In un precedente “appunto” si era illustrato come la l. 19 luglio 2019, n. 69, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” (comunemente nota come “Codice Rosso” giusta l’abusata metafora da triage ospedaliero giacché in essa si declinano corsie preferenziali per la trattazione accelerata di denunce querele od istanze connesse ai “reati violenti” di cui sopra) abbia equivalso ad un crocevia fondamentale nella prevenzione e nella repressione degli illeciti penali de quibus. Nondimeno, già nelle more dell’entrata in vigore di quel provvedimento, se ne denunciavano le criticità: di tal che, preso atto che “non è oro tutto ciò che luccica”, il legislatore nazionale ha inteso correggere il tiro con due, ben “sequenziati”, interventi normativi. Primo si è allora stipulato un nuovo dovere di vigilanza dei Procuratori della Repubblica e dei Procuratori Generali sul rispetto del termine dei tre giorni per l’assunzione delle informazioni ad opera delle vittime degli illeciti penali summenzionati con possibilità di revocare l’assegnazione del procedimento al singolo magistrato in caso di mancato rispetto di quello. Viene, laonde per cui, approvata la l. 8 settembre 2023, n. 122, recante “Modifiche al decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, concernenti i poteri del procuratore della Repubblica nei casi di violazione dell’articolo 362, comma 1-ter, del codice di procedura penale, in materia di assunzione di informazioni dalle vittime di violenza domestica e di genere”, che modifica il d. lgs. 20 febbraio 2006, n. 106, recante, a sua volta, “Disposizioni in materia di riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera d, della legge 25 luglio 2005, n. 150”. Tale riforma incide tanto sui poteri dei Procuratori della Repubblica, sub specie di capi degli uffici giudiziari, quanto su quelli dei Procuratori Generali presso le Corti di Appello stabilendo un meccanismo di monitoraggio verticistico sull’attuazione degli obblighi legislativi con riguardo ai reati da Codice Rosso.  Essa agisce, essenzialmente, su uno degli aspetti caratterizzanti l’iter da perseguire nei procedimenti per delitti di violenza domestica e di genere di cui alla l. 19 luglio 2019, n. 69, ovverossia l’obbligo per il pubblico ministero di assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato entro tre giorni dall’iscrizione nell’apposito registro delle notizie di reato. In buona sostanza la novella in esame prevede che, qualora il singolo magistrato designato per le indagini preliminari non abbia rispettato il suddetto termine, il Procuratore della Repubblica possa revocare l’assegnazione del procedimento e provvedere ad assumere, senza ritardo, le informazioni che sono state omesse, direttamente o mediante assegnazione del procedimento ad un altro magistrato dell’ufficio, salvo che ricorrano le imprescindibili esigenze di tutela dei minori o di riservatezza delle indagini come richiamate dall’art. 362, co. 1 ter, c.p.p. La riforma, oltre a ciò, significa che i Procuratori Generali presso le Corti di Appello, nell’ambito del loro generale potere di vigilanza, acquisiscano con cadenza trimestrale dalle Procure della Repubblica del distretto i dati sul rispetto del termine entro cui devono venire assunte tali informazioni e che essi medesimi inviino al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione una relazione almeno semestrale sul punto. Le previsioni di cui supra, benché motivate dalla volontà di ottenere rimedio ad eventuali stasi nei procedimenti relativi a fattispecie incriminatrici da cosiddetto Codice Rosso, rischiano, nell’effettività, di rivelarsi, da un lato, au fond inefficaci per la tutela delle stesse persone offese e, dall’altro, di esigere una serie di adempimenti defatiganti che non causeranno altro che un rallentamento ed un appesantimento dell’attività dei singoli uffici delle procure.  Tra gli “imbuti” riscontrati sul piano della tutela delle vittime vengono ad evidenziarsi, già ab initio, due considerazioni “perplesse” sostanziali di non breve momento. Innanzitutto la norma facoltizza, e non obbliga, il Procuratore della Repubblica a revocare l’assegnazione del procedimento al singolo magistrato: fra l’altro, in caso di destituzione del magistrato, la norma non prefigura tempi certi (difatti si imprime ‘senza ritardo’ in luogo del più puntuale ‘tre giorni’ di cui all’art. 362 co. 1 ter c.p.p. …) entro cui procedere potendosi motivare, quello, in un lasso di tempo indefinito e flessibile. La novella, così come congegnata, si espone a considerevole e diffuso biasimo altresì e specialmente sul terreno dell’organizzazione degli uffici giudiziari ciò rivelandosi di estrema difficoltà attuativa