Salta al contenutoMario Deganello, Il processo penale minorile nella “stretta” del populismo riformatore: brevi osservazioni sul cosiddetto Decreto Caivano
È ormai decorso leggermente più di un anno da quando il legislatore è intervenuto au fond sull’edificio del processo penale minorile (vedremo a breve se e quanto detta operazione possa mostrarsi “salutare” …) alterando più di un contenuto del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, recante, giustappunto, “Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”, ciò verificandosi a seguito dell’approvazione del d.l. 15 settembre 2023, n. 123, dall’impegnativa Rubrica normativa “Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale” (cosiddetto decreto Caivano), convertito, con modificazioni, in l. 13 novembre 2023, n. 159. Trattasi del primo innesto organico di riforma su quanto elaborato giusta il Decreto presidenziale or ora menzionato e, soprattutto, del primo prodotto che, a fronte di una indimostrata ‘emergenza criminalità minorile’ (per ulteriori approfondimenti cfr. https://www.antigone.it/upload2/uploads/docs/AntigoneDlCaivano.pdf), trasferisce nel contesto dell’accertamento di responsabilità di cui all’infradiciottenne le matrici di cui al populismo penale (su tutto il facile assioma per cui ‘a più reati deve corrispondere una maggiore carcerizzazione’). E ciò in netta controtendenza con le linee ispiratrici del processo penale degli under ages, come declinato nel 1988, stante cui le movenze educative, giusta l’obiettivo della precoce fuoriuscita del minorenne dal circùito punitivo, sopravanzavano il bisogno di pronta ed esemplare repressione di cui al factum sceleris.
Il decreto oggetto di cura si articola in quattro Capi: il primo è votato alla realizzazione di ‘interventi infrastrutturali nel territorio del comune di Caivano’ [sia detto per inciso: quella realtà specifica non identifica affatto una contemporanea Gotham City laddove ulteriori comuni dell’hinterland napoletano descrivono insulae felices esenti dall’infiltrazione criminale; banalmente a Caivano si sono venuti a realizzare fatti delittuosi che hanno turbato a tal punto la società civile, nonché l’opinione pubblica, da giustificare, a detta del legislatore, un intervento di risanamento del contesto de quo – con un marcato disequilibrio, ci si consenta di soggiungere, avendo riguardo a realtà territoriali caratterizzate da identica “drammaticità del vivere quotidiano” e, in quanto tali (extra Caivano), avulse dal novum normativo] (artt. 1, 1 bis, 1 ter, 2); il secondo elegge a priorità ‘disposizioni in materia di sicurezza e di prevenzione della criminalità minorile’ [nel dettaglio si fa rinvio alle modifiche in tema di avviso orale e di procedura di ammonimento del questore, all’inasprimento sanzionatorio delle pene comminate per emblematici ‘reati-spia’ di una ipotizzata ‘emergenza criminalità minorile’ – su tutto i delitti connessi ad armi o ad oggetti atti ad offendere nonché a quelli in materia di sostanze stupefacenti -, alla facilitazione del ricorso alle misure pre-cautelari ed alle misure cautelari e, a riflesso negativo, alla contrazione dell’incentivo di cui a ‘istituti-bandiera’ del micro-sistema di riferimento ovvero della sospensione del processo con messa alla prova (d’ora in innanzi, per acronimo, MAP)] (artt. 3, 3 bis, 3 ter, 4, 5, 6, 7, 8, 9); il Capo terzo fa invece riguardo a ‘disposizioni in materia di offerta educativa’ (valorizzando, a prescindere da interventi di più diffusa settorialità, misure tese a rafforzare il rispetto dell’obbligo di istruzione) (artt. 10, 10 bis, 11, 12); last but not least l’ultimo Capo, il quarto, assume a bussola di orientamento le ‘disposizioni per la sicurezza dei minori in ambito digitale’ (degne di notazione, allora, le innovazioni in tema di controllo parentale nei dispositivi di comunicazione elettronica, di verifica della maggiore età per l’accesso a siti pornografici oltre che di alfabetizzazione digitale e mediatica) (artt. 13, 13 bis, 14, 15, 15 bis, 15 ter, 15 quater).
