di Simone Ferrari 

Il Tribunale di Trapani dichiarava T.G., P.R., S.C. e V.F. colpevoli della contravvenzione di cui agli artt. 19 co. 3, lett. a), e 30 L. n. 394/1991, e, per l’effetto, condannava T. e S. alla pena di 1.000 euro di ammenda ciascuno e P. e V. a quella di 700 euro di ammenda ciascuno; agli stessi era ascritto di aver illecitamente effettuato attività di pesca subacquea all’interno di un’area marina protetta.

Proponevano ricorso per cassazione i quattro imputati.

La Cassazione osserva innanzitutto che risponde al vero l’argomento difensivo secondo cui l’imputazione mossa concerne l’art. 19 co. 3, lett. a), L. n. 394/1991, a mente della quale nelle aree marine protette sono vietati “la cattura, la raccolta e il danneggiamento delle specie animali e vegetali nonché l’asportazione di minerali e di reperti archeologici”; del pari, risponde al vero che nell’imbarcazione del ricorrente non era stato rinvenuto pesce, al momento dell’accertamento, sì da non potersi individuare alcuna attività di “cattura” nei termini richiamati.

Rileva la Corte, tuttavia, che il co. 3, lett. a), in esame, al pari di quelle seguenti, non costituisce affatto un’elencazione tassativa delle condotte vietate, da leggere atomisticamente e in termini assoluti, ma rappresenta soltanto un’esemplificazione di comportamenti che il legislatore intende impedire, alla luce dell’idoneità – anche solo potenziale – degli stessi ad arrecare nocumento al bene giuridico protetto.

Con riguardo al quale, dunque, e anche in ragione del rango costituzionale ricoperto dallo stesso, è stata predisposta una tutela anticipata, che arretra la soglia di punibilità a condotte anche solo prodromiche al danno ambientale, potenzialmente capaci di cagionarlo e, pertanto, vietate a prescindere dal verificarsi di questo.

Solo in questi termini, infatti, può leggersi la prescrizione di cui alla lett. c) del comma in oggetto, che non consente – nelle aree protette marine – lo svolgimento di attività pubblicitarie tout court; al pari, poi, di quella sub lett. e), che vieta nelle stesse aree la navigazione a motore, comunque e in ogni caso, senza neppure accennare all’accertamento di un danno al patrimonio floro-faunistico tutelato, ritenuto non necessario proprio in ragione della citata anticipazione della soglia penale.

Non meno rilevante, in tale contesto, risulta poi la lett. d), che vieta l’introduzione di armi, di esplosivi e ogni altro mezzo distruttivo e di cattura; invero, e al di là della circostanza che il T. era stato rinvenuto in acqua “ancora imbracciante un fucile da caccia subacqueo”, emerge evidente che la previsione in esame deve essere valutata nel complesso dell’intera disposizione, come parte di un tutto omogeneo e partecipe della medesima ratio, sol così potendosi giustificare, ad esempio, la ripetizione del riferimento alla cattura, già contenuto nella lett. a) del medesimo comma.

E che si tratti di un’elencazione solo esemplificativa risulta infine dall’incipit dell’art. 19, co. 3, in esame, che individua il fondamento della previsione tutta e ne regge l’intero, successivo sviluppo; incipit a mente del quale “nelle aree protette marine sono vietate le attività che possono compromettere la tutela delle caratteristiche dell’ambiente oggetto della protezione e delle finalità istitutive dell’area”, con successiva indicazione delle varie condotte che “in particolare sono vietate”.

Orbene, la previsione appena indicata lumeggia, sempre secondo la Cassazione, proprio quell’anticipazione della soglia penale già sopra richiamata, che il legislatore ha inteso predisporre per garantire il patrimonio ambientale de quo non solo da comportamenti concretamente lesivi dell’assetto floro-faunistico (ad esempio, cattura del pesce, danneggiamento delle specie vegetali, alterazione dell’ambiente geofisico), come tali valutati in atto, ma anche da condotte che – con giudizio potenziale ed accertamento presuntivo – possono compromettere il bene medesimo, risultando comunque a ciò propedeutiche, strumentali o funzionali, anche sorrette solo con atteggiamento colposo.

Esattamente quanto riscontrato a carico del T., sorpreso in acqua e con fucile da caccia. Pertanto, la Cassazione rigetta sul punto i ricorsi di T.G. e S.C.

Ma, a nostro avviso, si dimentica così un principio cardine del diritto penale, cristallizzato anche nelle parole di Cass. pen., Sez. Unite, n. 33543/2001, secondo cui il principio di legalità e la garanzia di determinatezza della fattispecie di cui all’art. 25 co. 2 Cost., da un lato, e il divieto di analogia nell’applicazione delle leggi penali ex art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, dall’altro, precludono qualsiasi operazione interpretativa di tipo additivo o manipolativo.