PROCEDIMENTO IN ABSENTIA

La centralità del profilo oggetto di interesse risale ad una serie di “arresti” di cui alla Corte europea dei diritti umani

[v., soprattutto, i twin judgments Somogyi (Somogyi c. Italia, 18 maggio 2004) e Sejdovic (Sejdovic c. Italia, 10 novembre 2004)] stante cui il giudice alsaziano “pungolava” il legislatore italiano ad accantonare moduli di conoscenza legale (rectius, formale presuntivo) dell’incardinato giudizio a vantaggio di moduli di conoscenza effettiva del medesimo. Ad esito di un lungo travaglio normativo con l. 28 aprile 2014, n. 67 – il penultimo intervento, de jure condito allo stato registrabile (prima delle interpolazioni apportate con il d.lgs. 150/2022), nella materia che ci occupa – recante “Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili” -, con decisione “gordiana”, si è provveduto a non lasciare traccia alcuna del vocabolo ‘contumacia’ (idealtipo semantico del modulo di cui sopra), e derivati, nell’articolato codicistico del 1988 (il che giustifica, al postutto, altresì l’intervenuta espunzione dell’art. 603, comma 4, c.p.p., di cui sopra – non quindi per la lampante antinomia con l’art. 175, comma 2, medesimo codice di rito, bensì per il superamento di quel modulo processuale). Le interpolazioni rese trovano luogo nell’incessante “fioritura” di avverbi; i numerali a margine dell’art. 420 c.p.p. (da 420-bis a 420-quinquies, nel dettaglio) sono stati fatti oggetto di un vigoroso restyling. Per sommi capi: 1) l’art. 420-bis c.p.p. – ‘Assenza dell’imputato’ – stipulava, al primo comma, che si proceda in assenza dell’imputato laddove questi abbia espressamente rinunciato a partecipare alle udienze mentre il secondo comma evidenzia taluni indici stante i quali si procede ugualmente in absentia pur anche non vi sia stata alcuna manifestazione espressa, in capo all’imputato, di così motivarsi; 2) l’art. 420-ter c.p.p. – ‘Impedimento a comparire dell’imputato o del difensore’ – enumerava le ipotesi in cui i soggetti de quibus non presenzino alle udienze per caso fortuito per forza maggiore o per altro legittimo impedimento disponendo, ad effetto, il rinvio a nuova udienza oltre che la rinnovazione dell’avviso di cui all’art. 419, comma 1, c.p.p. (fissazione dell’udienza preliminare); 3) l’art. 420-quater c.p.p. – ‘Sospensione del processo per assenza dell’imputato’ – assicurava che, in difetto delle condizioni di cui agli articoli che immediatamente precedono, “il giudice rinvi[i] l’udienza e dispong[a] che l’avviso sia notificato all’imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria” venendone che tutte le pre-condizioni regolate ex art. 420-bis c.p.p. onde procedere in assenza riconducono ad una piena conoscenza personale (o ad un “documentato” rifiuto) della chiamata in giudizio. Laddove ciò fosse inesigibile “il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo nei confronti dell’imputato assente”; 4) ad allora norma di chiusura l’art. 420-quinquies c.p.p. – ‘Nuove ricerche dell’imputato e revoca della sospensione del processo’ – ove si dettava che, alla scadenza di un anno dalla pronuncia dell’ordinanza sospensiva, “o anche prima quando se ne ravvisi l’esigenza, il giudice dispone nuove ricerche dell’imputato per la notifica dell’avviso” E così via seguitando fintanto che il procedimento non abbia ripreso il suo corso “regolare” – quanto precede rileva anche in fase di giudizio ordinario di primo grado (cfr. il conservato rinvio alla disciplina de qua ex art. 484-bis, comma 2, c.p.p.). A livello ripristinatorio/riparatorio, infine, viene in gioco l’art. 629-bis c.p.p., come introdotto dalla l. 23 giugno 2017, n. 103, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”, a Rubrica ‘Rescissione del giudicato’ (l’istituto di specie era comunque già governato a muovere dal 2014 pur se giusta una diversa collocazione sistematica – v. art. 625-ter c.p.p. poi, ovviamente, abrogato dalla novella del 2017) stante cui il condannato in assenza può ottenere, giustappunto, la rescissione del giudicato, con consequenziale trasmissione degli atti al giudice di primo grado, “qualora provi che l’assenza è stata dovuta ad un incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo”. Di necessità è cancellato in parte qua il disposto di cui all’art. 175, comma 2, c.p.p. ove si garantiva un diritto incondizionato all’impugnazione avverso la sentenza contumaciale.

