In precedenti contributi (cfr., in tempi a noi prossimi, ex multis, M. Deganello, Il processo penale minorile nella “stretta” del populismo riformatore: brevi osservazioni sul cosiddetto decreto Caivano, www.associazionelaic.it, 18 dicembre 2024; Id., Prime “crepe” nel modello ‘Caivano’: l’incostituzionalità (già prima facie self evident) dell’art. 27 bis d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448, www.associazionelaic.it, 25 marzo 2025; Id., Ancora “Caivano”: a margine di una recentissima pronuncia ablativa del giudice costituzionale qualche breve considerazione di sistema, www.associazionelaic.it, 21 luglio 2025) chi scrive aveva rassegnato sconsolate osservazioni sull’evoluzione/involuzione dell’apparato processualpenalistico minorile – muovendo dalle epocali incidenze, ad oggetto il D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, recante “Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”, determinate a seguito dell’entrata in vigore del d.l. 15 settembre 2023, n. 123, recante “Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale” (cosiddetto decreto Caivano), convertito, con modificazioni, in l. 13 novembre 2023, n. 159, si era, nevvero, tentativamente abbozzata una prima verifica sulle “sorti magnifiche e progressive” (sia chiaro: in prospettiva ironica come, del resto, già addotto dal poeta di Recanati valorizzando quell’espressione sebbene in contesti ben altri) della giustizia penale a misura di infradiciottenne. Dal particolare al generale, di tal che: è ora giunto il momento di declinare l’auspicato quadro di insieme (benché slabbrato e cincischiato).
L’occasione per meditare al proposito è dovuta ad una recente esternazione del senatore Matteo Salvini a detta del quale ‘i minorenni, autori di reati, debbono essere trattati alla identica stregua degli adulti’. Benissimo: nondimeno è opportuno, in via di approccio preliminare, interrogarsi sull’effettivo significato di quanto assunto giacché, a bene vedere, under ages ed over ages sono trattati, e non da oggi, allo stesso modo. Sia gli uni che gli altri, difatti, possono commettere, astrattamente parlando, i medesimi illeciti che il legislatore penale intende qualificare come tali (a nostra contezza non è dato riscontrare reati “propri” ad unico autore il minorenne; poi, sine dubio, per mandarne ad effetto taluni è necessaria una certa calliditas di cui l’infradiciottenne-tipo non è provvisto … ma ciò è tutt’altro discorso rispetto a quanto è oggetto di indagine); entrambe le macro-classi nozionali de quibus, a fronte di un elevato capo di imputazione, sono destinatarie di eguale verifica con riguardo alla loro supposta responsabilità (formazione della prova, in contraddittorio tra le parti, dinnanzi a giudice terzo ed imparziale) – e le si condanna, ambedue, solo se la colpevolezza è accertata al di là di ogni ragionevole dubbio (cfr. art. 533, comma 1, primo periodo, applicabile finanche al rito minorile giusta la clausola di sussidiarietà espressa ex art. 1, comma 1, primo periodo, D.P.R. 448/88: “Nel procedimento a carico di minorenni si osservano le disposizioni del presente decreto e, per quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale”); infine il ventaglio sanzionatorio all’uopo predisposto è del tutto sovrapponibile [reclusione e multa ad esito di condanna per delitti; arresto ed ammenda ad esito di condanna per contravvenzioni; quadro, da ultimo, integrato stante le pene sostitutive delle pene detentive brevi – cfr., in ordine a ciò, l’art. 20 bis c.p., da un lato, e l’art. 30 D.P.R. 448/88, dall’altro, come rispettivamente, introdotto e modificato dal D. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, a Rubrica normativa “Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari” (cosiddetta riforma Cartabia, dalle generalità dell’allora facente funzioni di Ministro della Giustizia)] fatta eccezione per la pena perpetua la cui fruibilità nell’“ambiente” minorile è stata ritenuta, per ragioni facilmente intuibili, difforme dalla Carta fondamentale (v. Corte cost., sent. 27 – 28 aprile 1994, n. 168, di declaratoria di incostituzionalità degli artt. 17 e 22 c.p. nella parte in cui non escludono l’applicabilità della pena dell’ergastolo al minore imputabile) – di ciò sembra non essersi avveduto il legislatore che, nell’interpolare alcune disposizioni di cui al mini-codice processuale penale minorile del 1988, non ha provveduto ad espungervi il rinvio [cfr. l’art. 19, comma 4, D.P.R., come modificato dall’art. 6, comma 1, lett. b), d.l. 123/2023, secondo il cui testo “Le misure diverse