Già ad una superficiale lettura emerge un dato indiscusso: le modifiche avanzate al testo del D.P.R. 448/88 trovano spazio in un Capo – il secondo ovverosia quello finalizzato a disporre in materia di sicurezza e di prevenzione della criminalità minorile – ove nessun accenno viene indirizzato a quelle istanze educative che, da sempre, hanno configurato il quid proprium del giudizio penale minorile. Proprio giusta quel segmento riformistico, per vero, si incide sulla disciplina applicativa delle misure pre-cautelari e di quelle cautelari in una al contenimento di ricorso alla MAP (cfr. art. 6 la cui Rubrica normativa assume ‘Disposizioni in materia di contrasto dei reati commessi dai minori’) del pari apprestando un peculiare, e dalla nomenclatura “etichettante”, ‘percorso di rieducazione del minore’ (v. art. 8 dalla “distonica” ma paradigmatica Rubrica ‘Modifica al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, in materia di custodia cautelare e percorso di rieducazione del minore’; distonica in quanto l’unica interpolazione in temporibus dettata in tema di custodia cautelare è stata trasferita, ceteris paribus, nel solco dell’art. 6 testé evocato dalla legge di conversione del d.l. 123/2023; paradigmatica giacché essa significava del nesso “intimistico”, plasmato dal riformatore del 2023, fra metodiche de libertate e strumenti alternativi di risoluzione, endoprocessuale dei conflitti). Ma di ciò si discorrerà, con maggiore profondità, nell’immediatezza della trattazione ora essendo giunto il momento di declinare, benché solo per sommi capi, le coordinate degli interventi normativi finora in esclusiva adombrati.
Muoviamo, di tal che, dall’art. 6, laonde per cui. In estrema sintesi: A) il comma 1 lett. a) agevola il ricorso alla misura pre-cautelare dell’accompagnamento, a seguito di flagranza, presso gli uffici di polizia giudiziaria: mentre pre– riforma ciò era possibile alla luce del fatto di essere colto in flagranza di un delitto non colposo per il quale, in astratto, si prevede la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni ora la soglia da ultimo menzionata si attesta sui tre anni di reclusione; oltre a ciò, indipendentemente dal limite edittale de quo, si enumerano, quid nova, una serie di delitti per i quali detta cautela può essere addotta (nello specifico la lesione personale, il furto semplice, non commesso in abitazione o con strappo, il danneggiamento aggravato ex art. 635 co. 2 c.p., l’alterazione di armi e la fabbricazione di esplosivi non riconosciuti previsti dagli artt. 3 e 24 co. 1 l. 18 aprile 1975, n. 110, recante “Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi”, il porto abusivo di armi di cui all’art. 699 c.p. e, da ultimo, il porto di armi od oggetti atti ad offendere come regolato dall’art. 4 l. ult. cit.); B) il comma 1 lett. b) dispone che si possano applicare misure cautelari diverse dalla custodia cautelare in carcere a fronte della realizzazione di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni (ante riforma si discorreva di un quid non inferiore nel massimo a cinque anni); C) il comma 2 lett. b bis (introdotto dalla legge di conversione) espunge dal testo dell’art. 19 co. 5 D.P.R. 448/88 il riferimento ai delitti di cui all’art. 73 co. 5 (fatti di lieve entità) t.u. stup. – venendone che, ora, nella determinazione della pena agli effetti dell’applicazione delle misure cautelari, si tiene sempre della diminuente della minore età senza più frapporre eccezione veruna; D) il comma 1 lett. b ter (anch’esso “trapiantato” dalla legge di conversione) assume che, a fronte di gravi e ripetute violazioni di cui al collocamento in comunità o nell’evenienza di allontanamento ingiustificato da quest’ultima, il giudice possa disporre la custodia in carcere senza vincolo temporale (prima ciò interveniva “per un tempo non superiore ad un mese”) e, per logica consequenzialità da quanto “reso” sub B), laddove si proceda per un delitto per il quale in astratto si preveda la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni (in luogo dei ‘cinque’ di cui alla stesura originaria della norma di risulta ovvero l’art. 22 co. 4 D.P.R. 448/88; E) il comma 1 lett. b quater (ennesimo novum di cui alla legge di conversione) aggiunge, dopo il comma 4 dell’art. 22 ult. cit., un ulteriore alinea che così detta: “4 bis. Quando le esigenze cautelari risultano aggravate, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può disporre la sostituzione della misura cautelare applicata con la custodia cautelare, nei casi consentiti dall’articolo 23” (come osserveremo nell’immediatezza finanche esso interessato dal cosiddetto decreto Caivano); F) è difatti il comma 1 lett. c ad “agire” in corpore articuli ultimi: al punto 1 si “abbatte” da nove a sei anni la soglia a muovere dalla quale è possibile ricorrere alla custodia inframuraria (altrimenti detto ‘quando si procede per delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a sei anni’) inoltre ampliando l’elenco dei delitti giusta cui è