Già all’evidenza risalta il vero punctum dolens di quel novum disciplinare ovvero la qualifica da assegnare a quegli “indici di conoscenza” ex art. 420-bis, comma 2, c.p.p. (nello specifico, la dichiarazione od elezione di domicilio; l’applicazione di misure precautelari che abbiano sfociato nell’udienza di convalida o la sottoposizione a misura cautelare; la nomina di un difensore di fiducia) che, nei fatti, parificano quei momenti alla rinuncia espressa a presenziare alle udienze. Invero quelle disposizioni sono suscettibili di letture antitetiche: “se si parte dal presupposto della discontinuità nel nuovo sistema di processo in absentia rispetto all’ordinamento che valorizzava principalmente la regolarità formale delle notifiche, e quindi che si debba procedere soltanto nel caso di prova della piena consapevolezza dell’imputato, … gli “indici di conoscenza” (nomina difensore di fiducia, elezione di domicilio, applicazione di misura cautelare) di cui … hanno una data interpretazione. Se, invece, si parte dal ricercare una continuità rispetto alla tradizione del sistema legale delle notifiche … ed al sistema della contumacia e della restituzione nel termine pre 2005 le stesse disposizioni che vorrebbero semplificare la individuazione di casi che offrono la prova indiretta della conoscenza effettiva diventano invece (o tornano ad essere) delle insuperabili presunzioni” (così le Sezioni Unite – Cass. SS.UU., n. 23948/2020 – dell’organo di nomofilachia). Investite difatti di un ricorso ad oggetto una questione più circoscritta, ovvero se “, ai fini della pronuncia della dichiarazione di assenza di cui all’art. 420-bis cod. proc. pen., integri di per sé presupposto idoneo l’intervenuta elezione da parte dell’indagato di domicilio presso il difensore nominatogli o, laddove non lo sia, possa comunque diventarlo nel concorso di altri elementi indicativi con certezza della conoscenza del procedimento o della volontaria sottrazione alla predetta conoscenza del procedimento o di suoi atti”, esse, dopo avere ripercorso, con ammirevole dedizione, la microstoria dei vari steps, normativi e para-normativi, che si è avuto cura di compendiare, allargano il tiro sancendo sì, a risposta del quesito proposto, che “La sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’articolo 420-bis cod. proc. pen., dovendo il giudice in ogni caso verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso” ma, a chiosa, aggiungendo che “l’art. 420-bis, comma 2, cod. proc. pen., nell’ottica di una comprensibile “facilitazione” del compito del giudice, ha tipizzato dei casi in cui, a fini della certezza della conoscenza della vocatio in ius, può essere valorizzata una notifica che non sia stata effettuata a mani proprie dell’imputato. Letto nel contesto della disposizione, quindi, l’aver eletto domicilio, l’essere stato sottoposto a misura cautelare, aver nominato il difensore di fiducia, sono situazioni che consentono di equiparare la notifica regolare non a mani proprie alla effettiva conoscenza del processo. Non si tratta, quindi, di una presunzione che consenta di ritenere conosciuto il processo e non più necessaria la prova della notifica, ma di casi in cui, nelle date condizioni, è ragionevole ritenere che l’imputato abbia effettivamente conosciuto l’atto regolarmente notificato secondo le date modalità”. E ciò tanto più considerando che l’art. 420-quaterc.p.p. “prevede che, quando il giudice non abbia raggiunto la certezza della conoscenza della chiamata in giudizio da parte dell’imputato, deve disporre la notifica «personalmente ad opera della polizia giudiziaria». La disposizione, quindi, dimostra come il sistema sia incentrato esclusivamente sulla effettività” (il grassetto corsivo è Nostro: n.d.a.) “di tale conoscenza, senza alcun presunzione”.