dalla custodia cautelare possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo” (la sottolineatura è Nostra: n.d.a.) “o della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni”; o, ancora, l’art. 23, comma 1, primo periodo, D.P.R. cit., come modificato dall’art. 6, comma 1, lett. c), decreto Caivano, giusta il cui tenore “La custodia cautelare può essere applicata quando si procede per delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo” (anche questa sottolineatura è Nostra: n.d.a.) “o della reclusione non inferiore nel massimo a sei anni” – novità dall’imprinting marcatamente connotativo, ci si consenta di aggiungere]. Rebus sic stantibus, laddove tout se tient, deve esserci qualcosa d’altro che anima quanto osservato dal titolare del dicastero delle infrastrutture e dei trasporti: e questo ‘altro’ non può che essere ricondotto alla dosimetria della pena ovvero, detto meno aulicamente, al quantum sanzionatorio da prevedersi, in astratto, e da irrogarsi, in concreto. Ma, anche qui, intendiamoci bene: che a commettere un furto una violenza sessuale un omicidio e via seguitando sia un minore od un maggiore l’entità di retribuzione (il giusto fio …) è sempre compresa tra un minimo ed un massimo edittale (di identica “fattura”, per di più): quegli estremi non mutano di cifra se autore dello scelus sia un minorenne piuttosto che, putacaso, chi abbia compiuto il diciottesimo anno di età. Forse, allora, ciò che turba il noto esponente politico di cui sopra riconduce ad un ulteriore profilo, id est al fatto che, qualora autore di reato sia un under age capace di intendere e di volere, la pena, ex art. 98 c.p., è diminuita (senza specificazione veruna). Proprio qui, ovvero nell’automatismo per cui la pena ex lege si riduce (senza nessun margine valutativo rimesso alla discrezionalità del giudice … ma non riteniamo che sia questo ciò che vuole il Vicepresidente del Consiglio dei Ministri), si annida, di modo che, il trattamento differenziato fra minorenni e maggiorenni – e bene fa (quantunque con comunicazione verbale “atona”) Matteo Salvini a rimarcarlo. Pur tuttavia è la legge, e non solo essa, come a breve osserveremo, ad esigerlo [fra l’altro l’evidenziata attitudine benevola è, comunque, espressione di un paradigma consolidato. Archetipicamente, infatti, la durata massima dei termini della misura cautelare maggiormente invasiva de libertate, ovverossia la custodia cautelare, sono ridotti di un terzo per i reati commessi da minori degli anni diciotto e della metà per quelli commessi da minori degli anni sedici – cfr. art. 23, comma 3, D.P.R. 448/1988, come modificato dall’art. 6, comma 1, lett. c, n. 2), d.l. 123/2023 – ante riforma detto occhio di favor si mostrava vieppiù evidente in quanto per i reati commessi da minori degli anni diciotto la riduzione era della metà laddove, per i reati commessi da minori degli anni sedici, la frazione indicata si attestava ai due terzi]. La disuguaglianza in natura, innegabile nei fatti, tra ultra ed infradiciottenne, riconosciuta in quanto tale, e non potrebbe essere altrimenti, finanche dalla sovrastruttura di cui al diritto, deve, in quest’ultimo, bilanciarsi non potendo ulteriormente essere alimentata da tratti distintivi odiosi. Altrimenti detto: l’art. 3 della Costituzione non dice affatto, e si soffrirebbe di eccessiva naïveté se così ci si disponesse a fare, che tutti sono/siamo uguali; invero esso riconosce le differenze esperienziali, nell’immediatezza cionondimeno soggiungendo che queste non possono fondarsi su criteri discretivi “imbarazzanti” del genere del sesso della razza della lingua della religione delle opinioni politiche e, catch-all clause finale, delle condizioni personali e sociali (la sottolineatura è Nostra: n.d.a.), inciso in cui, ben a pieno titolo, può ricondursi l’età (quale condizione personale maggiormente significativa di essa …). E ciò tanto più considerando che l’art. 27, comma 3, Cost., esige che la pena non si declini stante trattamenti contrari al senso di umanità e che, unico finalismo esplicito/esplicitato, essa tenda alla rieducazione. Il che, se ciò vale per i maggiori, a fortiori dovrebbe imporsi per i minori: come bene effigia Stefano Anastasia, garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà per la regione Lazio: “la durata della pena non è uguale per tutti, è commisurata all’età e all’esperienza di ciascuno, perché due anni di pena a 17 sono una parte considerevole della vita, mentre a sessanta sono una parte molto minore. La pena detentiva coi minori deve essere ridotta ad extrema ratio …”.
