di Simone Ferrari
Con l’approvazione del D. Lgs. n. 11/2018 è stata completata la riforma del giudizio di appello sul quale era già intervenuta la L. n. 103/2017.
Quest’ultima ha regolato i profili legati ai poteri di cognizione e di decisione, nonché le questioni collegate alla proposizione dell’impugnazione e al successivo ricorso in cassazione delle sentenze emesse in secondo grado; il D. Lgs. n. 11/2018 si occupa, specificatamente, del tema della legittimazione soggettiva ed oggettiva.
Fermo restando quanto previsto in punto di appello delle sentenze emesse all’esito del rito abbreviato, dell’applicazione della pena su richiesta, della sentenza predibattimentale, nonché in tema d’impugnazione delle sentenze relativamente alle misure di sicurezza, si prevede che l’imputato possa appellare tutte le sentenze di condanna, mentre l’appello del PM è limitato ai casi in cui queste decisioni abbiano modificato il titolo del reato, escluso una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabilito una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato (art. 593, comma 1, c.p.p.). Pertanto, con riferimento alla “quantità” della pena, il PM potrà soltanto ricorrere in cassazione.
Il PM potrà, invece, appellare tutte le sentenze di proscioglimento, mentre l’imputato, salvo che si tratti di decisioni di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché non l’ha commesso, potrà appellare le altre sentenze di proscioglimento emesse al termine del dibattimento (art. 593, comma 2, c.p.p.).
Con riferimento all’imputato, considerato il tema dell’interesse ad impugnare, legato al possibile pregiudizio della decisione, residua la questione degli effetti in sede civile della sentenza di assoluzione pronunciata ai sensi dell’art. 530 cpv.
Si è, poi, previsto che il PM possa proporre ricorso per cassazione con effetti favorevoli all’imputato.
L’esclusione dell’appellabilità della sentenza di condanna alla sola ammenda è stata estesa “in ogni caso” (dunque anche per la sentenza emessa a seguito di abbreviato) alla sentenza di proscioglimento relativa alle contravvenzioni punite con una pena dell’ammenda o con una pena alternativa (art. 593, comma 3, c.p.p.).
Per quanto attiene alla legittimazione soggettiva ad appellare, il legislatore per un verso introduce un nuovo art. 593 bis c.p.p., per un altro interpola la previsione all’interno del comma 1 dell’art. 570 c.p.p.
Così, con riferimento all’appello, si precisa che, nei casi consentiti, la legittimazione ad appellare contro le sentenze del GIP, della Corte d’assise e del Tribunale spetta al Procuratore della Repubblica e che il Procuratore Generale presso la Corte d’appello può proporre appello soltanto nei casi di avocazione o nel caso in cui il Procuratore abbia prestato acquiescenza al provvedimento.
Dovrà conseguentemente ritenersi che la previsione troverà operatività anche nel caso del ricorso per saltum (art. 569 c.p.p.) e che, nel caso di decisione inappellabile, la legittimazione spetterà solo al Procuratore Generale, unico legittimato al ricorso per cassazione nei confronti delle sentenze pronunciate in grado di appello.
Sempre al tema della legittimazione soggettiva va ricondotta la disciplina dell’appello incidentale. In attuazione della delega, si prevede che l’appello incidentale sia proponibile soltanto dall’imputato entro quindici giorni da quello in cui ha avuto notizia dell’appello principale del PM ai sensi dell’art. 584 c.p.p. Viene così esclusa la possibilità per il PM di presentare l’appello incidentale. Naturalmente, la rinuncia dell’imputato all’appello incidentale non farà venir meno l’appello principale del PM, con conseguente inoperatività del divieto della reformatio in peius, veicolando, quindi, i due gravami verso il rimedio del concordato, se ne ricorrono le condizioni (artt. 599 bis e 602 c.p.p.).
Prendendo spunto dal comma 84, lett. f), della legge delega, il testo normativo interviene anche in materia di impugnazioni delle sentenze del giudice di pace.
Segnatamente, è pacifico che il PM possa appellare le sentenze di condanna solo quando sia applicata una pena di specie diversa da quella pecuniaria (art. 36 D. Lgs. n. 274/2000).
Resta ferma l’inappellabilità da parte del PM della sentenza di proscioglimento (art. 36 d.lgs. n. 274/2000).
In caso di sentenza pronunciata in grado d’appello dal Tribunale in composizione monocratica, il ricorso sarà proponibile solo per violazione di legge (art. 39 bis D. Lgs. n. 274/ 2000).
Come premesso, una parte della riforma è contenuta nella L. n. 103/2017. Un primo profilo riguarda le implicazioni della riforma degli artt. 546 e 581 c.p.p.
Con la prima previsione, si è disciplinata la struttura della sentenza, in modo da fornire una lettura articolata e completa delle questioni affrontate nel giudizio. Così, oltre agli elementi tradizionali, la decisione si struttura attraverso l’esposizione dei motivi di fatto e di diritto posti a supporto della decisione, con l’indicazione dei risultati raggiunti, dei criteri adottati nella valutazione delle prove, delle ragioni per le quali non sono state ritenute attendibili le prove contrarie.