La riforma Cartabia interviene energicamente, nel solco tracciato dallo jus praetorium, sottoscrivendo l’abbandono di quei momenti prima facie presuntivi testé denunziati. Ora “Se l’imputato, libero o detenuto, non è presente all’udienza, il giudice procede in sua assenza a) quando l’imputato è stato citato a comparire a mezzo di notificazione dell’atto a mani proprie o di persona da lui espressamente delegata al ritiro dell’atto; b) quando l’imputato ha espressamente rinunciato a comparire o, sussistendo un legittimo impedimento ai sensi dell’articolo 420-ter, ha rinunciato espressamente a farlo valere. Il giudice procede in assenza dell’imputato anche quando ritiene altrimenti provato che lo stesso ha effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza all’udienza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole. A tal fine il giudice tiene conto delle modalità della notificazione, degli atti compiuti dall’imputato prima dell’udienza, della nomina di un difensore di fiducia e di ogni altra circostanza rilevante. Il giudice procede in assenza anche fuori dei casi di cui ai commi 1 e 2, quando l’imputato è stato dichiarato latitante o si è in altro modo volontariamente sottratto alla conoscenza della pendenza del processo” (cfr. commi 1, 2 e 3 dell’art. 420-bis c.p.p.) evenienze nelle quali il giudice dichiara, con ordinanza, l’imputato assente, ordinanza nondimeno revocabile se l’imputato compare prima della decisione finale o se essa era stata emanata in difetto delle condizioni che ne giustificano l’adozione (cfr., a tale riguardo, i commi 6 e 7 dell’art. 420-bis del codice di rito penale). Mentre il novum addotto al disposto dell’art. 420-ter c.p.p. si rivela, a bene vedere, poco significativo dirompente, invece, appare la modifica intervenuta sul dettato dell’immediatamente a seguire art. 420-quater. Ripudiato il modulo sospensivo del processo di cui alla l. n. 67 del 2014 oggi ci si orienta, se l’imputato non è presente, per un’inedita (quantomeno in sede di udienza preliminare ove si rendono decisa di non luogo …) sentenza di non doversi procedere, tra l’altro inappellabile, “per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato” (ça va sans dire, al di fuori dei casi previsti dagli artt. 420-bis e 420-ter). Se, poi, la persona nei cui confronti è stata emessa la sentenza de qua non sia stata rintracciata entro un determinato termine (ovvero il doppio dei termini di prescrizione “consegnati” per il/i reato/i di cui al/i capo/i di imputazione ex artt. 157 e 159, u.c., del codice penale) quell’ultima non può più venire revocata. Alquanto inquietantemente, pur tuttavia, ci si affretta a soggiungere che, in deroga a quanto normato dall’art. 300 c.p.p. (giusta cui le misure cautelari perdono efficacia quando, nei confronti di un determinato soggetto ed avendo riguardo ad un fatto specifico, venga, fra l’altro pronunziata, sentenza di non luogo a procedere … ma attenzione! qui si discorre di sentenza di non doversi procedere) “le misure cautelari degli arresti domiciliari e della custodia in carcere perdono efficacia solo quando la sentenza non è più revocabile …”. Del pari, in deroga a quanto disposto dagli articoli 262, 317 e 323 (idem dicasi rinviando all’antecedente parentetico), “gli effetti dei provvedimenti che hanno disposto il sequestro probatorio, il sequestro conservativo e il sequestro preventivo permangono fino a quando la sentenza non è più revocabile …”. Poco da dire, infine, sui vigenti artt. 420-quinquies e 420-sexies c.p.p. (quest’ultima l’attuale norma di chiusura del sistema) riscritti, od introdotti ex novo, per mere esigenze di coordinamento con quanto precede. Infine qualche accenno de minimis alla rescissione del giudicato. Ferma restando la ratio ispiratrice a giustifica del novum – ovvero la necessità di un rimedio finalizzato all’erosione di un giudicato sostanzialmente illegittimo giacché pronunciato nei riguardi di un soggetto che non aveva avuto legale ed effettiva cognizione del procedimento a suo carico – va segnalata la predisposizione di un termine, trenta giorni dal momento dell’avvenuta conoscenza della sentenza, entro il quale investire (sembrerebbe a pena di inammissibilità) la corte di appello nel cui distretto ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento della richiesta in merito. Ciò, ci viene detto, all’obiettivo di garantire la stabilità delle situazioni giuridiche: efficienza a discapito del pieno svolgersi delle garanzie, more solito.