Sarebbe, forse, allora intellettualmente più onesto muoversi lungo la dorsale dell’abbassamento della soglia di imputabilità (ad oggi fissata, ex art. 97 c.p., al compiersi del quattordicesimo anno di età). Nondimeno ciò si fonda su di un inespresso e su di un equivoco. Da un lato la communis opinio vocifera che putacaso un tredicenne, autore di un fatto sussumibile sub specie di norma incriminatrice, andrebbe esonerato da ogni intervento responsabilizzante. Ma ciò non è affatto corrispondente al vero: qui la sanzione (rectius, il trattamento) meramente si specializza verso qualcosa che è estraneo alla legge penale – il tredicenne, e l’ancora più giovane, omicida, ad esempio, verrà affidato ai servizi sociali, con tutti gli annessi e connessi del caso, onde individualizzare the just desert di maggiore rispondenza. Giusta il profilo dell’equivoco chi in quel modo si motiva sottoscrive quanto impresso dall’Associate Justice Antonin Gregory Scalia nel noto caso Stanford v. Kentucky [492 U.S. 361 (1989)] giusta cui la Corte Suprema Federale statunitense ritenne conforme al testo fondamentale (la Costituzione USA) applicare la pena di morte nei riguardi di sedicenni o di diciassettenni al momento della commissione del fatto [detto precedente è stato overruled: cfr. Roper v. Simmons, 543 U.S. 551 (2005) stante cui la Corte ha provveduto a dichiarare l’illegittimità costituzionale della death penalty in quanto applicata, in sé e per sé, quindi, nei confronti di soggetti infradiciottenni]. Cedendo la penna all’illustre Brethren: “[t]here is also no relevance to the laws cited by petitioners and their amici which set 18 or more as the legal age for engaging in various activities, ranging from driving to drinking alcoholic beverages to voting. It is, to begin with, absurd to think that one must be mature enough to drive carefully, to drink responsibly, or to vote intelligently, in order to be mature enough to understand that murdering another human being is profoundly wrong, and to conform one’s conduct to that most minimal of all civilized standards. But even if the requisite degrees of maturity were comparable, the age statutes in question would still not be relevant. They do not represent a social judgment that all persons under the designated ages are not responsible enough to drive, to drink, or to vote, but at most a judgment that the vast majority are not. These laws set the appropriate ages for the operation of a system that makes its determinations in gross, and that does not conduct individualized maturity tests for each driver, drinker, or voter”. Ma é proprio la modalità di equiparazione di cui a Justice Scalia ad essere “assurda”. Con l’abilità universalmente riconosciutagli il giudice italo-americano mette sullo stesso piano grandezze, a bene vedere, incommensurabili: da un lato votare guidare assumere bevande alcooliche (il tutto modulato giusta i tratti distintivi dei “beneficiati”) dall’altro comportarsi a norma ovvero, citando ad litteram Justice Scalia, “essere a sufficienza maturi onde comprendere che uccidere una persona è profondamente ingiusto venendone, di tal che la necessità di conformarsi agli standards minimi dell’ordinato vivere civile”. Non è chi non veda, però, come votare guidare assumere bevande alcooliche e via seguitando vengano a qualificarsi come diritti laddove conformarsi a norma, invece, si atteggi a dovere: e, consequenzialmente, è fatto notorio che metabolizzare un diritto è ben più di immediata sottoscrizione che metabolizzare un dovere. Ma al di là di ciò, e diciamocela tutta, qui non si sta riflettendo in ordine alla posizione giuridica a cui ricondurre determinati moda agendi quanto piuttosto sulla “giustezza” del sanzionare una condotta valutata difforme dai principi di cui all’ordinamento con una tipologia di pena x(o, ancor prima, segnalando la necessità dell’intervento penale in luogo di quello extrapenale) o con una tipologia di pena y. Ed è proprio su detta linea di displuvio che viene ad incentivarsi quella contraddizione che né Justice Scalia né i fautori dell’abbassamento della soglia di imputabilità paiono cogliere.