possibile ricorrere alla custodia cautelare in carcere indipendentemente dal raggiungimento del quantum sanzionatorio or ora declinato – ‘pena della reclusione non inferiore nel massimo a sei anni’ – [fra i “nuovi eletti” si annoverano la violenza o la minaccia ad un pubblico ufficiale onde costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio (il decreto non ancora convertito legittimava quella misura altresì laddove le condotte abusive testé segnalate volgessero a forzare il compimento di un atto del proprio ufficio o servizio o, comunque, ad influire in merito) la resistenza a pubblico ufficiale nonché ogni fattispecie sanzionata ex art. 73 t.u. stup. (pre Caivano ciò non valeva per i fatti di lieve entità)]; stante il punto 1 bis si “riesuma” l’esigenza cautelare dell’essersi dato alla fuga o del sussistente concreto pericolo di darsi ad essa (detto “profilo” era stato attinto da una quaestio de legitimitate a cui esito la Corte costituzionale aveva dichiarato la non conformità al precetto, con sentenza 12 – 26 luglio 2000, n. 359, della lett. b, identicamente formulata salvo la postilla del qualificativo ‘attuale’, del secondo comma dell’art. 23; ma, essendo ciò conclamatosi per un eccesso di delega ex art. 76 Cost., stante il fatto che quest’ultima copre il dedotto – l’atto delegato – e non il deducibile – gli eventuali futuribili – il legislatore non era vincolato per l’avvenire dunque potendo, legittimamente, riproporre i contenuti della norma espunta – il che, qui, si è puntualità avverato. Sia consentito, nondimeno, sottolineare l’infortunio espressivo giacché il riformatore, novando al proposito, ha interpolato una lettera a bis nel testo del summenzionato art. 23 pur tuttavia non provvedendo a cancellare, formalmente la lett. b); G) il comma 2 lett. c punto 2 a sua volta contrae, in negativo, i termini di durata massima della custodia cautelare presso un istituto penitenziario; se, fino al settembre 2023, essi erano ridotti della metà alla luce di reati commessi da minori di anni diciotto ma maggiori di anni sedici ora la frazione di riferimento è ⅓; se, fino al settembre 2023, essi erano ridotti dei due terzi a fronte di reati commessi da minori di anni sedici ma maggiori di anni quattordici ora la frazione di computo è ½; H) ad epilogo di questa faticosa disamina il comma 1 lett. c bis, stante un improvvido coup de main di cui alla legge di conversione, interdice, novità assoluta e di cui, fra l’altro, non si sentiva l’esigenza, il ricorso alla MAP alla luce del perfezionarsi di, dettagliate, fattispecie delittuose (su ciò, nondimeno, ritorneremo a “stretto giro di posta”). Molto più lineari, a contraltare, le linee ispiratrici dell’art. 8 il quale si riduce, si fa per dire …, come già supra accennato, ad introdurre un art. 27 bis nel contesto del D.P.R 448/88, dall’inquietante Rubrica ‘Percorso di rieducazione del minore’: ma anche di ciò a breve.
Ultimato detto quadro espositivo preme, innanzitutto, giusta un approccio di maggiore criticità, stigmatizzare il “perverso” swing of pendulum fra interventi de libertate, da un canto, ed alternative al percorso procedimentale ordinario (in estrema sintesi, e consapevoli della forzatura semantica, istituti di diversion) dall’altro. Più si estende il margine di oscillazione dei primi, infatti, più, di necessità, si contrae la sfera di operatività dei secondi: un vero e proprio tug of war in merito al quale sarebbe onere di un legislatore dal prudente discernimento bilanciare gli estremi della fune de qua giusta un opportuno equilibrio. Di ciò il “tesmoteta” pare non avvertire consapevolezza o, forse, visto come si è motivato, ha fornito prova esplicita … ma valga il vero ricorrendo ad un esempio concreto, anch’esso ad origine nel decreto Caivano. Si mediti, allora, sul disposto di cui all’art. 4, comma 3, d.l. 123/2023 (ҫa va sans direche trattasi di enunciato a portata generale che trascende gli steccati di cui al processo penale minorile quantunque, per sedes materiae, all’apparenza circoscrivibile a quell’“arengo”; e ciò non è di breve momento come avremo cura di osservare …) giusta il cui tenore, per i fatti di lieve entità come descritti dall’art. 73, comma 5, t.u. stup. il tetto sanzionatorio massimo è elevato da quattro a cinque anni. La legge di conversione, da parte sua, si sente in dovere, senza affatto orientare l’interprete, di aggravare il trattamento punitivo – giusta il cumulo di reclusione da diciotto mesi a cinque anni e di multa da 2.500 a 10.329 € – nella misura in cui la condotta “assum[a] caratteri di non occasionalità”. Ora il “re è nudo”: è self-evident, invero, che l’aggravio di un anno testé significato volge a garantire il ricorso alla misura cautelare di maggiore dimensione afflittiva ovvero la custodia intra moenia. L’obiettivo è di immediata percezione per l’universo minorile giacché l’art. 23 co. 1 D.P.R., come ora modificato dall’art. 6 co. 1 lett. c punto 1 d.l. 123/2023, legittima sì, a norma generale, il ricorso alla custodia