e foriero di conseguenze negative per l’azione degli organi inquirenti. Nella sua originaria formulazione il disegno di legge S. 377 (a monte dell’intervento riformistico e dall’emblematica Rubrica “Avocazione delle indagini per delitti di violenza domestica o di genere)” era per vero diretto a modificare l’art. 372 c.p.p., giustappunto relativo al potere di avocazione delle indagini preliminari ad opera del Procuratore Generale, inserendo un’ulteriore ipotesi di avocazione per l’evenienza in cui il pubblico ministero non avesse assunto le informazioni dovute dalla persona offesa entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato. Rebus sic stantibus si sarebbe rimesso alla segreteria di ogni ufficio di Procura l’incomodo di dovere trasmettere, ogni settimana, al Procuratore Generale i dati relativi ai procedimenti stante i quali non fossero state assunte le informazioni nei termini previsti giusta gli elenchi previsti ex art. 127 disp. att. c.p.p. L’evidente farraginosità del sistema come ideato e la sua impossibilità di realizzazione pratica hanno consigliato il legislatore a modificare tale impostazione prevedendosi quindi che, anziché il Procuratore Generale, siano investiti i singoli Procuratori della Repubblica del dovere di intervenire sui propri sostituti in caso di mancato rispetto del termine dei tre giorni revocando loro le assegnazioni e disponendo la riassegnazione dei procedimenti ad ulteriori magistrati di cui all’identico ufficio.

La l. 24 novembre 2023, n. 168, recante “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica” (sia detto senza intenzione “patriarcale” veruna: trattasi del primo arresto normativo che assume ad obiettivo di elezione la ‘violenza sulle donne’ e non più, come tradizionalmente era intervenuto sino a quel frangente, la ‘violenza di genere’: si pensi, allora ed a tacer d’altro, del vuoto di tutela che dovrebbe accompagnare gli episodi de quibus laddove perpetrati in un’ottica di coppia omo-oriented), di più diffuso respiro sistematico benché ad una, se non sola, preminente dimensione, elegge a sua volta ad obiettivo rendere, nei fatti, più efficace la tutela preventiva nonché la rappresentazione di contrasto dei cosiddetti ‘reati spia’, ovvero i delitti indicatori di una violenza di genere, onde impedire che essi possano degenerare in comportamenti più gravi, con l’obiettivo di accelerare le valutazioni preventive, per identificare e per affrontare i rischi associati a situazione di violenza domestica o di genere, oltre che di potenziare le misure di protezione, di rafforzare le azioni contro la recidiva e di implementare la tutela delle vittime. Astraendo da una disamina compiuta delle innovazioni al codice penale ed alle “molecole extravaganti” (su tutto il rafforzamento delle misure in tema di ammonimento e di informazione alle vittime oltre che il potenziamento delle misure di prevenzione: cfr. artt. 1 e 2 l. ult. cit.) risultano numerose le modifiche apportate al codice di procedura penale, modifiche particolarmente incisive e di significativo impatto, giusta un profilo spiccatamente punitivo-repressivo (cfr. artt. 10, 11, 12 e 13 della legge in questione). In prima istanza viene allora ad inasprirsi il trattamento cautelare per i reati di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (cfr. art. 387 bis c.p.) e di lesioni personali (art. 582 c.p.), aggravate a mente degli artt. 576, co. 1 nn. 1, 2 e 5.1, 577, co. 1 n. 1, 577, co. 2 c.p.  Venendone che il nuovo comma 3 bis dell’art. 280 c.p.p. legittima l’applicazione della custodia cautelare intra moenia per reati che, in passato, non prevedevano neppure misure non custodiali (ciò dicasi per l’art. 387 bis c.p. che, nell’impianto originario, prevedeva un tetto edittale massimo di tre anni, ora innalzato a tre anni e sei mesi ex art. 9, co. 1 lett. a l. 168/2023, il che, in difetto dell’eccezione apertis verbis or ora segnalata, giustificherebbe, in esclusiva, la somministrazione di misure cautelari coercitive extramurarie; in ordine alla fattispecie di lesione personale aggravata, invece, la soglia edittale massima consentirebbe, senza la deroga espressa de qua, il ricorso a misure non custodiali in carcere). L’art. 282 bis c.p.p. è stato a sua volta modificato onde permettere l’applicazione obbligatoria del braccialetto elettronico per monitorare i soggetti sottoposti alla misura dell’allontanamento dalla casa familiare soggiungendosi l’interdictio di avvicinarsi a meno di cinquecento metri dalla casa familiare e da altri luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa; misure affini sono state introdotte ex art. 282 ter c.p.p. È stato inoltre introdotto l’art. 382 bis c.p.p. che “salvaguardia” con flagranza differita, entro quarantotto ore dalla commissione dei fatti, da reati come, tanto per esemplificare, la violazione dell’allontanamento dalla casa familiare e gli atti persecutori, di cui all’art. 612 bis c.p.: di modo che si considera comunque in stato di flagranza colui il quale, sulla base di documentazione videofotografica o di altra documentazione legittimamente ottenuta da dispositivi di comunicazione informatica o telematica (non è dato comprendere, prima facie, nelle disponibilità di chi),  dalla  quale  emerga  inequivocabilmente  il  fatto, ne risulta autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto. Il co. 2 bis dell’art. 384 bis c.p.p. introduce, a sua volta e per vero, una misura precautelare non custodiale che accolla al pubblico ministero la responsabilità di disporre l’allontanamento di urgenza dalla casa familiare, con obbligo di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima, anche al di fuori dei casi di flagranza del reato. È stato inoltre previsto un “ponte” di coordinamento tra la cessazione della misura cautelare nell’evenienza di condanna a pena condizionalmente sospesa a mente dell’art.  300 co. 3 c.p.p. e le comunicazioni all’autorità di pubblica sicurezza deputata a valutare la necessità di adottare una delle misure di prevenzione di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136, a rubrica normativa: piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia” (cfr. art. 165, co. 5, secondo periodo, c.p., come “novato” dalla legge di cui ad oggetto). Del pari si è ipotizzato a fronte di un’eventuale revoca o sostituzione delle misure cautelari di guisa che, nei procedimenti per i delitti di cui all’art. 4, comma 1, lettera i-ter, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al d. lgs. 159/2011, l’estinzione, l’inefficacia pronunciata per qualsiasi ragione o la revoca delle misure coercitive previste dagli artt. 282 bis, 282 ter, 283, 284, 285 e 286 o la loro sostituzione con altra misura meno grave sono comunicati, a cura della cancelleria, anche per via telematica, all’autorità di pubblica sicurezza competente per le misure di prevenzione, ai fini dell’eventuale adozione dei relativi provvedimenti. Del pari, nei procedimenti per i delitti di cui all’art. 362, co. 1 ter, l’estinzione o la revoca delle misure coercitive di cui al comma 1 del presente articolo o la loro sostituzione con altra misura meno grave sono comunicate al prefetto che, sulla base delle valutazioni espresse nelle riunioni di coordinamento di cui all’art. 5 co. 2, d.l. 6 maggio 2002, n.  83, recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza personale ed ulteriori misure per assicurare la funzionalità degli uffici dell’Amministrazione dell’interno”, convertito, con modificazioni, dalla 2 luglio 2002, n. 133, può adottare misure di vigilanza dinamica, da sottoporre a revisione trimestrale, a tutela della persona offesa (cfr. i commi 2 bis e 2 ter art. 299 c.p.p. per la cui “stipula” v. l’art. 14 co. 1 lett. b l. 168/2023).

Infine, giusta un profilo più strettamente riconducibile alla “velocizzazione” delle procedure, il nuovo art. 362 bis c.p.p. (come interpolato dall’art. 7 l. 168/2023) impone una tempistica specifica per la richiesta di applicazione delle misure cautelari ad opera del pubblico ministero e del giudice per le indagini preliminari: nel dettaglio il pubblico  ministero,  effettuate  le  indagini  ritenute  necessarie, valuta, senza ritardo e comunque entro trenta giorni  dall’iscrizione del nominativo della persona nel registro delle notizie di reato, la sussistenza dei presupposti di applicazione delle misure cautelari; il giudice provvede con ordinanza da adottare entro il termine di venti giorni dal deposito dell’istanza cautelare presso la cancelleria; stante il correlato profilo organizzativo è assicurata la trattazione spedita degli affari, nella fase cautelare, per quelle evenienze per le quali è garantita priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione degli affari ex art. 132 co. 1 lett. a bis d. lgs. 28 luglio 1989, n. 271, recante “Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale” (lettera sostituita dall’art. 3 l. ult. cit. onde ricondurvi, altresì, i reati da cosiddetto Codice Rosso). A margine il procuratore generale presso la corte di appello acquisisce ogni tre mesi dalle procure della Repubblica del distretto i dati sul rispetto dei termini relativi ai procedimenti di cui all’art. 362 bis c.p.p. e invia al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione almeno semestrale (v. il co. 1 bis dell’art. 127 n. att. c.p.p. come “innervato”, in quel corpo normativo, dall’art. 8 l. 168/2023).