Ma è finanche la scienza, con la sua ancora maggiore attrattività, a ciò sottoscrivere. La proposta di Salvini presuppone implicitamente che un sedicenne abbia lo stesso grado di preparazione psicologica e cognitiva di un quarantenne. Gli studi più accreditati in neuroscienze raccontano un’altra storia. Anni di ricerche sul cervello umano mostrano che le aree prefrontali — quelle responsabili del controllo degli impulsi, della pianificazione e della valutazione delle conseguenze — maturano dopo i vent’anni. Un giovane in adolescenza può distinguere il bene dal male ma non possiede ancora, ratione aetatis, i filtri decisionali di un adulto. La capacità di ponderare un rischio o di frenare un impulso origina da sinapsi e da connessioni nervose che si rinforzano con l’età e con l’esperienza. Pretendere che un sedicenne gestisca pressione, frustrazione o paura come un adulto significa ignorare le evidenziate differenze di sviluppo.
Negli ultimi anni le neuroscienze hanno fornito una mole crescente di dati che distinguono in modo netto lo sviluppo cerebrale degli adolescenti rispetto a quello degli adulti. Dati che oggi pongono interrogativi non solo sul piano scientifico ma anche giuridico. Soprattutto quando si discute di reati gravi commessi da minori. La corteccia prefrontale, sede delle funzioni esecutive e del controllo degli impulsi, è l’ultima regione del cervello a maturare completamente. È consolidato, come riportato da taluni studi riportati sulla rivista Nature, che la mielinizzazione (maturazione ultima del sistema nervoso centrale) della corteccia prefrontale dorsolaterale si completa intorno ai 25 anni mentre le connessioni tra la corteccia orbito-frontale e le aree limbiche possono continuare a svilupparsi fino ai 32 anni. Il che sta a significare che un adolescente dispone di un sistema limbico altamente reattivo agli stimoli emotivi e di ricompensa bensì con un sistema di controllo cognitivo ancora solo parzialmente sviluppato. Come spiegano Somerville, Hare e Casey, in uno studio del 2011 [Frontostriatal maturation predicts cognitive control failure to appetitive cues in adolescents, in 23 Journal of Cognitive Neuroscience, 2123–2134 (2011)], ciò rende i giovani più vulnerabili all’impulsività ed a comportamenti rischiosi, soprattutto in situazioni ad alto contenuto emotivo. Inoltre uno studio su oltre 10.000 soggetti, condotto da Philip David Zelazo e da Stephanie M. Carlson dell’Università del Minnesota [The Neurodevelopment of Executive Function Skills: Implications for Academic Achievement Gaps, in 13 Psychology & Neuroscience 273-298 (2020)], ha di recente confermato che le capacità esecutive – memoria di lavoro, inibizione delle risposte, flessibilità cognitiva – migliorano fino ai 18- 20 anni.
Al postutto, e nondimeno, le stantie vociferazioni ad origine nel Ministro Salvini fanno capo ad un refrain consolidato: “gestire/governare” l’esistente (rectius, la complessità dell’intervento repressivo) con un’unica medicina universale ovverossia l’inasprimento, ed in via diretta che in via indiretta, del quadro sanzionatorio (mette conto, incidenter tantum, ricordare che la Commissione di riforma del codice penale, insediatasi a seguito di d. m. giust. 23 novembre 2001, e presieduta dall’attuale Ministro guardasigilli, Carlo Nordio, confermava la prospettiva di favor nei riguardi dell’infradiciottenne. L’art. 51 del declinato progetto di riforma, dalla significativa intitolazione ‘Circostanze attenuanti’, così nevvero imprimeva: “1. La considerevole riduzione della capacità di intendere o di volere al momento della condotta costituisce circostanza attenuante e comporta una diminuzione della pena da un quarto alla metà. 2. Fuori dal caso previsto dal comma 1, costituisce circostanza attenuante l’età minore degli anni diciotto.” Una lettura espansiva, opinabile ma non inaccettabile, del combinato disposto avrebbe potuto, laonde per cui, assumere come, ferma restando la circostanza attenuante comune di un terzo per la minore età, laddove l’under age fosse “viziato”, nel suo agire/inagire, da una considerevole riduzione della capacità di intendere o di volere al momento della condotta la pena dovesse ulteriormente ridursi da un quarto alla metà. Il che, al di là della qualificazione, o meno, come circostanza attenuante della diminuente