carceraria nella misura in cui si proceda per delitti non colposi per i quali è astrattamente indicata la pena della reclusione non inferiore nel massimo a sei anni ma subito deroga all’ordito de qua per una serie nominatim di illeciti penali fra cui vengono a ricomprendersi tutte (incluso, quindi, il cosiddetto ‘piccolo spaccio’ ex art. 73 co. 5 t.u. stup.) le fattispecie descritte all’articolo da ultimo evocato; per il mondo degli adulti, invece, soccorre l’art. 280 co. 2 c.p.p. giusta il cui tenore “[l]a custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni” (e per i fatti di lieve entità di interesse la pena dosata nel massimo è proprio di cinque anni). Ciò appurato vengono nondimeno a fissarsi peculiari effetti domino, forse non a sufficienza meditati, in ordine all’accessibilità a strumenti “diversivi” (nello specifico la MAP). Ora nulla quaestio con riguardo ai minorenni una volta osservato che, fra i reati ostativi (su cui a breve) a quel beneficio, come enumerati dal co. 5 bis, di nuovo conio (cfr. art. 6 co. 1 lett. c bis introdotto dalla legge di conversione del d.l. 123/2023), non rientrano i momenti sanzionati ex art. 73 co. 5 t.u. stup.; meno rassicurante, d’altro canto, lo scenario proposto per i “maggiori”. L’art. 464 bis co. 1 del codice di rito penale, dall’emblematica Rubrica ‘Sospensione del procedimento con messa alla prova’, difatti stipula che l’istanza di MAP può essere formulata nei casi di cui all’art. 168 bis c.p. Scorrendo quest’ultimo articolo si evince, dal co. 1, che ciò risulta a fronte della commissione di un reato punito con la pena edittale detentiva non superiore a quattro anni di reclusione (criterio quantitativo) mentre, nell’immediatezza, rinviando all’art. 550 co. 2 c.p.p., si estrapola altresì un “listone” a cui proposito si avalla quella richiesta indipendentemente dal fatto che sia stato soddisfatto quel tetto di pena (criterio qualitativo). Ebbene: prima del decreto Caivano il fatto di lieve entità poteva essere suscettibile di messa alla prova in quanto il massimo edittale si attestava a quattro anni (ora, con l’incremento a cinque, l’operazione di specie non è più fattibile); potrebbe allora sopperire l’elenco testé adombrato – nondimeno, in quell’eterogenea congerie di fattispecie (tra l’altro oltre misura alimentatadal d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ad oggetto “Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”, cosiddetta riforma Cartabia dalle generalità dell’allora facente funzioni di Ministro della Giustizia), non v’è traccia dell’illecito di Nostra verifica. Al postutto, laonde per cui, non si può più venire messi alla prova (a muovere dall’entrata in vigore della l. 159/2023 ovverossia dal 15 novembre dello stesso anno) giusta la realizzazione, salvo che il fatto costituisca più grave reato, di uno dei crimina previsti dall’art. 73 t.u. stup. che, per i mezzi la modalità o le circostanze dell’azione o per la qualità e quantità dell’azione, si dimostri di lieve entità: il che desta non poco sconcerto. Non per nulla, innanzi ai giudici costituzionali, pendono due questioni ad oggetto la conformità al precetto di quel disposto: la prima, sollevata dal Tribunale di Padova, in data 24 maggio 2024 ed a numero d’ordine 149, denunzia le aporie di sistema una volta osservato che l’art. 550 co. 2 c.p.p., alla lett. c, garantisce il ricorso alla MAP nelle ipotesi disciplinate dall’art. 82 co. 1 t.u. stup. (istigazione proselitismo od induzione all’uso illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), fattispecie per le quali il tetto massimo edittale è fissato in sei anni; la seconda, promossa dal Tribunale di Parma in data 31 maggio 2024, con sentenza a numero d’ordine 687, traccia, dal canto suo, un parallelismo con l’istituto regolato ex art. 131 bis c.p. ovvero l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, atout a cui è lecito ricorrere qualora si tratti di reati per cui è prevista la pena della reclusione non superiore nel minimo a due anni (ennesima innovazione dovuta alla riforma Cartabia – prima si faceva riguardo alla pena della reclusione non superiore nel massimo a cinque anni). Bref: a detta del giudice rimettente, che ciò assume con esattezza preoccupata, d’ora in innanzi sarà possibile che l’imputato goda del beneficio della non punibilità per particolare tenuità del fatto una volta commesso un fatto qualificato di lieve entità ex art. 73 co. 5 t.u. stup. (e ciò altresì laddove la fattispecie-base sia aggravata – l’art. 131 bis c.p. non pone alcun discrimine al riguardo – nonché qualora l’accadimento sia o rapsodico – caratterizzato da occasionalità – o sistematico – caratterizzato da non occasionalità; nell’un caso il minimo edittale risulta di sei mesi nell’altro di diciotto mesi, ben al di sotto dei due anni de quibus) mentre, specularmente, si osteggia, juris et de jure, l’accesso alla MAP. Con buona pace, a desolata chiosa finale, della razionalità del sistema come evincibile, in filigrana, dal testo dell’art. 3 Cost.
