di Simone Ferrari
Il Tribunale del Riesame riqualificava come omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.) il fatto di reato contestato all’indagato (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto: art. 586 c.p.) in relazione al decesso di una donna, intervenuto a seguito delle lesioni subite in conseguenza degli scomposti movimenti della folla verificatisi in Piazza San Carlo a Torino, durante la proiezione su un maxischermo della partita di calcio Juventus – Real Madrid.
In particolare, all’indagato è stato contestato di aver spruzzato (allo scopo di compiere rapine) spray urticante all’indirizzo degli spettatori che stazionavano in Piazza San Carlo (che avevano immediatamente avvertito odori e bruciori alla gola); condotta che aveva provocato movimenti repentini e violentissimi della folla, cui era seguita, senza soluzione di continuità, una fuga scomposta in tutte le direzioni di tutti i partecipanti all’evento, determinando il ferimento di numerose persone e la morte per schiacciamento di una donna.
Proponeva ricorso per cassazione l’indagato, deducendo la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza del delitto di cui all’art. 584 c.p. (“Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 (percosse) e 582 (lesione personale), cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni”).
In sintesi, il panico collettivo si era innescato a partire dal primo spostamento degli spettatori che erano stati colpiti dallo spray urticante, i quali avevano iniziato ad allontanarsi a raggiera, determinando nelle persone collocate nelle vicinanze il timore di essere vittime di un attacco terroristico. Le indagini compiute non avevano consentito di palesare il verificarsi di nessun ulteriore evento anomalo nella folla, che da solo potesse averne cagionato lo spostamento e fosse, conseguentemente, idoneo ad interrompere il meccanismo causale innescatosi per effetto dell’improvviso e violento movimento iniziale del pubblico provocato dall’indagato e dai suoi complici.
Orbene, ad avviso di Cass. pen., Sez. V, n. 13192/2019, va esclusa la configurabilità, nel caso di specie, della fattispecie di cui all’art. 586 c.p. (“Quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell’articolo 83, ma le pene stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentate”).
Anche recentemente, la Corte Suprema ha statuito che il delitto previsto dall’art. 586 c.p. si differenzia dall’omicidio preterintenzionale perché, nel primo reato, l’attività del colpevole è diretta a realizzare un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni personali, mentre, nel secondo, l’attività è finalizzata a realizzare un evento che, ove non si verificasse la morte, costituirebbe un reato di percosse o lesioni. In sostanza, nel delitto di cui all’art. 586 c.p. l’agente vuole ledere un bene giuridico che non appartiene, come nel delitto preterintenzionale, allo stesso genere di interessi giuridici tutelati (incolumità, vita) che si distinguono, come tali, solo per la gravità, per la progressione dell’offesa.
Nel caso in esame non si rientra nella fattispecie di cui all’art. 586 c.p., in quanto la rapina è un reato complesso plurioffensivo che offende non soltanto il patrimonio, ma anche l’incolumità individuale, e reca come elemento costitutivo del reato proprio la violenza alla persona.
Ne consegue che allorquando venga commessa una rapina, che abbia come sviluppo non voluto la morte di una persona, viene senz’altro integrato il presupposto del delitto di cui all’art. 584 c.p., ponendosi l’evento morte in progressione criminosa con la violenza esercitata per impossessarsi del bene altrui, la quale, se assume la meno grave connotazione delle percosse, è assorbita nel reato complesso di rapina.
Posto che la norma in esame contempla quale presupposto “gli atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli artt. 581 e 582 c.p.”, non v’è dubbio che la condotta aggressiva dell’agente si ponga, a pieno titolo, come elemento costitutivo del delitto di omicidio preterintenzionale, indipendentemente dal fatto che lo stesso intendesse porre in essere le percosse o le lesioni come autonomi reati o nell’ambito di una condotta finalizzata alla sottrazione di un bene altrui (la rapina).
Nessun dubbio, peraltro, che, nel caso in esame, la condotta del ricorrente di impiegare una bomboletta spray al peperoncino rientrasse nella nozione di violenza.
In proposito, in tema di rapina impropria, la Cassazione ha già statuito che la violenza necessaria ad integrare il reato di cui all’art. 628 c.p. è costituita da ogni energia fisica adoperata dall’agente verso la persona offesa al fine di annullarne o limitarne la capacità di autodeterminazione, potendo consistere in una vis corporis corpori data, ossia in una condotta posta in essere esclusivamente con la forza fisica dell’agente e senza l’aiuto di strumenti materiali, o in un’energia esercitata con qualsiasi utensile adatto allo scopo.
Sul punto, l’ordinanza impugnata ha ben evidenziato come lo stesso ricorrente e i suoi complici avessero spiegato agli inquirenti di aver spruzzato il liquido urticante verso il suolo in modo da colpire il maggior numero di vittime possibile e creare confusione nei presenti, amplificando l’effetto tossico della sostanza. Inoltre, la fuga scomposta della folla è stata una diretta conseguenza delle lesioni riportate dai soggetti colpiti dallo spray, i quali hanno immediatamente avvertito bruciori in gola e hanno cominciato a tossire, respirare con difficoltà e lacrimare, reagendo in modo istintivo con la fuga per allontanarsi dal punto di diffusione della sostanza urticante.