Come su accennato en passant finanche a livello di Europa ci si è mostrati avvertiti della delicatezza dell’indicato scenario. Da ultimo è stata allora emanata la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 maggio 2024, n. 1385, “sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica”, che dovrà essere recepita dagli Stati firmatari entro il 14 giugno 2027. La futuribile novella si pone espressamente in continuità con gli impegni internazionali assunti dagli Stati de quibus onde prevenire ed onde “combattere” la violenza domestica e trova collocazione nell’ambito della strategia per la parità di genere 2020/2025, come elaborata dalla Commissione europea, che mira alla realizzazione di “un’Europa garante della parità di genere” in tutte le macroaree di competenza dell’Unione. Tra le azioni cardine avanzate dalla Commissione sta, al vertice, l’eliminazione delle disuguaglianze tra uomo e donna e la lotta alle violenze di genere e alle discriminazioni sessuali. L’obiettivo della novella volge a “fornire un quadro giuridico generale utile a prevenire e combattere efficacemente il fenomeno della violenza contro le donne e alla violenza di genere in tutta l’Unione”.  Stando così le cose vengono individuate nuove disposizioni ad oggetto la definizione dei reati e delle pene irrogabili; per la protezione e per l’assistenza delle vittime e per l’accesso alla giustizia; per la raccolta di dati statistici dettagliati ad oggetto la violenza di genere; per la prevenzione, per il coordinamento e per la cooperazione tra gli Stati aderenti alla Direttiva. Quest’ultima attribuisce peculiare rilievo alle definizioni di ‘violenza contro le donne’, con ciò intendendosi qualsiasi atto di violenza di genere perpetrata nei confronti di donne, di ragazze o di bambine solo perché tali o per provocare sofferenza fisica, sessuale, psicologica o economica, e di ‘violenza domestica’, ad oggetto qualsivoglia atto di violenza fisica, sessuale, psicologica od economica, attuato nel contesto della famiglia in senso proprio o del nucleo familiare, indipendente da legami biologici o giuridici.  Una particolare cura è riservata a proposito dei reati in cui la violenza è intrinsecamente connessa all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, cosiddette “TIC”,  giusta cui tali tecnologie integrano uno strumento di amplificazione significativa della gravità dell’impatto dannoso del reato modificando, di modo che, le caratteristiche dello stesso, ivi compresi la condivisione non consensuale di materiale intimo o manipolato, lo stalking online, le molestie online, l’istigazione alla violenza ed all’odio online.  Tale focus è riconducibile ad impellenti esigenze di armonizzazione emerse su diversi fronti: basti pensare alla decisione della Corte Edu sulla cyberviolence dell’11 febbraio 2020, Buturugă c. Romania, in cui la Corte europea dei diritti umani precisa che, tra le forme di violenza domestica, rientrano giustappunto finanche i casi di cyberviolenza, del genere dell’accesso a dati sensibili e dell’utilizzo abusivo dell’account del coniuge.  O, ancora, alla General Recommendation  del 2021 del Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence, d’ora in innanzi, per acronimo, GREVIO, sulla dimensione digitale della violenza contro le donne nonché alla risoluzione del Parlamento europeo del 14 dicembre 2021 sui medesimi temi.  D’altronde si è registrato un considerevole aumento degli episodi di violenza online, fenomeno che si è particolarmente acuito durante la pandemia da SARS-CoV-19: secondo la relazione di Europol più recente gli abusi sessuali online nei confronti dei minori nell’UE sono drasticamente accresciuti. Le donne su internet fra l’altro rappresentano un facile target per ragioni legate al sesso ed al genere, in specie coloro che sono impegnate nella vita pubblica, in politica o nel giornalismo. Tra i punti fondamentali della Direttiva assumono particolare rilievo gli strumenti per la protezione delle vittime e di accesso alla giustizia, con specifico riguardo all’individuazione di canali facilmente accessibili e di pronta disponibilità per la denuncia degli atti di violenza, per il “filtro” di sistemi online ed in ordine al rafforzamento del patrocinio legale a spese dello Stato. Vengono altresì introdotte disposizioni per lo svolgimento delle indagini ed in merito all’esercizio dell’azione penale acciocché si riscontrino le necessarie competenze e sia consentita la più celere trattazione dei procedimenti, finanche all’obiettivo dell’adozione delle misure urgenti di protezione, di cui all’art. 362 bis c.p.p. È prevista l’assistenza specialistica ad obiettivo di offrire servizi di informazione e di assistenza necessari per rispondere in modo esauriente e, ancor prima, esaudiente alle molteplici esigente delle vittime. Tra questi sono compresi: l’assistenza medica di prima necessità e l’indirizzamento ad ulteriori cure del genere; i servizi sociali; il sostegno psicosociale; i servizi legali ed i servizi di polizia; le informazioni su tali servizi e onde avvalersene.  