Pur tuttavia la MAP minorile, “fiore all’occhiello” del processo omonimo, stante le inopinate preclusioni alla sua accessibilità come fissate dall’art. 6 co. 1 lett. c bis di cui alla legge 159/2023, subisce ben altre violenze. Nel dettaglio il comma 5 bis dell’art. 28 D.P.R. 448/88, come giustappunto interpolato dall’art. ult. cit., così proclama: “[l]e disposizioni di cui al comma 1” (l’eventuale ricorso alla messa alla prova: n.d.a.) “non si applicano ai delitti previsti dall’articolo 575 del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 576, dagli articoli 609-bis e 609-octies del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 609-ter, e dall’articolo 628, terzo comma, numeri 2), 3) e 3-quinquies, del codice penale”. Più precisamente la MAP è negata ab imis fundamentis nell’evenienza di omicidio commesso I) per eseguire o per occultare un reato ulteriore oppure per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo o l’impunità di un altro reato; contro l’ascendente o il discendente avendo agito per motivi abietti o futili od adoperando sevizie od avendo agito con crudeltà o, ancora, quando è adoperato un mezzo venefico o un altro mezzo insidioso o quando vi è premeditazione; dal latitante, per sottrarsi all’arresto, alla cattura o alla carcerazione o per procurarsi i mezzi di sussistenza durante la latitanza; dall’associato per delinquere per sottrarsi all’arresto, alla cattura o alla carcerazione; in occasione della commissione dei delitti di maltrattamenti contro familiari o conviventi, di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, di prostituzione minorile, di pornografia minorile, di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne, di violenza sessuale di gruppo; dall’autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa; contro un ufficiale od agente di polizia giudiziaria, o di un ufficiale od agente di pubblica sicurezza, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio; nelle evenienze di violenza sessuale o di violenza sessuale di gruppo commesse II) nei confronti di persona della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il tutore; con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa; da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio; su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale; nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni diciotto; all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto di istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa; nei confronti di donna in stato di gravidanza; nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, o colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza; se il reato è commesso da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività; se il reato è commesso con violenze gravi o se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave; se dal fatto deriva pericolo di vita per il minore – inoltre, in esclusiva per l’ipotesi di violenza sessuale, se il fatto è commesso nei confronti di minore che non abbia compiuto il quattordicesimo anno di età (pena aumentata della metà) o se il fatto è commesso nei confronti di minore che non abbia compiuto i dieci anni (pena raddoppiata); nell’evenienza di rapina III) se la violenza che ne identifica elemento costitutivo si traduce nel porre taluno in stato d’incapacità di volere o di agire; se la violenza o la minaccia – elementi costitutivi “alternativi” del delitto di rapina – vengono poste in essere da persona che fa parte di un’associazione di tipo mafioso, anche straniera; se il fatto è commesso nei riguardi di persona ultrasessantacinquenne. Trattasi di presunzione not rebuttable, altrimenti detto non superabile con prova contraria – il che, sia detto per inciso, parrebbe rassegnare un leitmotiv dell’attuale compagine governativa [si rifletta, a mero titolo esemplificativo, sulla, per più di un verso maggiormente esiziale, ostatività di accesso ai programmi di giustizia riparativa per i detenuti ristretti in regime di “carcere duro” ex art. 41 bis l. 26 luglio 1975, n. 354, recante “Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”, d’ora in innanzi, per acronimo, l. ord. stup. – cfr., nel dettaglio, la lett. f bis co. 2 quater art. 41 bis cit. come “novata” dall’art. 7 co. 1 lett. b d.l. 4 luglio 2024, n. 92, recante “Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia”, convertito, con modificazioni, in l. 8 agosto 2024, n. 112. Anche la giustizia riparativa deve i propri natali