ex art. 98 c.p., si fisserebbe ben oltre dall’ordinariamente inteso – molto al di là dell’un terzo di minus, altrimenti detto. Astonishing, a tacer d’altro, visti i “chiari di luna” odierni). Emblematico, nella prospettiva siffatta, il di già menzionato, e cosiddetto, decreto Caivano. E valga il vero, finanche solo per sommi capi ed in estrema sintesi: A) il comma 1 lett. a) dell’art. 6 agevola il ricorso alla misura pre-cautelare dell’accompagnamento, a seguito di flagranza, presso gli uffici di polizia giudiziaria: mentre pre-riforma ciò era possibile alla luce del fatto di essere colto in flagranza di un delitto non colposo per il quale, in astratto, si prevedeva la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni ora la soglia da ultimo menzionata si attesta sui tre anni di reclusione; oltre a ciò, indipendentemente dal limite edittale de quo, si enumerano, quid nova, una serie di delitti per i quali detta cautela può essere addotta (nello specifico la lesione personale, il furto semplice, non commesso in abitazione o con strappo, il danneggiamento aggravato ex art. 635 co. 2 c.p., l’alterazione di armi e la fabbricazione di esplosivi non riconosciuti previsti dagli artt. 3 e 24 co. 1 l. 18 aprile 1975, n. 110, recante “Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi”, il porto abusivo di armi di cui all’art. 699 c.p. e, da ultimo, il porto di armi od oggetti atti ad offendere come regolato dall’art. 4 l. ult. cit.); B) il comma 1 lett. b) dispone che si possano applicare misure cautelari diverse dalla custodia cautelare in carcere a fronte della realizzazione di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni (ante riforma si discorreva di un quid non inferiore nel massimo a cinque anni); C) il comma 2 lett. b bis (introdotto dalla legge di conversione) espunge dal testo dell’art. 19 co. 5 D.P.R. 448/88 il riferimento ai delitti di cui all’art. 73 co. 5 (fatti di lieve entità) D.P.R. 9 ottobre 1990, recante “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza” (t.u. stup.) – venendone che, ora, nella determinazione della pena agli effetti dell’applicazione delle misure cautelari, si tiene sempre (la sottolineatura in grassetto è Nostra: n.d.a.) conto della diminuente della minore età senza più frapporre eccezione veruna; D) il comma 1 lett. b ter (anch’esso “trapiantato” dalla legge di conversione) assume che, a fronte di gravi e ripetute violazioni di cui al collocamento in comunità o nell’evenienza di allontanamento ingiustificato da quest’ultima, il giudice possa disporre la custodia in carcere senza vincolo temporale (prima ciò interveniva “per un tempo non superiore ad un mese”) e, per logica consequenzialità da quanto “reso” sub B), laddove si proceda per un delitto per il quale in astratto si preveda la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni (in luogo dei ‘cinque’ di cui alla stesura originaria della norma di risulta ovvero l’art. 22 co. 4 D.P.R. 448/88; E) il comma 1 lett. b quater (ennesimo novum di cui alla legge di conversione) aggiunge, dopo il comma 4 dell’art. 22 ult. cit., un ulteriore alinea che così detta: “4 bis. Quando le esigenze cautelari risultano aggravate, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può disporre la sostituzione della misura cautelare applicata con la custodia cautelare, nei casi consentiti dall’articolo 23” (come osserveremo nell’immediatezza finanche esso interessato dal cosiddetto decreto Caivano); F) è difatti il comma 1 lett. c ad “agire” in corpore articuli ultimi: al punto 1 si abbatte da nove a sei anni la soglia a muovere dalla quale è possibile ricorrere alla custodia inframuraria (altrimenti detto ‘quando si procede per delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a sei anni’) inoltre ampliando l’elenco dei delitti giusta cui è possibile ricorrere alla custodia cautelare in carcere indipendentemente dal raggiungimento del quantum sanzionatorio or ora declinato – ‘pena della reclusione non inferiore nel massimo a sei anni’ – [fra i “nuovi eletti” si annoverano la violenza o la minaccia ad un pubblico ufficiale onde costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio (il decreto non ancora convertito legittimava quella misura altresì laddove le condotte abusive testé segnalate volgessero a forzare il compimento di un