Si esige, inoltre, la predisposizione di linee di assistenza telefonica gratuite e sempre disponibili per fornire informazioni e consulenza, di case rifugio e di ulteriori sistemazioni temporanee per l’assistenza nel percorso di recupero, fornendo condizioni di vita sicure, facilmente accessibili ed adeguate ai fini del ritorno ad una vita indipendente.  Forme di assistenza specifiche ed adeguate debbono fra l’altro essere previste per le vittime minori di età e per quelle con esigenze intersezionali, ovvero le persone con disabilità, tenendo conto delle loro esigenze specifiche, compresa l’assistenza personale. Vengono inoltre predisposti programmi di intervento rivolti a potenziali autori di reati, con l’obiettivo di prevenire la violenza prima che essa abbia a verificarsi, programmi di formazione e di informazione dei professionisti, tra cui agenti di polizia, avvocati, sanitari, che entreranno in contatto con le vittime, e programmi educativi e di sensibilizzazione, volti a migliorare la consapevolezza e la comprensione del pubblico nei riguardi delle numerose manifestazioni di violenza, delle cause e degli effetti di quelle nonché tesi a contrastare gli stereotipi di genere ed alla promozione ed a promuovere una parità di genere e di rispetto reciproco. Da ultimo, ed infine, sono previsti meccanismi di coordinamento tra le autorità giudiziarie e le forze dell’ordine a livello nazionale ed europeo stipulando l’obbligo, per gli Stati de quibus, di collaborare finanche con organizzazioni non governative e con prestatori di servizi digitali per rimuovere materiali dannosi online.

Tout se tient, laonde per cui? Ad un’occhiata meno epidermica parrebbe che non si possano ancora dormire sonni tranquilli. Il GREVIO, nel suo ultimo Rapporto Generale (il quinto) sulle proprie attività, editato il 15 ottobre 2024 e che copre il periodo da gennaio 2023 a dicembre 2023, appunta a focus nei riguardi dello Stato Italiano le seguenti criticità: I) insufficiente considerazione della prevedibilità “seriale” degli episodi di violenza nel contesto familiare (escalation drammatica che, usualmente, sfocia nella morte della vittima di quegli atti persecutori e/o di un suo stretto congiunto); II) eccessivo “incentro” della percezione del rischio sull’esperienza e sulle capacità intuitive degli operativi di polizia giudiziaria; III) a logica “ricaduta” insufficiente ponderazione del cosiddetto risk assessment (valutazione del rischio) – fra l’altro, profilo che, ossessivamente, ricorre nella giurisprudenza europea dei diritti umani (e ciò ben oltre la dimensione penalistica della tranche de vie di riferimento: cfr., ex multis, Corte EDU, I.M. e altri c. Italia, 10 novembre 2022); IV) non compiuta “attivazione” di un sistema che prenda in carico ogni evenienza di femminicidio, o di tentato femminicidio, all’obiettivo di, quantomeno, contenerne la reitera; V) ricorso enfatico a termini etichettanti (e.g., alienating or un-cooperative mothers’) giusta cui si provvede a deprezzare la natura gender-based della violenza domestica. Al di là dell’eventuale tenuta della cornice normativa – che, astrattamente parlando, potrebbe identificare il “migliore dei mondi possibili” (e non si può certo dire che il legislatore italiano si sia mostrato neghittoso al proposito) – il vero punctum dolens sta nella “sensibilità” (il termine è ironico …) manifestata dagli operatori della giustizia. Questi ultimi, lungi dal sottoscrivere un atteggiamento pro-attivo volto, in quanto tale, a prevenire situazioni, tendenze o problemi futuri in modo da pianificare, anticipatamente, le azioni opportune, prasseologicamente orientandosi, ovvero agendo intenzionalmente e con scopo, mirando a conseguire obiettivi specifici per il filtro del loro procedere, muovono a “dissolvere” l’in sé violento dell’atto gender oriented. Trattasi, a bene vedere, di seccature domestiche da risolversi senza importunare, ultra necessitate, l’autorità pubblica – modus agendi, questo sì, “patriarcale” e de-responsabilizzante. A paradigmatico emblema della riscontrata indifferenza qua sta la terribile vicenda, recentemente venuta all’attenzione della