alla cosiddetta riforma Cartabia (cfr. artt. 42-67 d. lgs. 150/2022 per la relativa disciplina organica) ivi proponendosi come indeclinabile: saranno, come in tema di MAP minorile, dove del resto quelle sperimentazioni hanno trovato humus fecondo, le successive “controriforme” a contrarne l’uso]. E ciò nonostante il fermo atteggiamento del giudice di legittimità delle leggi che, con coerenza di intenti, ha sempre osteggiato il proliferare non governato delle cosiddette presunzioni juris et de jure (si mediti sul paziente ed incessante opera di “ri-tessitura” che la Corte costituzionale ha, ad esempio, mandato ad effetto in tema di ricorso incondizionato alla custodia cautelare in carcere avverso l’esecuzione di delitti dal marcato disvalore sociale: cfr., salvo errori ed/od omissioni, le otto declaratorie di incostituzionalità che hanno interessato il comma 3, secondo e terzo periodo, dell’art. 275 c.p.p. – ora le presunzioni de quibus sono, giustappunto, juris tantum, vincibili con prova contraria altrimenti detto). E che non si tratti di mero dogmatismo dell’interprete è testimoniato dall’ennesima quaestio de legitimitate – cfr. g.u.p. presso il Tribunale di Bari, 25 marzo 2024 – per il cui tramite l’organo collegiale sconfessa la preclusione di default (automatismo presuntivo) di accesso alla MAP come venutasi a manifestare ex art. 28 co. 5 bis D.P.R. 448/88.
Le perplessità attengono finanche ad altro, beninteso. È notorio che normare per elenchi è rischioso: di certo inclusio unius exclusio alterius ma ciò non assicura del fatto che qualche estromissione possa rivelarsi di per sé solo giustificata. Si mediti, tanto per esemplificare, sui reati associativi i cui autori, stante la littera legis, parrebbero legittimati a proporre la MAP: il che risulta alquanto sorprendente una volta osservato che la percepita ‘emergenza criminalità minorile’, giusta il comune sentire, si nutre proprio della realizzazione criminosa in gruppo e non certo uti singuli. Ciò che maggiormente disturba riconduce pur tuttavia ad un ulteriore snodo focale. Il comma 1 dell’art. 28 D.P.R. 448/88, non interessato dalla novella dell’autunno 2023, nel graduare la durata della MAP a fronte della commissione di reati di diversa intensità lesiva persiste nel segnalare che “[i]l processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per un reato per il quale è prevista la pena dell’ergastolo” (la sottolineatura è nostra: n.d.a.) “o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni”. Ora è ben strano che il legislatore non abbia consapevolezza del fatto che, con riguardo ai minorenni, la pena detentiva perpetua sia ormai, da un trentennio, un non possumus (è stata la Corte costituzionale, con sentenza 27 – 28 aprile 1994, n. 168, a dichiarare la contrarietà al combinato disposto degli artt. 31 – tutela degli under ages – e 27 co. 3 – tendenzialità rieducativa della pena – degli artt. 17 e 22 c.p. nella parte in cui non escludevano l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile) e che, con un consequenziale tratto di penna, non si sia provveduto ad espungere dell’art. 28 ult. cit. quella specificazione (“dell’ergastolo”). Ciò che, però, maggiormente inquieta riconduce al momento connotativo/simbolico di tale procedere: allorquando il riformatore lascia intonso il disposto da ultimo evidenziato, al contempo interdicendo il ricorso alla MAP per delitti partitamente indicati, sta dicendo che, per questi ultimi e solo per questi ultimi, non è ipotizzabile nessuna possibilità di recupero: gli autori di omicidi violenze sessuali rapine, qualificati nei sensi di cui supra, sono irrecuperabili all’ordinato consesso sociale, altrimenti detto. Perché questo? Proprio in quanto nel “disgraziato” contesto di Caivano alcuni minorenni avevano perpetrato seriali violenze sessuali nei riguardi di ulteriori infradiciottenni: a ciò il legislatore non poteva certo replicare esonerando dalla MAP a quid unicum le ipotesi ex artt. 609 bis e 609 octies del codice penale di tal che si individuano una serie di reati “predatori”, di diffuso impatto emozionale sull’opinione pubblica, in ordine alla commissione dei quali si significa che non v’è possibilità veruna di riscatto (ma per ulteriori fattispecie delittuose, putacaso espressione di ben più intensa devianza, la diversion processuale continua a risultare esperibile). Si ragiona, tristemente, per ‘tipo d’autore’, modus procedendi del resto usuale nelle dinamiche del simbolismo pan-populistico.