RITI ALTERNATIVI

L’auspicato “efficientamento” del sistema penale non può che impattare sulla disciplina dei cosiddetti riti semplificati (quelli in cui tutto epiloga in sede di udienza preliminare o viene ad anticiparsi il dibattimento). Vediamone allora, per sommi capi, le modifiche più significative facendo riguardo ad ogni singola tipologia proposta.

  1. Giudizio abbreviato: in primo luogo si disciplina la possibilità di rinnovo, in limine al dibattimento, della richiesta di abbreviato illegittimamente rigettata o dichiarata inammissibile durante l’udienza preliminare nel qual caso il giudice ammette il rito (prima della riforma – rimedio ancora consentito, nondimeno – ciò valeva in esclusiva allorquando l’istanza di specie fosse stata dichiarata inammissibile a fronte di un reato punibile con l’ergastolo ed il giudice, ad esito del dibattimento, ritenesse che, per il fatto accertato, fosse ammissibile il giudizio abbreviato così facendosi luogo alle contemplate riduzioni di pena). In merito alla richiesta di giudizio abbreviato condizionata ad un’integrazione probatoria se in passato quella, oltre a dovere essere necessaria ai fini della decisione, doveva mostrarsi “compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento”, ora la modifica recepisce il criterio prognostico e relazionale di cui alla legge delega (e, prima ancora, il diffuso orientamento giurisprudenziale) che impone di mettere in rapporto il supplemento probatorio de quo con la realizzazione di “una economia processuale, in relazione ai prevedibili tempi dell’istruzione dibattimentale” (così le modifiche al testo dell’art. 438 c.p.p.). Infine, ed è forse la modifica di maggiore impronta, se né l’imputato né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena, già “scontata” per la scelta del rito, è ulteriormente ridotta di un sesto in executivis (art. 442, comma 2-bis, c.p.p.). Ora, al di fatto che nulla osta a che una sentenza di condanna ad esito di un giudizio di primo grado possa essere riformata in melius in seconde cure e a prescindere dalle opportunità di cui al concordato anche con rinuncia ai motivi di appello ex 599-bis c.p.p., il che rende ben poco appetibile l’opzione di specie, non ci pare “etico” subordinare l’accoglimento di un beneficio premiale al mancato esercizio di un proprio diritto (modus agendi ritorsivo, tanto più considerando la “vulnerabilità” del soggetto che ne è destinatario, a tacer d’altro);
  2. applicazione della pena su richiesta delle parti: ora l’accordo tra imputato e pubblico ministero può estendersi alle pene accessorie ed alla loro durata oltre che alla confisca obbligatoria al suo oggetto ed al suo ammontare (art. 444, comma 1, secondo periodo, c.p.p.). Inoltre “la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile. Se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di legge diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna. Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna” (così il nuovo testo dell’art. 445, comma 1-bis, c.p.p.). Trattasi di modifica di importanza cardinale: è chiara la volontà di ridurre, fino ad azzerarli (ora l’inefficacia si estende finanche ai giudizi disciplinari, tributari e contabili, invero) gli effetti extra-penali della sentenza patteggiata, in primo luogo in ordine alla rilevanza probatoria del fatto storico di cui a quel micro-accertamento. Su tutto, nondimeno, il fatto che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (d’ora in innanzi, per comodità espressiva, sentenza di patteggiamento) rimane equiparabile ad una pronuncia di condanna esclusivamente nell’ambito penalistico, sostanziale e processuale, e perde tale qualità al di fuori di esso: di tal che vengono meno tutti gli altri effetti che originano dall’applicazione di leggi diverse da quelle penali che, giustappunto, equiparano la sentenza di patteggiamento a quella di condanna (si pensi, tanto per esemplificare, alla normativa ad oggetto l’incandidabilità o la partecipazione a pubblici concorsi, momenti “disciplinari” tutt’affatto che laterali, come è agevole verificare);