atto del proprio ufficio o servizio o, comunque, ad influire in merito) la resistenza a pubblico ufficiale nonché ogni fattispecie sanzionata ex art. 73 t.u. stup. (preCaivano ciò non valeva per i fatti di lieve entità)]; stante il punto 1 bis si “riesuma” poi l’esigenza cautelare dell’essersi dato alla fuga o del sussistente concreto pericolo di darsi ad essa (detto profilo era stato attinto da una quaestio de legitimitate a cui esito la Corte costituzionale aveva dichiarato la non conformità al precetto, con sentenza 12 – 26 luglio 2000, n. 359, della lett. b, identicamente formulata salvo la postilla del qualificativo ‘attuale’, del secondo comma dell’art. 23; ma, essendo ciò conclamatosi per un eccesso di delega ex art. 76 Cost., stante il fatto che quest’ultima copre il dedotto – l’atto delegato – e non il deducibile – gli eventuali futuribili – il legislatore non era vincolato per l’avvenire dunque potendo, legittimamente, riproporre i contenuti della norma espunta – il che, qui, si è puntualità avverato. Sia consentito, nondimeno, sottolineare l’infortunio espressivo giacché il riformatore, novando al proposito, ha interpolato una lettera a bis nel testo del summenzionato art. 23 pur tuttavia non provvedendo a cancellare, formalmente la lett. b di identico tratto); G) il comma 2 lett. c punto 2 a sua volta contrae, in negativo, i termini di durata massima della custodia cautelare presso un istituto penitenziario; se, fino al settembre 2023, essi erano ridotti della metà alla luce di reati commessi da minori di anni diciotto ma maggiori di anni sedici ora la frazione di riferimento è ⅓; se, fino al settembre 2023, essi erano ridotti dei due terzi a fronte di reati commessi da minori di anni sedici ma maggiori di anni quattordici ora la frazione di computo è ½; H) ad epilogo il comma 1 lett. c bis che, stante un improvvido coup de main di cui alla legge di conversione, interdice, novità assoluta e di cui, fra l’altro, non si sentiva l’esigenza, il ricorso alla MAP alla luce del perfezionarsi di, dettagliate, fattispecie delittuose. Molto più lineari, a contraltare, le linee ispiratrici dell’art. 8 il quale si riduce ad introdurre un art. 27 bis nel contesto del D.P.R 448/88, dall’inquietante Rubrica ‘Percorso di rieducazione del minore’ (su cui, nondimeno, è calata la “mannaia” della declaratoria di incostituzionalità in parte qua, nello specifico sul comma 2 bis laddove quest’ultimo indica, a giudice competente a vagliare la fattibilità del programma rieducativo, il «giudice per le indagini preliminari», anziché il «giudice dell’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 50-bis, comma 2, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante “Ordinamento giudiziario”: cfr. Corte cost., sent. 10 febbraio – 6 marzo 2025, n. 23).
Quale il lascito, all’incirca a due anni approssimativi, del varo del cosiddetto modulo Caivano? L’inevitabile: altresì gli istituti penitenziari minorili (d’ora in innanzi, per acronimo, IPM), che tali non erano, ora versano in overbooking. A fronte di una capienza di 516 posti ecco l’impietosa radiografia offerta dai dati ufficiali del Ministero: al 15 agosto 2025 risultavano “ospitati” presso i 18 IPM italiani 553 under ages, la maggioranza dei quali (274, quasi la metà) di età compresa fra i 16 ed i 17 anni; 334 non definitivi e 209 definitivi (per ulteriori disaggregazioni del totale cfr. https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/Analisi_Servizi_minorili_15_agosto_2025_G.pdf, Tabella n. 24); al 31 agosto 2025 si censivano 562 colà reclusi, la maggioranza dei quali (275) sempre di età compresa fra i 16 ed i 17; 359 non definitivi e 203 definitivi (per ulteriori disaggregazioni del totale cfr. https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/Analisi_Servizi_minorili_31.08.2025_G.pdf, Tabella n. 24); infine, dato quasi in tempo reale, al 15 settembre u.s. il tutto si attestava a 565 presenze (279 di età compresa fra i 16 ed i 17 anni) – 361 non definitivi e 204 definitivi (per ulteriori disaggregazioni del totale cfr. https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/Analisi_Servizi_minorili_15_settembre_2025_G.pdf, Tabella n. 24). Per essere ulteriormente acribici risulta costante, fra i non definitivi, una maggioranza di infradiciottenni + giovani adulti (ragazzi