di Pierpaolo De Pasquale 

Quanti aiutano le donne vittime di violenza in Europa? Quanto si sta facendo per sostenere e assistere donne sottoposte a violenze fisiche? Quali sono i paesi più sensibili al dilagante fenomeno e cosa si sta facendo di concreto per contrastarlo con tempestività ed efficacia?

A rispondere a questi quesiti è il report pubblicato il mese scorso e disponibile sul sito https://www.wave-network.org (basato su dati che si riferiscono al 2016, raccolti in 46 paesi europei).

Per l’Italia il prezioso contributo di D.i.Re, rete dei centri antiviolenza che contrasta da anni la violenza sulle donne in tutta la penisola con 80 centri, ha consentito di agevolare questa “mappatura” sulle risorse che garantiscono, nei fatti, il sostegno alle donne che hanno subito violenza.

Le coordinate di questa mappa costituiscono la risposta a quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul e rappresentano, pertanto, preziosi indicatori per garantire un continuo monitoraggio sulle possibilità di accoglienza, oltre a consentire uno scambio fra le diverse realtà territoriali.

Se i numeri sono confortanti per quanto concerne la creazione dei numeri telefonici nazionali di emergenza (76%), lo stesso non si può certamente dire per quanto riguarda la gratuità degli stessi, né tanto meno per l’attivazione h24 di questo fondamentale servizio.

Cinque paesi dell’Unione Europea garantiscono il numero di posti in case rifugio previsto dalla Convenzione di Istanbul (1 ogni 10.000 abitanti), la cui firma da parte di altri paesi consentirebbe di migliorare la situazione che, allo stato attuale, è a luci e ombre.

Per quanto riguarda i numeri sulle case rifugio in Italia, i posti letto sono 680 ma si riferiscono a 50 strutture su 258 indicate come disponibili sul territorio. Queste case sono luoghi di accoglienza che garantiscono, in primis, un tetto sicuro e un pasto caldo tanto alle vittime quanto ai loro bambini, durante un ricovero che può durare anche per molto tempo.

I centri antiviolenza sono presenti in 40 paesi su 44 che hanno risposto al questionario di Wave: il network con sede a Vienna raccoglie a sé 4.000 centri antiviolenza sparsi in tutta Europa e rappresentano realtà che offrono prestazioni e metodologie diversificate.

Per il Wave questi centri, che rappresentano la prima “sicura” protezione per le donne vittime che hanno denunciato, vanno così distinti:

– centri non residenziali con servizi di sostegno psicologico e counseling, presenti in 36 paesi su 44;

– centri specializzati per donne che sono state vittime di tratta, presenti all’incirca in 15 paesi (imprecisione dovuta alla mancanza di informazione sul loro effettivo funzionamento);

– centri specializzati per donne di colore che appartengono a minoranze etniche o migranti (paesi come Austria, Regno Unito, Turchia, Serbia);

– centri antiviolenza collocati direttamente negli ospedali;

– centri di emergenza per donne che hanno subito stupro/violenza sessuale, la cui presenza è stata registrata in 17 paesi.

Per il Wave la raccolta dei dati non si è svolta certamente in un clima favorevole: infatti, l’associazione sta cercando di difendersi dall’azione reazionaria e agguerrita di 333 organizzazioni, di matrice cattolica, prolife e politica di destra, che attaccano la Convenzione di Istanbul. Per il network questi attacchi minano l’efficacia della Convenzione, la protezione delle donne e le misure adottate per prevenire la violenza. Attualmente è in corso una sottoscrizione, che supera le 333 organizzazioni conservatrici, che verrà presentata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

Questi attacchi sicuramente non aiutano a realizzare i principi universali dell’uguaglianza di genere e dei diritti umani delle donne né, di riflesso, la diffusione di realtà di sostegno e contrasto alle violenze. È un percorso senza dubbio tortuoso e faticoso da percorrere ma la tenacia di queste associazioni nazionali e territoriali fa ben sperare, anche grazie all’impegno di operatori/operatrici che lavorano incessantemente, nell’ombra, sostituendosi alle istituzioni che continuano purtroppo ad essere latenti.