  3. giudizio immediato: le modifiche si accentrano eminentemente avendo riguardo all’innesto dei riti alternativi premiali (giudizio abbreviato ed applicazione della pena su richiesta delle parti) sul giudizio immediato. In ordine alla prima ritualità il giudice deve fissare, in ogni caso, udienza in camera di consiglio per la valutazione della richiesta (cfr. art. 428, comma 2, c.p.p.) giusta ciò, a detrimento di precedenti letture giurisprudenziali riduttive, implicandosi una censura alla prassi di provvedimenti di rigetto de plano (il tutto onde salvaguardare il pieno esplicarsi del diritto di difesa in un tale contesto). A mente dei successivi commi 2-bis e 2-ter, peraltro, “se il giudice rigetta la richiesta di giudizio abbreviato di cui all’articolo 438, comma 5, l’imputato, alla stessa udienza, può chiedere il giudizio abbreviato ai sensi dell’articolo 438, comma 1, l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 oppure la sospensione del procedimento con messa alla prova” laddove. “se non è accolta alcuna richiesta di cui al comma precedente, il giudice rimette le parti al giudice del dibattimento, dandone comunicazione in udienza alle parti presenti o rappresentate” anche qui confermando, a livello normativo, prassi ormai invalse fra i pratici del diritto. In merito al patteggiamento dispone, in un’ottica del tutto sovrapponibile a quella testé rappresentata, il nuovo art. 458-bis p.p. stante il cui contenuto “Nel caso di dissenso da parte del pubblico ministero o di rigetto della richiesta da parte del giudice, l’imputato, nella stessa udienza,” (id est, quella fissata in ogni caso per la decisione) “può chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova oppure il giudizio abbreviato ai sensi dell’articolo 438. Se il giudice dispone il giudizio abbreviato, si applica l’ultimo periodo del comma 2 dell’articolo 458. Nel caso di rigetto delle richieste, si applica l’articolo 458, comma 2-ter” (v. art. 458-bis, comma 2, identico codice di rito);
  4. procedimento per decreto: corpose le modifiche arrecate all’art. 459 c.p.p. In primo luogo il termine (pur tuttavia di natura ordinatoria) attribuito al pubblico ministero per formulare richiesta di emissione di decreto penale di condanna è stato esteso da sei mesi ad un anno. Alla luce del comma 1-bis, secondo periodo, del medesimo articolo il valore giornaliero della pena pecuniaria sostitutiva, fermo restandone l’ammontare nel minimo (5 Euro), viene elevato, nel massimo, da 75 Euro a 250 Euro, con buona probabilità in maggiore coerenza con il principio di individualizzazione del trattamento sanzionatorio (anche se non sarà facile, per il giudice competente a decidere, operare una razionale ed individualizzata valutazione di congruità sulla dosimetria della pena). Il nuovo quarto periodo del medesimo articolo, a sua volta, individua un ulteriore meccanismo di sostituzione giusta il quale, “se l’indagato, prima dell’esercizio dell’azione penale” (ovvero, nel caso di specie, prima della richiesta del decreto penale di condanna), “presentando il programma di trattamento elaborato dall’ufficio di esecuzione penale esterna con la relativa dichiarazione di disponibilità dell’ente”, può instare per il lavoro di pubblica utilità (quantunque riesca difficile supporre che l’indagato possa tempestivamente anticipare la richiesta monitoria di cui al pubblico ministero). Molto saggio, allora, il correttivo descritto al comma 1-ter di nuovo conio secondo cui “Quando è stato emesso decreto penale di condanna a  pena pecuniaria sostitutiva di una pena detentiva, l’imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, nel termine di quindici giorni dalla notificazione del  decreto,  può  chiedere  la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 56-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689, senza formulare l’atto di opposizione. Con l’istanza, l’imputato può chiedere un termine di sessanta giorni per depositare la dichiarazione di disponibilità dell’ente o dell’associazione di cui all’articolo 56-bis, primo comma, e il programma dell’ufficio di esecuzione penale esterna. Trascorso detto termine, il giudice che ha emesso il decreto di condanna può operare la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità.  In difetto dei presupposti, il giudice respinge la richiesta ed emette decreto di giudizio immediato”. Sottoscrivendo il meccanismo “ritorsivo” supra censurato in ordine al giudizio abbreviato il decreto penale di condanna, fra le molteplici altre cose, deve contenere “l’avviso che può essere effettuato il pagamento della pena pecuniaria in misura ridotta di un quinto, nel termine di quindici giorni dalla notificazione del decreto, con rinuncia all’opposizione” [così, ora, l’art. 460, comma 1, lett. h-ter), c.p.p.]. E qui un “bel tacer non fu mai vano …;