Ma la vera novità è data dalla configurazione dei punti della decisione. Questi ultimi riguardano l’accertamento dei fatti e delle circostanze di cui all’imputazione e la loro qualificazione giuridica, la punibilità e la quantificazione della pena; la responsabilità civile, l’accertamento dei fatti dai quali dipende l’applicazione delle norme processuali. Si tratta delle stesse questioni sulle quali ai sensi dell’art. 527 c.p.p. si articola la deliberazione collegiale.
A questo elemento si raccorda, così da effettuarne una funzionale saldatura, la nuova disciplina della forma che deve assumere l’impugnazione (art. 581 c.p.p.).
Anche in questo caso, a parte i tradizionali elementi, devono essere specificamente indicati – pena l’inammissibilità dell’atto – i capi e i punti oggetto del gravame, le prove di cui si sostiene l’inesistenza, l’omessa assunzione, l’omessa o l’erronea valutazione, le richieste anche istruttorie, i motivi, con le argomentazioni in fatto e in diritto a supporto di ogni richiesta.
In termini generali, la semplificazione della procedura impugnatoria è perseguita, da un lato, stabilendo direttamente all’art. 581 c.p.p. la previsione, finora contenuta all’art. 591 c.p.p., dell’inammissibilità dell’atto (trasformando, così, l’inammissibilità per mancanza di motivi, in un’inammissibilità per carenza di specificità dei motivi medesimi), dall’altro lato, indicando che la specificità investe tutti i requisiti dell’atto d’impugnazione. Non solo, quindi, le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ciascuna richiesta, ma anche l’individuazione dei capi e dei punti di sentenza, posto che è onere dell’impugnante delimitare con esattezza i confini dell’oggetto del gravame, come pure le richieste, anche istruttorie.
Dovranno essere enunciate (specificamente) pure “le prove delle quali si deduce l’inesistenza, l’omessa assunzione o l’omessa o erronea valutazione” (lett. b), mentre l’elenco delle richieste dovrà includere (sempre specificamente) anche quelle “istruttorie” (lett. c), che costituiranno un vincolo anche per il PM ai sensi dell’art. 603, comma 3 bis, c.p.p.
Un secondo profilo toccato dalla L. n. 103/2017 ha riguardato la reintroduzione del concordato in appello con rinuncia ai (residuali) motivi.
In primo luogo, la Corte d’appello provvede in camera di consiglio qualora le parti, anche in conseguenza di una rinuncia, ne facciano richiesta, dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Qualora i motivi di cui si chiede l’accoglimento siano suscettibili di determinare una nuova pena, il PM, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena convenuta.
Nell’eventualità in cui il giudice ritenga di non accogliere le richieste delle parti, ordina la citazione a comparire a dibattimento e si avvia la fase pubblica, posto che la richiesta e la rinuncia perdono efficacia, ma non è preclusa la loro riproposizione e, dovrebbe ritenersi, anche una nuova proposta di pena concordata.
Si è previsto che il concordato non opera per i reati di cui all’art. 51, comma 3 bis e 3 quater c.p.p., nonché per i procedimenti di cui agli artt. 600 bis, 600 ter, primo, secondo, terzo e quarto comma, 600 quater, secondo comma, 600 quater 1, relativamente alla condotta di produzione e commercio di materiale pornografico, 600 quinquies, 609 bis, 609 ter, 609 quater e 609 octies c.p., nonché per i procedimenti nei confronti di coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, per professione o per tendenza (art. 599 bis, comma 2, c.p.p.).
In secondo luogo, si è stabilito che, ferma l’autonomia del singolo magistrato (art. 53, comma 1, c.p.p.), il Procuratore Generale presso la Corte d’appello, sentiti i magistrati del suo Ufficio e i Procuratori della Repubblica del Distretto, indichi i criteri ai quali i PM debbano orientarsi nella loro valutazione, tenuto conto della tipologia dei reati e della complessità dei procedimenti (art. 599 bis, comma 4, c.p.p.).
L’ulteriore profilo sul quale è intervenuta la L. n. 103/2017 è stato quello relativo alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale: attraverso l’inserimento del comma 3 bis nell’art. 603 c.p.p., si è previsto che “nel caso di appello del PM contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale”.
Dovrebbe, invece, escludersi che la stessa regola operi nel caso in cui sia richiesto il proscioglimento a fronte di una sentenza di condanna: a differenza dell’altra ipotesi, governata dalla regola del “dubbio ragionevole”, in questo caso opera la presunzione di innocenza.
Infine, la L. n. 103/2017, nel più ampio contesto della ridefinizione dei motivi del ricorso per cassazione, prevede che nel caso della conferma della sentenza di proscioglimento (c.d. doppia conforme) il PM possa proporre ricorso solo per violazione di legge
[art. 606, lett. a) b) c) e d) c.p.p.]. La previsione è confermata anche da quanto previsto dall’art. 428 c.p.p. Analoghe previsioni operano anche per i ricorsi nei confronti delle sentenze emesse in appello dal Tribunale nei confronti delle sentenze del giudice di pace.