di Simone Ferrari
Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame, confermava il decreto di sequestro probatorio di un telefono cellullare e di materiale informatico di B., indagato per il reato di istigazione al suicidio e adescamento di minori.
La vicenda riguarda i rapporti intrattenuti dall’indagato con una minore nell’ambito della partecipazione di entrambi ad un “gioco” noto con il nome di “Blue Whale Challenge“, nell’esecuzione del quale il B. ha inviato alla minore messaggi telefonici ritenuti integranti i reati predetti, fra cui uno in cui le intimava: “manda audio in cui dici ke sei mia schiava e della vita non ti importa niente e me la consegni”.
Avverso l’ordinanza ricorreva l’indagato a mezzo del proprio difensore.
Secondo la Corte di Cassazione (Sezione Quinta Penale, n. 57503/2017), coglie nel segno l’obiezione del ricorrente in merito all’inconfigurabilità del delitto di cui all’art. 580 c.p. (chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima).
La disposizione citata, infatti, punisce l’istigazione al suicidio – e cioè a compiere un fatto che non costituisce reato – a condizione che la stessa venga accolta e il suicidio si verifichi o quantomeno il suicida, fallendo nel suo intento, si procuri una lesione grave o gravissima. L’ambito di tipicità disegnato dal legislatore esclude, dunque, non solo la rilevanza penale dell’istigazione in quanto tale, ma altresì dell’istigazione accolta cui non consegue la realizzazione di alcun tentativo di suicidio ed addirittura di quella seguita dall’esecuzione da parte della vittima del proposito suicida da cui derivino, però, solo delle lesioni lievi o lievissime. La soglia di rilevanza penale individuata dalla legge in corrispondenza della consumazione dell’evento meno grave impone quindi di escludere la punibilità del tentativo, dato che, per l’appunto, non è punibile neppure il più grave fatto dell’istigazione seguita da suicidio mancato da cui deriva una lesione lieve o lievissima.
Erroneamente dunque il Tribunale – ad avviso della Corte Suprema – ha ritenuto sussistere il fumus del delitto ipotizzato dal Pubblico Ministero, posto che il fatto non integra la fattispecie contestata non essendosi verificato quantomeno un tentativo di suicidio con causazione di lesioni gravi o gravissime.
Ciò peraltro non è stato sufficiente a determinare l’annullamento del provvedimento impugnato, in quanto correttamente i giudici del riesame hanno ritenuto la condotta attribuita all’indagato astrattamente riconducibile anche alla fattispecie di adescamento di minorenni di cui all’art. 609 undecies c.p. (chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli art. 600, 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’art. 600 quater.1, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione).
Pertanto, la Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.