  5. sospensione del procedimento con messa alla prova: una prima modifica, di non breve momento, attiene al fatto che finanche il pubblico ministero potrà “stimolare”, con una sua proposta, l’imputato a formulare la MAP (entro un termine non superiore a venti giorni, se l’esercente l’azione penale ha avanzato la suddetta in udienza, egli dovrà formalizzarne i contenuti) (così l’art. 464-bis, c.p.p.). Con tale novità si intende valorizzare la cosiddetta MAP processuale (da presentarsi, a pena di decadenza, sino al momento delle conclusioni rese in sede di “nuova” udienza pre-dibattimentale ex art. 554-bis c.p.p.) da distinguere, per così dire, dalla MAP procedimentale giusta il testo del neo-introdotto art. 464-ter.1 c.p.p. stante il cui primo comma, primo periodo, “Il pubblico ministero, con l’avviso previsto dall’articolo 415-bis, può proporre alla persona sottoposta ad indagini la sospensione del procedimento con messa alla prova, indicando la durata e i contenuti essenziali del programma trattamentale”. I commi successivi “procedimentalizzano” gli steps a co-protagonisti l’organo requirente e l’indagato/imputato nel verso che, “Nel caso previsto dal comma 1, entro il termine di venti giorni, la persona sottoposta ad indagini può aderire alla proposta con dichiarazione resa personalmente o a mezzo di procuratore speciale, depositata presso la segreteria del pubblico ministero. Quando la persona sottoposta ad indagini aderisce alla proposta, il pubblico ministero formula l’imputazione e trasmette gli atti al giudice per le indagini preliminari, dando avviso alla persona offesa dal reato della facoltà di depositare entro dieci giorni memorie presso la cancelleria del giudice. Nel caso previsto dal comma 3, il giudice per le indagini preliminari, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129 e quando ritiene che la proposta del pubblico ministero cui ha aderito l’imputato sia conforme ai requisiti indicati dall’articolo 464-quater, comma 3, primo periodo, richiede all’ufficio di esecuzione penale esterna di elaborare il programma di trattamento d’intesa con l’imputato. Nel caso previso dal comma 4, l’ufficio di esecuzione penale esterna trasmette al giudice entro novanta giorni il programma di trattamento elaborato d’intesa con l’imputato. Quando lo ritiene necessario ai fini della decisione, il giudice per le indagini preliminari fissa udienza ai sensi dell’articolo 127. Il giudice, se ritiene opportuno verificare la volontarietà della richiesta, dispone la comparizione dell’imputato. Il giudice, valutata l’idoneità del programma trattamentale elaborato ai sensi del comma 5, eventualmente integrato o modificato con il consenso dell’imputato nel corso dell’udienza prevista dal comma 6, dispone con ordinanza la sospensione del procedimento con messa alla prova. Pare evidente come le interpolazioni de quibus dimostrino un più accentuato volgersi alla risoluzione partecipata/condivisa del procedimento penale (del resto ciò appare del tutto funzionale ad un’impostazione efficientistica degli input di specie) onde evitare il saturarsi della fase dibattimentale che dovrà ridursi, secondo la ratio legis di cui al prodotto normativo del 2022, a luogo giudizialmente circoscritto all’accertamento dei cosiddetti hard cases (e che questo sia nondimeno il trend dominante è testimoniato da dati recenti giusta i quali, a fronte di all’incirca 900.000 casi definiti o con l’archiviazione o con l’esercizio dell’azione penale, ben il 48% epilogano con il non agire laddove, del restante 52%, il 25% riconduce alla citazione diretta a giudizio innanzi al tribunale in composizione monocratica, il 18% valorizza, giustappunto, i riti alternativi e solo il 9% si “nutre” del rinvio a giudizio ordinario).

Impalpabili, at last, gli “emendamenti” di cui alla disciplina del giudizio direttissimo (artt. 449-452 c.p.p.).