Dunque, il ricorrente ha pienamente centrato l’obiettivo di annullare o limitare la capacità di determinazione degli spettatori, provocando loro, addirittura, delle vere e proprie lesioni. Nel caso di specie, gli effetti derivanti dal getto di gas urticante sono stati produttivi di alterazioni funzionali dell’organismo, avendo provocato nella folla bruciori in gola, fenomeni di difficoltà di respirazione, di lacrimazione e di tosse.
Inoltre, ai fini di un compiuto inquadramento giuridico della condotta posta in essere dall’indagato, la stessa deve essere sussunta nella fattispecie dell’omicidio preterintenzionale in sinergia con l’istituto della aberratio ictus plurilesiva, previsto all’art. 82 co. 2 c.p. (“Quando, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, è cagionata offesa a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere, salve, per quanto riguarda le circostanze aggravanti e attenuanti, le disposizioni dell’articolo 60. Qualora, oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino alla metà”), che ricorre allorquando, oltre alla persona alla quale l’offesa è diretta, venga offesa persona diversa.
Infatti, nel caso in esame, l’evento letale non è stato provocato allo stesso soggetto che si voleva ledere (coloro che sono stati investiti dallo spray urticante), ma ad un soggetto diverso (la vittima, rimasta schiacciata dai movimenti inconsulti della folla provocati dalla condotta del ricorrente). Inoltre, i soggetti che si voleva ledere hanno subito effettivamente un’offesa.
Peraltro, l’aberratio ictus ricorre non soltanto quando l’offesa a persona diversa rispetto a quella cui la stessa offesa era diretta sia dovuta ad errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato – il ricorrente non ha commesso alcun errore, ledendo i soggetti che intendeva effettivamente offendere – ma anche quando sia dovuta ad “altra causa”. Questa “altra causa”, eziologicamente collegata alla condotta dell’indagato, è stata individuata nella reazione di panico che si è scatenata nella folla dopo lo spruzzo dello spray urticante.
D’altra parte, la circostanza che la morte della spettatrice sia stata determinata non dallo spruzzo del gas urticante, ma dall’effetto domino che si è verificato nell’immediatezza della prima azione è pienamente compatibile con la struttura dell’omicidio preterintenzionale. In proposito, è orientamento costante che, ai fini della positiva valutazione della sussistenza del nesso causale del delitto di omicidio preterintenzionale, non rileva che la serie causale che ha prodotto la morte rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o di lesioni voluto dall’agente, potendo trattarsi – come nel caso di specie – di un evento successivo seppur eziologicamente collegato alla causa iniziale posta in essere dall’agente.
Ma è essenziale, ai fini della configurabilità sia del nesso di causalità dell’omicidio preterintenzionale, che dell’aberratio ictus, che la causa successiva non sia da sola sufficiente a determinare l’evento, interrompendosi, diversamente, il rapporto di causalità.
La Cassazione condivide, pertanto, la conclusione cui è pervenuto il Tribunale del Riesame, secondo cui per effetto del meccanismo previsto dall’art. 82 co. 2 c.p., che va applicato in sinergia con l’istituto di cui all’art. 584 c.p., il ricorrente deve rispondere dell’evento arrecato alla vittima “come se” quest’ultima fosse stata l’effettiva destinataria della sua offesa. In conclusione, la Corte Suprema di Cassazione ha rigettato il ricorso.
Dal canto nostro crederemmo, in adesione ad una parte della dottrina (G. Marini), di dover negare la possibilità di applicare la disciplina dettata con l’art. 82 c.p., con la conseguenza di escludere la qualificabilità del fatto come omicidio preterintenzionale.
Sul punto, va tenuto presente che il legislatore si è allontanato e dalla disciplina generale dell’aberratio delicti e da quella dettata con l’art. 586 c.p., per delineare un modello autonomo di responsabilità, assimilato al doloso, traducentesi in un’autonoma figura di reato. Deroga ai principi giustificabile solo nella logica della tutela ai limiti del possibile dell’interesse alla vita, scopo perseguito vietando, in funzione dei loro prevedibili sviluppi, i fatti prodromici di percosse e lesioni ed accollando oggettivamente all’autore la morte della vittima del fatto.
A parte l’ulteriore rilievo circa la necessità, perché scatti l’applicabilità dell’art. 82 c.p., della medesimezza del modello criminoso voluto realizzare dall’agente, medesimezza che nell’omicidio preterintenzionale per definizione non si ha.
Vero quanto precede, va negata l’applicabilità all’omicidio preterintenzionale della disciplina dettata in via generale con l’art. 82 c.p.