Corte di Strasburgo (Corte EDU, Vieru c. Moldova, 19 novembre 2024), della signora T. Vieru. In quel frangente una cittadina di quella Repubblica ex sovietica è stata sottoposta a ripetute, e vieppiù invasive, vessazioni ad opera del marito (dal quale si stava separando) ad epilogo delle quali si è addivenuti alla morte, non meglio precisata se per atto anti-conservativo o per mero accidens, della signora Vieru, di certo portata all’esasperazione dalle incessanti brutalità di cui era autore il consorte. E ciò nonostante il signor Vieru fosse stato destinatario di ben cinque ordini di protezione (il sesto, in attesa di “conclamazione”, viene ad implodere stante la precipitazione della malcapitata dal quinto piano della propria abitazione, evento da cui ne conseguirà il decesso), ad oggetto l’impossibilità di avvicinarsi a meno di 300 metri (ricorda qualcosa …) dalla donna e dai figli della coppia, orders, nondimeno, con riguardo ai quali mai si è peritati di verificare se l’abusante ne avesse rispettato i contenuti; ciò nonostante il signor Vieru fosse stato processato per violenza domestica, giudizio pur tuttavia destinato a concludersi in un nulla di fatto stante ripetute technicalities; e ciò nonostante il medesimo fosse stato indagato per istigazione al suicidio (alla luce della morte sospetta della moglie), capo d’accusa dal quale, per vero, egli risulta “liberato” a fronte della mancata sussunzione del fatto concreto nella fattispecie astratta (sbigottisce constatare, a latere di ciò, come nel mese e mezzo indicativo di degenza ospedaliera prima della dipartita la signora Vieru, perfettamente compos sui, non sia mai stata sentita, a sommarie informazioni sui fatti, dell’organo requirente). Tanto più, inoltre, considerando come lo Stato moldavo avesse provveduto ad emendare il proprio corpo normativo onde renderlo maggiormente uniforme alle suggestioni provenienti dalla legislazione sovranazionale. Cedendo la voce alla Corte alsaziana: “The Court finds that the authorities never made a serious attempt to take a comprehensive view of T.’s case as a whole, which is required in this type of context. The Court notes that no investigation was prompted in respect of psychological violence or the physical assaults which occurred in November 2013 and in June and November 2015 or the breaches of protection orders, other than that of 26 September 2014. Furthermore, the investigations did not include any analysis of the various manifestations of violence, such as alleged psychological violence, stalking and harassment reported by T. to the police on multiple occasions. Acts of domestic violence should never be considered in isolation but rather as a single course of conduct or a series of related incidents the Court was struck by the investigating authorities’ readiness to accept that T.’s death was the result of her accidental fall without any other version being duly considered. The history of domestic violence over a prolonged period of time, which presented the characteristics of a form of gender-based violence, should have incited the authorities to respond with particular diligence in carrying out the investigative measures. In particular, they should have considered the possibility that they were dealing with a potential case of gender-motivated murder. In this latter respect, the Court notes that whenever there is a suspicion that an incident or death might be gender-motivated, it is particularly important that the investigation be pursued with vigour the Court notes that the domestic authorities were under a duty to protect the applicant’s sister, as a victim of domestic violence, from a real and immediate threat of further violence. They had to conduct a risk assessment at regular intervals as an integral part of their obligations under the Convention, taking due account of the particular context of domestic violence … and its recurring nature. The Court has repeatedly stressed that the dynamics of domestic violence must be duly taken into account by the authorities when they assess the risk of a further escalation of violence, even after the issuance of a restraining order … There is nothing in the case file to suggest that on any of the fifteen above-mentioned occasions of alleged domestic violence the police attempted to analyse I.C.’s conduct through the prism of what it could portend about his future course of action”.

Il lassismo di chi avrebbe dovuto provvedere ha ingenerato l’ennesima tragedia (prevedibile e, del pari, evitabile): ma quando detto “stillicidio” avrà termine? Quien sabe la desolata chiosa finale.