’atto di impugnazione del difensore è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio” (così i commi 1-ter e 1-quater dell’art. ult. cit.). Oneri che costituiscono il precipitato di uno Stato burocrate, tanto più vigilante “occhiuto” se essi sono presidiati da una sanzione forte come l’inammissibilità; III) elevare a forma ordinaria di presentazione della impugnazione il deposito telematico ex art. 111-bis c.p.p. (v. l’innovato art. 582, comma 1, c.p.p.) – detto per inciso non tutti dispongono di strumenti adeguati al riguardo né, laddove da ciò siano nondimeno “gratificati”, sono in condizione di dominarne compiutamente operatività ed efficienza. Ora, poi, non è più fattibile presentare, ad opera delle parti private e dei loro difensori, l’impugnazione nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui quelle (e quelli) si trovano se diverso dal luogo in cui fu emesso il provvedimento impugnando legittimandosi, ad alternativa del deposito telematico di cui supra solo (l’enfatizzazione è nostra) la presentazione dell’atto nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (art. 582, comma 1-bis, c.p.p.). Di riflesso, nell’evidenziata linea di modernizzazione, viene ad abrogarsi l’art. 583 c.p.p. stante cui era consentito proporre impugnazione o con telegramma o con atto da trasmettersi con raccomandata; IV) con puntuale riguardo al secondo grado “[s]ono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna con le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda o la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, nonché le sentenza di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa” (art. 593, comma 3, c.p.p.) – ennesima “limatura” dell’accesso a tale grado di giudizio; V) last but not least il fatto che venga prescelta a forma ordinaria di trattazione, sia dell’appello che del ricorso in cassazione, l’udienza in camera di consiglio non partecipata (cfr., rispettivamente, artt. 598-bis, di nuova introduzione, e 611, totalmente riscritto, del codice di rito penale) – neppure fissandosi l’evenienza della partecipazione a distanza come, nel rispetto di determinate condizioni, era garantito dalla legislazione pandemica. Gli appellanti e, in ogni caso, l’imputato e/o il suo difensore possono chiedere di partecipare all’udienza (in tal senso il comma 2, primo periodo, dell’art. 598-bis c.p.p.) mentre, innanzi all’organo di legittimità, il procuratore generale e i difensori possono chiedere la trattazione in pubblica udienza. Clamoroso “sovvertimento” se vale il principio di oralità/contradditorio o, quantomeno, il modulo ordinario di procedimento in camera di consiglio come disciplinato dall’art. 127 c.p.p. (lì, fra l’altro, viene a legittimarsi il collegamento da remoto) – si dovrebbe operare specularmente, di tal che: udienza partecipata, quindi, meno che non ci si disponga altrimenti. Chissà se, anche qui, la Corte alsaziana avrà di che ridire … Va d’altra parte salutata con favore, quantunque mandata ad effetto con inqualificabile ritardo, l’individuazione di un rimedio per l’esecuzione delle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Qui la Consulta, dopo una falsa partenza determinata dalla cattiva scelta del parametro di costituzionalità interposto (in temporibus erano stati addotti a referenti di specie gli artt. 3, 10 e 27 del dettato fondamentale: per la declaratoria di infondatezza, stando così le cose, v. Corte cost., sent. 16 – 30 aprile 2008, n. 129), aveva dichiarato, ormai quasi dodici anni or sono, “l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo”, ritenendo al proposito violato l’art. 117 della Grundnorm (Corte cost., sent. 4 -7 aprile 2011, n. 113). La neghittosità del legislatore ha affannato sia i pratici che i teorici del diritto a valorizzare soluzioni equilibratrici: i primi, a tacer d’altro, finanche ad esito di affaires celebri, hanno ragionato o in termini di ineseguibilità della sentenza di condanna ex art. 670 c.p.p. o facendo leva sul ricorso straordinario per errore materiale o di fatto come governato dall’art. 625-bis c.p.p.; i secondi, ad estremo e tanto per esemplificare, hanno bollato come tamquam non esset il giudicato irrispettoso della pronunzia di cui alla Corte EDU. Il d. lgs. 150/2022 finalmente provvede disponendo un rimedio ad hoc [non si tratta, quindi, della, in allora ipotizzata, revisione europea – finanche la sistematica dell’innesto ne è conferma (autonomo titolo III-bis del libro nono del codice mentre, alla revisione, è dedicato il titolo IV -)], da azionarsi dal condannato o dalla persona sottoposta a misura di sicurezza innanzi alla Corte di cassazione, a pena di inammissibilità, entro novanta giorni “dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione della Corte europea che ha accertato la violazione o dalla data in cui è stata emessa la decisione che ha disposto la cancellazione del ricorso dal ruolo” (così i commi 2, primo periodo, e 3 art. 628-bis c.p.p.). Ampio il ventaglio di opportunità rimesse alla suprema Corte: la Cassazione, difatti, può “revocare la sentenza o il decreto penale di condanna”, “disporre la riapertura del procedimento”, “adottare i provvedimenti necessari per eliminare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo” (art. 628-bis, comma 1, c.p.p.). Un momento di criticità, a livello interpretativo, verrà probabilmente a determinarsi a fronte dell’enunciato di cui al comma 5, primo periodo, stante cui “ … la Corte di cassazione accoglie la richiesta quando la violazione accertata dalla Corte europea, per natura e gravità, ha avuto una incidenza effettiva sulla sentenza o sul decreto penale di condanna pronunciati nei confronti del richiedente”: atteso che la Corte EDU è giudice del fatto e che colà sono “bannate” actiones populares la vaghezza dell’inciso ‘incidenza effettiva’ genera più di una remora. Al postutto l’ennesimo articolo bis va lodato: al di là di quel che sarà, infatti, in chiave retrospettiva dovrebbe porre un freno all’incertezza, nonché all’effervescenza, di soluzioni evidenziatesi pre-riforma; in chiave prospettica trattasi di uno strumento che assottiglia vieppiù le distanze fra il diritto interno ed il diritto convenzionale e non a discapito dell’individuo. Perlomeno così ci si augura …