di Simone Ferrari
Il Difensore di L. proponeva ricorso per Cassazione contro la sentenza con la quale la Corte di Appello di Milano, in riforma parziale della sentenza di primo grado, aveva qualificato la complessiva condotta dell’imputata come violazione dell’art. 571 c.p. (abuso dei mezzi di correzione o di disciplina) e conseguentemente aveva quantificato la pena in quattro mesi di reclusione.
Ai sensi dell’art. 571 c.p., chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi. Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583 c.p., ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni.
La Corte di Cassazione (Cass. pen., Sez. VI, n. 20236/2018) annullava senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
La stessa Corte d’Appello aveva infatti affermato di prestare fede alla versione dell’imputata, secondo la quale la minore era stata trattenuta non per costringerla a tollerare le violenze degli altri bambini ma per sottrarla all’aggressione dei compagni di scuola, e alle dichiarazioni della piccola G. che aveva negato di essere stata percossa dall’imputata o aggredita dagli altri bambini; del pari, la Corte aveva dato atto che le altre insegnanti avevano negato di aver visto comportamenti anomali da parte dell’imputata.
Da queste indicazioni di fatto il Giudice d’Appello aveva tratto la conclusione dell’incapacità dell’imputata a gestire situazioni di conflitto all’interno della classe e della violazione della funzione educativa nel fatto che la piccola G. era stata afferrata per un braccio al fine, evidentemente, di sottrarla alle aggressioni degli altri bambini.
Se così stanno le cose, non risulta però in alcun modo realizzato l’elemento materiale del reato di cui all’art. 571 c.p., che richiede un abuso dei mezzi di correzione inteso come eccesso nell’uso di mezzi giuridicamente leciti, dato che la minima attività costrittiva svolta sulla bambina per sottrarla alle possibili aggressioni dei compagni di scuola era finalizzata a preservare l’incolumità della piccola alunna mentre non rileva, nei termini della realizzazione dell’elemento materiale del reato, quella “incapacità a gestire situazioni di conflitto all’interno della classe” sulla base della quale la Corte di Appello aveva fondato il giudizio di responsabilità penale per il reato di cui all’art. 571 c.p.