che hanno commesso il reato minori di età e che non hanno ancora oltrepassato il venticinquesimo anno) in attesa di primo giudizio (cautelarmente ristretti, di tal che): 159 (133+21) al 15 agosto; 167 (133+34) al 31 agosto; 168 (131+37) al 15 settembre. Lento inesorabile, e non commendevole, aumento dovuto, eminentemente, alla maggiore facilità di accesso al provvedimento de libertate intra moenia (post Caivano, come sopra già indicato, si abbatte da nove a sei anni la soglia a muovere dalla quale è possibile ricorrere alla custodia inframuraria (altrimenti detto ‘quando si procede per delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a sei anni’) inoltre amplificando l’elenco dei delitti giusta cui è possibile ricorrere alla custodia cautelare in carcere indipendentemente dal raggiungimento del quantum sanzionatorio or ora declinato – ‘pena della reclusione non inferiore nel massimo a sei anni’ – al contempo ri-validando l’esigenza cautelare dell’essersi dato alla fuga o del sussistente concreto pericolo di darsi a quella. Modus procedendi tanto più inquietante laddove si rifletta sul fatto che, secondo le informazioni ottenute da Antigone (associazione fin dal 1988 schierata a tutela dei diritti delle persone private della libertà), i flussi delinquenziali minorili, se non in controtendenza con il mainstream da timor panico, quantomeno non sembrerebbero tali da avvalorare la riscontrata istanza giustizialista: “[a]l Decreto Caivano e alla stretta sulla giustizia minorile non sembra tuttavia corrispondere una reale emergenza nella criminalità minorile. Secondo gli ultimi dati presentati dal Ministero dell’Interno nel maggio 2024 e relativi all’anno precedente, le segnalazioni a carico di minorenni nel 2023 sono diminuite del 4,15% rispetto al 2022. Al loro interno, il governo indica con preoccupazione l’aumento di alcuni reati violenti che giustificherebbe la stretta repressiva. A ben guardare, tuttavia, vengono indicate le lesioni dolose – che aumentano di meno di due punti percentuali – le rapine, che passano da 3.175 a 3.419, ovvero 244 in più in un anno – e le violenze sessuali. Queste ultime aumentano dell’8,25%, che in termini assoluti significa 24 casi in più. Tutti numeri che non sembrano segnare un inequivocabile allarme ma che potrebbero essere frutto di una normale oscillazione che nei fenomeni sociali sempre si riscontra inevitabilmente. Tanto è che è stato lo stesso Ministero, nel presentare i dati, a sostenere che “il fenomeno appare sostanzialmente stabile o in lieve diminuzione”, che “le gang giovanili non appaiono in aumento”, e ad affermare che vanno attenzionate le condotte violente fornendo però le seguenti indicazioni, del tutto in controtendenza con quanto sta accadendo: “Proporre alternative culturali/sociali (centri di aggregazione, centri sportivi, etc.). Fare rete con tutti i soggetti interessati, in primis famiglia e scuola. Ascolto e coinvolgimento nei processi decisionali”. Nel febbraio 2025 il Ministero dell’Interno ha inoltre reso noti i soli dati riguardanti gli omicidi volontari nel 2024. Grande clamore mediatico ha provocato il fatto che quelli commessi da minorenni siano aumentati dal 4% all’11% del totale rispetto al 2023. Se guardiamo però anche qui ai numeri assoluti vediamo che l’aumento degli omicidi volontari commessi da minorenni è stato (secondo il Ministero, che tuttavia diverge dai dati forniti dall’Istat, secondo cui l’aumento sarebbe di soli 10 casi, per una divergenza rispetto al dato del 2023) di 21 casi, passando da 14 a 35. Il basso numero complessivo degli omicidi volontari in Italia (319 nel 2024) tende ad amplificare i valori percentuali. L’aumento di 21 unità (o forse di 10) degli omicidi commessi da minorenni è senz’altro un fenomeno da indagare per cercare di comprenderne le radici, ma può anch’esso rientrare in fisiologiche oscillazioni dei fenomeni criminali. Uno sguardo al passato ci dice infatti che nel 2015 gli omicidi volontari commessi da minorenni sono stati 31, nel 2016 sono stati 33, nel 2017 sono stati 36, senza che ciò abbia portato a stravolgimenti nel sistema della giustizia minorile (così https://www.rapportoantigone.it/ventunesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/minori/ – rapporto presentato, aggiornato ed integrato, in data 29 maggio 2025).