Dulcis in fundo … o in cauda venenum, secondo gli orientamenti, la novità assoluta di cui all’art. 27 bis D.P.R. 448/88 ovvero il ‘percorso di rieducazione del minore’. Qui l’intervento di cui alla l. 159/2023 copre una lacuna evidente nel verso che la MAP, stante l’inequivoca Rubrica (‘Sospensione del processo e messa alla prova’) dell’art. 28 identico Decreto presidenziale, può innestarsi dal momento in cui il pubblico ministero si è determinato per l’esercizio dell’azione penale, id est a muovere dall’udienza preliminare in innanzi – pur tuttavia il legislatore, invece di estenderne l’operatività alla fase procedimentale, rappresenta un inedito che sì “ibrida” tratti della MAP minorile ma che altresì evoca contenuti della MAP per adulti nonché, da ultimo, dell’istituto regolato ex art. 27 D.P.R. ult. cit. (‘Sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto’). In estrema sintesi: α) viene previsto un doppio vaglio, ed in astratto ed in concreto, di accesso. Nei fatti il pubblico ministero può proporre di definire anticipatamente il procedimento stante le coordinate de quibus in esclusiva laddove si proceda per un reato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a cinque anni ma solo a condizione che i fatti realizzato non si dimostrino di particolare gravità; β) atteso ciò il “monopolista” dell’azione penale può (trattasi di mera facoltà a differenza di ciò che imponeva il testo del decreto-legge: “il pubblico ministero notifica …”) notificare al minore ed all’esercente la responsabilità genitoriale la proposta di definizione anticipata di cui al punto α); γ) detta proposta evidenzia come l’interessato debba accedere ad un percorso di reinserimento e di rieducazione civica e sociale sulla base di un percorso rieducativo (qui repetita non iuvant …) che preveda lo svolgimento di lavori socialmente utili, la collaborazione, a titolo gratuito, con enti del Terzo settore (il testo originario del d.l. 123/2023 parlava di ‘enti no profit’), lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità, non meglio precisata, di appartenenza; δ) la durata del percorso va da un minimo di due mesi ad un massimo di otto mesi (il d.l. 123/2023 si attestava fra uno e sei mesi, invece); ε) una volta ricevuta notifica dell’istanza si rimette, all’indagato od al suo difensore, un termine (indeclinabile) di sessanta giorni entro il quale definire il programma rieducativo depositandolo presso il pubblico ministero; quest’ultimo, nell’immediatezza, lo trasmette al giudice per le indagini preliminari (d’ora in innanzi, per acronimo, g.i.p.) che, a sua volta, fissa udienza in camera di consiglio per deliberarne l’ammissibilità/inammissibilità (molto più draconiano, all’apparenza, il decreto legge giusta il quale il termine di definizione del programma constava di trenta giorni laddove nei dieci giorni successivi – non pare, qui, nondimeno riscontrarsi alcun momento sanzionatorio nel caso di inosservanza all’inoltro – al deposito del medesimo presso la segreteria dell’organo requirente quest’ultimo doveva trasmetterlo al giudice, in quest’ultimo contesto non meglio qualificato); ζ) nell’evenienza di ingiustificata interruzione questa è valutata (se ne tiene conto …) laddove venisse avanzata istanza di sospensione del processo con messa alla prova (più intellettualmente onesta, ma clamorosamente incostituzionale – l’esito infruttuoso di una MAP, a tacer d’altro, non precludeva, né preclude post Caivano, la reiterazione dell’istanza de qua -, la formula di cui al decreto legge che, nel caso di mancata accessione al progetto o di interruzione ingiustificata di esso, escludeva l’applicazione degli artt. 28 e 29 D.P.R. ovvero “bannava” il ricorso alla messa alla prova): in altri termini si impegna il giudice a motivare, in forma rafforzata, qualora, nonostante quella precedente battuta d’arresto, ritenga ugualmente di accedere alla “mozione sospensiva”; η) da ultimo, tenuto conto del comportamento dell’imputato e dell’esito positivo del percorso rieducativo, il giudice dichiara con sentenza estinto il reato; nel caso contrario si restituiscono gli atti al pubblico ministero acciocché si determini in ordine all’esercizio dell’azione penale.
