di Luna Carpinelli
Una stellina di sette anni torna a casa da scuola, si siede a tavola per il pranzo con i genitori e subito sente che l’atmosfera intorno a quel piatto di pasta è pesante. Di colpo, per ragioni che lui a stento comprende, il padre aggredisce la madre e il litigio prende una piega talmente violenta da costringerlo a rifugiarsi in camera, con le orecchie tappate, per non sentire più nulla, ripetendo nella sua testa “papà perché picchi mamma?”.
Fra tutte le forme di maltrattamento “invisibile” verso i bambini, quella della violenza assistita è una delle più delicate, in quanto i piccoli osservano, respirano, sentono sulla pelle la violenza inflitta alla loro mamma.
Numerosi studi hanno ormai dimostrato che vivere in un contesto familiare maltrattante nei confronti della donna espone il bambino, oltre che ad un aumentato rischio di multiple esperienze sfavorevoli infantili e di vulnerabilità psicopatologiche a medio e lungo termine, anche ad un maggior rischio di trasmissione intergenerazionale della violenza, che può essere attivata sia perché si è assistito alla violenza sia perché si è stati vittima della stessa.
I bambini che assistono a relazioni interpersonali violente tra figure adulte di riferimento, in primis i genitori, hanno un elevato rischio di diventare in futuro adolescenti o adulti con gravi problemi relazionali, partner violenti o genitori a loro volta abusanti.
La “social learning theory” è comunemente applicata per spiegare il ciclo intergenerazionale della violenza, suggerendo che i bambini imitano tipicamente i comportamenti aggressivi del modello di riferimento del genitore del loro stesso genere.
Sebbene non sia ancora chiaro come il genere del bambino e dell’adulto perpetratore della violenza nei suoi confronti siano correlati al tipo di violenza relazionale dell’adolescente, in linea di massima sembrerebbe che i maschi imparino ad agire la violenza, le femmine a tollerarla.
La trasmissione intergenerazionale della violenza di genere è un fenomeno per certi aspetti ancora poco conosciuto e pertanto sottovalutato riguardo alle sue conseguenze sulla salute del bambino e del futuro adulto.
Occorrerebbero interventi di prevenzione basati sul genere, mirati ad esempio ad aumentare l’autostima delle ragazze per limitarne la vittimizzazione, o a ridurre l’aggressività dei ragazzi per limitare la perpetrazione della violenza nelle relazioni adolescenziali e adulte.
La Convenzione di Istanbul riconosce alla Scuola l’importante ruolo di promuovere un reale cambiamento culturale e sociale per la prevenzione della violenza di genere, attraverso programmi di educazione al rispetto delle differenze, al superamento degli stereotipi nei confronti della figura femminile e all’affettività nelle relazioni tra pari o di coppia: bambini e adolescenti, infatti, apprendono e interiorizzano il valore aggiunto costituito dalle “differenze” proprio nell’età scolare.
Ad ognuno di noi, però, spetta il compito di svolgere un ruolo altrettanto importante anche nella prevenzione primaria della trasmissione intergenerazionale della violenza di genere, ad esempio attraverso l’educazione delle giovani generazioni alla genitorialità positiva e all’affettività nelle relazioni.
Non dimentichiamo che i bimbi di oggi saranno gli adulti di domani.
Non dimentichiamo che i bimbi di oggi saranno genitori un domani.