Pare eclatante il ridimensionamento, se non addirittura la “nullificazione”, del proprium della giustizia minorile di cui è esemplare segnale l’art. 1, comma 1, secondo periodo D.P.R. 448/88, nel testo interpolato dall’art. 5, comma 1, lett. a, d.l. 16 settembre 2024, n. 131, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano”, convertito, con modificazioni, in l. 14 novembre 2024, n. 166, che, pur ispirato da cattiva coscienza – evitare che si attivi la procedura ex artt. 258 e 260 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) – ribadisce, enfatizzandolo, uno dei cardini in subiecta materia assumendo che tali disposizioni (ovvero quelle del D.P.R. ult. cit. nonché quelle evocate, per relationem, del codice di procedura penale per adulti) sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne, per di più “assicurando il rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione e dall’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea, nonché dei diritti riconosciuti dalla direttiva 2016/800/UE sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali”. Bréf: nell’attuale scenario la valenza educativa/rieducativa parrebbe ridursi ad un fastidio in luogo spadroneggiando istanze custodialistico/securitarie. Ciò, nondimeno, potrebbe doversi ai corsi ed ai ricorsi storici (l’attuale non certo modulato su prospettive garantistiche …); pur tuttavia vi è un ulteriore indice che, a Nostro modo di vedere, obbliga ad essere “malpensanti”. Uno dei tratti di maggiore distintività del d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, dalla Rubrica normativa “Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata” (cosiddetta riforma Cartabia, questa volta del processo civile, dalle generalità dell’allora facente funzioni di Ministro della Giustizia), preconizzava, in luogo dell’ormai sedimentato Tribunale per i Minorenni, un novello Tribunale per le Persone, per i Minorenni e per le Famiglie (per acronimo TPMF) il quale, negli intendimenti del legislatore, avrebbe dovuto proporsi quale giudice unico, e specializzato, ad oggetto le cause che, ex ante, venivano a ripartirsi fra tribunale ordinario, giudice tutelare e tribunale per i minorenni [semplificando al massimo le funzioni penali attualmente esercitate dal Tribunale per i Minorenni verranno (rectius, dovrebbero essere) trasferite al TPFM in sezione distrettuale]. Ebbene: l’art. 49, comma 1, del decreto legislativo da ultimo menzionato assumeva, con formulazione unfriendly, che “Le disposizioni previste dalla sezione settima del capo IV” (ovvero quelle di piena “messa a regime” del TPFM) “hanno effetto decorsi due anni dalla data della pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale e si applicano ai procedimenti introdotti successivamente a tale data” (id est a muovere dal 17 ottobre 2024). Nondimeno innegabili, e prevedibili, difficoltà, di tenore sia sistematico che organizzativo (per un quadro di sintesi v. https://www.magistraturaindipendente.it/il-nuovo-tribunale-per-i-minori-e-famiglia.htm), hanno consigliato di procrastinare quel termine. Di modo che, primo, è intervenuto il d.l. 4 luglio 2024, n. 92, recante “Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia”, convertito, con modificazioni, in l. 8 agosto 2024, n. 112, ha differito il tutto al 17 ottobre 2025 (cfr. art. 12); deinde, giusta l’ennesimo intervento a destinatari non una comunità vigili bensì lazy sunbathers, il d.l. 8 agosto 2025, n. 117, recante “Misure urgenti in materia di giustizia”, in attesa di conversione, ha ulteriormente rinviato al 17 ottobre 2026 (cfr. art. 6, comma 1). Venendone che, oltre che ad attutirsi l’obiettivo espresso della giustizia minorile (educare è meglio che punire …), difetta finanche il “manovratore” cioè l’organo che, nel disegno di riforma del 2022, era votato a, generalmente parlando, quella amministrare. (In)giustizia è fatta: que reste-t-il de elle? Certo … forse appare prematuro intonare il de profundis per la giustizia minorile as we know it: nondimeno, è innegabile che, dell’ardito scenario declinato dal legislatore del 1988, restino, ormai, in (e ad) esclusiva sparse macerie.