Nonostante la legge di conversione abbia smussato gli aspetti più controversi di cui al provvedimento di urgenza (su tutto le tempistiche iugulatorie di accesso al percorso rieducativo) il messaggio che informa il novum di specie è lampante: che si faccia il prima possibile, senza punto curarsi delle esigenze educative dell’interessato (e ciò nonostante la Corte costituzionale, in un suo recente leading case – Corte cost., sent. 10 giugno – 6 luglio 2020, n. 139 -, nel ribadire l’estraneità della MAP dalla fase delle indagini preliminari, abbia, con nettezza di tratto, significato che “la messa alla prova del minore evidenzia caratteristiche specularmente opposte a quella dell’adulto, poiché l’essenziale finalità rieducativa ne plasma la disciplina in senso rigorosamente personologico, estraneo ogni obiettivo di deflazione giudiziaria”.) Ben venga, sia chiaro, che si identifichi un ulteriore meccanismo che favorisca l’estromissione precoce dell’infradiciottenne dal circuito giudiziale (l’art. 27 bis opera durante le indagini preliminari e, sembrerebbe, in esclusiva in quel contesto) ma ciò non deve avvenire a discapito di quelle or ora sottolineate esigenze educative. Il legislatore, invece, mostra di intendere unicamente lo scenario repressivo: prova ne sia il fatto che, trattandosi di istituto che attecchisce nella fase procedimentale propriamente detta, il suo dominus sia il g.i.p. che, finanche nel contesto minorile, si caratterizza per monocraticità tecnica (come possa costui, privo di competenze mirate volte a sondare la dimensione personologica del rieducando, a prescindere dalla fondamentale “tessitura” rimessa ai giudici onorari laici, in tempi così circoscritti, vagliare e sottoscrivere il percorso de quo manet in alta mente retentum); prova ulteriore ne sia il fatto che, qui, non è dato evincere nessuna norma di attuazione del genere di quella ex art. 27 d. lgs. 28 luglio 1989, n. 272, a Rubrica, giustappunto, “Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”, la quale, con lodevole acribia, declina i contenuti de minimis, inderogabili in pejus, del progetto di intervento MAP evidenziando, al riguardo, gli impegni sottoscrivibile dal minorenne, dal suo nucleo familiare e dal suo ambiente di vita e, last but not least, dagli operatori della giustizia e dell’ente locale (i servizi socio-assistenziali di riferimento). Non per nulla, altresì in merito al cosiddetto “percorso rieducativo”, è già stata sollevata, dal g.i.p. presso il Tribunale per i Minorenni di Trento, in data 6 marzo u.s., un’articolata quaestio de legitimitate per asserito contrasto, una volta di più, con gli artt. 3 e 31 co. 2 Cost. Vedremo come vorrà disporsi la Consulta: o attendere il ben volere del legislatore quantunque più di un precedente non lasci bene deporre: si rifletta, a mero titolo esemplificativo, sulla vicenda poi tradottasi nella declaratoria di incostituzionalità dell’art. 73 co. 1 t.u. stup. – cfr. Corte cost., sent. 23 gennaio – 8 marzo 2019, n. 40 – nella parte in cui considerava, a minimo edittale, per il traffico di cosiddette droghe pesanti, la pena della reclusione di otto anni, “arresto” a monte del quale stava una precedente decisione di inammissibilità – Corte cost., sent. 7 giugno – 13 luglio 2017, n. 179 – giusta cui la Corte preservava sì il disposto sub judice dalla scure dell’incostituzionalità al contempo rivolgendo un pressante monito alle Assemblee parlamentari ut eveniant, monito, nondimeno, rimasto inascoltato; o dichiarare la non conformità, tout court, alla legge fondamentale dell’art. 27 bis di ; o intervenire ortopedicamente sulle componenti di maggiore asprezza del novum di legge (primo, la mancata attribuzione di competenza al collegi integrato da “cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia”, oggi qualificati dell’attributo di ‘giudici onorari esperti’ stante il testo dell’art. 6 co. 2 r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, recante “Istituzione e funzionamento del tribunale per i minorenni”, convertito, con modificazioni, in l. 27 maggio 1935, n. 835, come modificato dal d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a sua volta rubricato “Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”).
Al postutto, ed a chiosa finale, trattasi di un prodotto asfittico (nella sua compiutezza e non solo facendo riguardo all’art. 27 bis testé menzionato) che si ispira alla logica produttivistica dell’‘efficienza costi quel che costi’: e ciò senza soluzione di continuo rispetto alle linee-guida della tanto, dall’attuale Esecutivo, vituperata riforma Cartabia. Ma se ciò è fors’anche accettabile, benché con notevoli incertezze, laddove, ad oggetto di quella prospettiva, si individuino soggetti “formati e maturi” (gli adulti, in una sola parola) non pare, prima ancora eticamente che giuridicamente, sottoscrivibile qualora la posta in gioco sia rappresentata da personalità in fieri, che non hanno, a tutt’oggi, raggiunto la maggiore età, alle quali un ordinamento “accudiente” dovrebbe garantire ben altri feedbacks.
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